Cattolici siriani divisi sui massacri delle truppe governative
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In Siria è in corso una vera e propria epurazione ai danni di alawiti, cristiani di ogni confessione, musulmani sunniti e drusi. Se il vicario apostolico di Aleppo minimizza, di diverso avviso è suor Agnese Mariam che parla di genocidio.
Mentre l'attenzione mondiale è impegnata a seguire la partita russo-americana sull'Ucraina, larghe fasce della popolazione siriana sono oggetto di un vero e proprio tentativo di epurazione nel silenzio dell'opinione pubblica internazionale. Dalle violenze perpetrate dalle truppe governative o filogovernative nessuno può dirsi al sicuro: a partire dal 6 marzo scorso sono stati uccisi allo stesso modo uomini, donne e bambini alawiti, cristiani di ogni confessione, musulmani sunniti e drusi, per un totale accertato di più 1100 persone, anche se c'è chi parla di 6000 vittime dalla caduta di Assad.
L'unica minoranza a non essere toccata dai massacri è quella curda: non a caso Ahmed Al Sharaa, leader di Hayat Tahrir al Sham e autoproclamato presidente della Siria, avrebbe firmato in questi giorni un accordo con le milizie curde del SDF (Forze Democratiche Siriane), in base al quale queste ultime, sciolte come gruppo indipendente, sono confluite nelle forze governative. Fonti internazionali leggono nell'accordo con i curdi un chiaro segnale per le altre minoranze: o vi allineate con la nostra leadership, sembra dire il governo, oppure rischiate di essere massacrati.
Frattanto Al Sharaa ha dichiarato che indagherà sui fatti di sangue in un comunicato che assomiglia molto a una manovra politica per rassicurare l'Occidente. Le uccisioni di uomini, donne e bambini testimoniate da video inequivocabili diffusi dai mezzi di comunicazione suscitano dalle nostre parti orrore misto a incredulità: la portata degli episodi omicidiari è infatti tale da far dubitare della loro realtà. Forse anche per questo motivo l'Occidente preferisce ignorare o ancora negare la realtà delle stragi a favore di una "normalizzazione" posticcia dei fatti (si parla di "scontri" fra fazioni rivali) che conviene a tutti. In fondo, fa niente se viene sterminata la popolazione di interi villaggi come quello di Jableh, un puntino insignificante sulla carta geografica sconosciuto ai più.
Mentre il "governo provvisorio di transizione", appena prorogato da Al Sharaa per cinque anni, continua indisturbato la sua corsa, le comunità cristiane siriane, direttamente coinvolte dalle violenze, sembrano perplesse di fronte a tanta ferocia. Le voci che giungono in Occidente dalla Siria cattolica divergono, così come la stessa lettura dei fatti.
In un'intervista all’Osservatore Romano il francescano monsignor Hanna Jallouf, vicario apostolico cattolico latino di Aleppo (equivalente di vescovo in terra di missione), sembra sposare la «versione ufficiale delle autorità governative» secondo cui «miliziani rimasti fedeli al deposto presidente Bashar al Assad» avrebbero tentato «un’insurrezione armata tesa a ribaltare l’attuale regime, iniziativa che è stata poi duramente repressa dalle forze filo-governative». Jallouf si rammarica che «anche alcuni cristiani sono rimasti uccisi; ma accidentalmente, non in quanto cristiani». Nell'intervista Jallouf minimizza gli episodi, a suo dire «localizzati»: «qui ad Aleppo, ma anche a Damasco, la situazione è del tutto tranquilla», afferma. Secondo monsignor Hanna non essendo le forze governative un esercito strutturato «quello precedente si è sciolto come neve al sole», commenta, ma un insieme di gruppi armati che non rispondono ad un comando unico, «è possibile che agiscano con una violenza eccessiva nei confronti degli insorti». In quanto alle parole pronunciate da Al Sharaa dopo le violenze, secondo Jallouf sarebbero «improntate alla prudenza e alla responsabilità»; nel discorso di Al Sharaa secondo monsignor Hanna si sottolinea che «non c’è altra strada per la Siria che non sia quella di una pacificazione nazionale, attraverso la convivenza tra le varie etnie e credi religiosi».
Interessante è la storia del prelato, che ben conosce al Sharaa e i suoi da molti anni: allora parroco di Knayeh, nella provincia di Idlib, Jallouf fu rapito nel 2014 insieme a una ventina di fedeli da al-Nusra, di cui Hayat Tahrir al Sham è filiazione diretta. Nominato vicario apostolico di Aleppo da papa Francesco nel 2023, monsignor Hanna estende la sua giurisdizione sui cattolici di rito latino di tutta la Siria, ruolo anche politico certamente molto delicato.
Di tutt'altro avviso è la suora carmelitana greco-cattolica madre Agnese Mariam della Croce, che in un accorato appello video in francese che circola in questi giorni sui social media testimonia di «un genocidio in corso: cristiani crocifissi, musulmani fucilati, villaggi annientati». Anche suor Agnese Mariam, religiosa di origine libanese nota per aver ricostruito negli anni Novanta il monastero di Saint Jacques le Mutilé a Qara, diocesi di Homs, ha un passato: durante la guerra civile siriana è stata accusata di connivenza con il regime degli Assad a tal punto, secondo i detrattori, da divenirne una propagandista.
Nel video che circola in questi giorni la religiosa, che ha visitato i luoghi dei massacri e visto i cadaveri, domanda alla comunità internazionale «di venire in Siria a verificare come le autorità locali non possono, per non dire non vogliono, proteggere i cittadini siriani non islamisti».
Riguardo ai massacri suor Agnese Mariam è molto chiara: «Sono stati uccisi sunniti, sono stati uccisi cristiani, sono stati uccisi alawiti. Chiedo alla comunità internazionale di presiedere la commissione d'inchiesta su questi crimini contro l'umanità in maniera neutra e obiettiva. In Siria stiamo vivendo una minaccia reale, confermata dai fatti. Non è vero, come dicono, che i massacri sono il danno collaterale di un'operazione di sicurezza nazionale: si è trattato di un'operazione parallela, sistematica, metodica, di pulizia etnica su larga scala».
Parlando della composizione etnico-religiosa della Siria, la suora spiega che «quello siriano è un popolo per la maggior parte musulmano, sunnita, moderato. In seno al sunnismo ci sono diversi gruppi religiosi, prevalentemente di natura aperta, moderata. Le formazioni militari nuove arrivate invece hanno un'ideologia salafita; sono fondamentalisti islamici wahabiti, che applicano la legge islamica alla lettera, senza interpretazione. Ad esempio, il furto viene punito col taglio della mano, l'adulterio con la lapidazione, la blasfemia con la decapitazione». Tutt'altra atmosfera si respirava in Siria fino alla caduta di Assad, prosegue suor Agnese Mariam nel video: «in Siria finora vigeva la separazione tra lo Stato e la religione, anche se per la Costituzione siriana la fonte del diritto proveniva comunque dal Corano. Adesso la legge è il Corano, coincide con il Corano».
La religiosa afferma quindi che i massacri sistematici degli ultimi giorni hanno avuto lo scopo di vuotare interi villaggi e sostituirne la popolazione alawita e cristiana con combattenti fondamentalisti non siriani e loro famiglie. Se la comunità internazionale non apre gli occhi su quello che sta succedendo, è il grido di suor Agnese Mariam, la Siria rischia di diventare un «Emirato islamico», un «nuovo Afghanistan» in cui non ci sarà più pace, né posto, per nessuno.
Ahmed al Sharaa e il suo ministro degli esteri Asaad Hassan al Shaibani sono attesi lunedì 17 marzo a Bruxelles, dove parteciperanno ad una conferenza presieduta dall'Unione Europea volta a «mobilitare il supporto internazionale per una transizione pacifica e inclusiva».
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