Cattolica e "dogmatica". La Barrett alla Corte Suprema
Trump sta pensando a come sostituire il giudice dimissionario Anthony M. Kennedy nella Corte Suprema, e pare che la sua scelta ricada su Amy Barrett. La Barrett è conservatrice, cattolica e giovane. Non si è mai fatta intimidire dai liberal che la odiano perché "dentro di lei il dogma vive con forza".
Donald J. Trump sta pensando a come sostituire il giudice dimissionario Anthony M. Kennedy nella Corte Suprema federale, e pare che stia pensando bene. Voci sempre più insistenti danno infatti come probabile la candidatura di Amy Coney Barrett, il cui nome figura nella lista di “giudici buoni” stilata da Trump nei primi mesi del 2017 e da cui il presidente ha già tratto la nomina di Neil M. Gorsuch.
La Barrett è infatti conservatrice, cattolica e giovane. Nata il 28 gennaio 1972 a New Orleans, è figlia del profondo Sud, in specie di quella Louisiana in cui il diritto vigente (visto che di diritto si parla) differisce in parte da quello del resto degli Stati Uniti. Là funzionano infatti parzialmente codici francesi e spagnoli fondati sul diritto romano, e non il Common Law come nel resto del Paese. Del resto la Louisiana di oggi è solo una minima parte di quel vastissimo territorio omonimo che un tempo faceva parte della Nouvelle France e resta un luogo dove tutte le venature più diverse del retaggio antico europeo del Mondo Nuovo si mescolano e intersecano come non mai.
Laureata Juris Doctor nel 1997 alla Notre Dame Law School, l’ateneo cattolico di Notre Dame, sobborgo universitario di South Bend nell’Indiana (anche l’Indiana ha fatto parte della “grande Louisiana”), dov’è anche stata caporedattrice della prestigiosa Notre Dame Law Review, la Barrett si è fatta le ossa professionali con il giudice Laurence Silberman della Corte d’appello del Distretto di Columbia (la capitale Washington). Poi, nel 1998, è giunta al fianco nientemeno che dell’indimenticato giudice della Corte Suprema Antonin G. Scalia, grande uomo, grande giurista, grande cattolico, deciso difensore dell’“originalismo” costituzionale, cioè la lettera e lo spirito autentico della legge fondamentale del Paese contro ogni interpretazione ideologica. Al fianco suo la Barrett c’è stata fino al 1999 e poi si è data alla professione nello studio Miller, Cassidy, Larroca & Lewin di Washington. Nel 2002 è tornata come insegnante nella propria alma mater, docente di ruolo dal 2010.
Membro della blasonata associazione giuridica conservatrice Federalist Society, l’8 maggio 2017 Trump l’ha voluta giudice nella Corte di appello del settimo circuito degli Stati Uniti (cioè Illinois, Indiana, Wisconsin). Quando, il 6 settembre, la Barrett ha testimoniato, come di prassi, davanti al Senate Committee on the Judiciary per ottenere la ratifica, è nato un caso famoso.
Quel giorno, infatti, la senatrice Democratica Dianne Feinstein, una delle più acerrime nemiche dei conservatori nei tribunali federali statunitensi, l’ha presa di petto domandole, tra il retorico e il sardonico, se la sua fede cattolica non avesse potuto essere un giorno d’intralcio alla sua professionalità. La frase usata è già passata alla storia: «Dentro di lei il dogma vive con forza, e questo è un problema». Ora, a parte l’eloquio non esattamente shakespeareano, lo stesso si potrebbe dire di chiunque, a partire dalla Feinstein stessa: “dentro di lei l’anticattolicesimo vive con forza, e questo è un problema” per il posto al Congresso che ella occupa e di cui (ab)usa per censurare gli avversari, soprattutto se cattolici. È una domanda stupida, cioè, perché la si potrebbe rivolgere a chiunque per qualunque appartenenza religiosa, o per qualsiasi forma di ateismo, o per ogni altro orientamento culturale.
In realtà la Feinstein ha mosso un processo alle intenzioni, giocandolo sul filo di una sottotesto tanto chiaro quanto perfido. La Barrett, infatti, sposata a un altro giudice, Jesse M. Barrett, e madre di sette figli (due adottati ad Haiti), viene ritenuta pericolosa in quanto cattolica: tanto cattolica da prendere il cattolicesimo sul serio facendo parte di un gruppo carismatico fondato nel 1971, People of Praise, dove ci sono anche protestanti ma che è composto in maggioranza da cattolici, “inchiodato” come una “setta”. Qui sta però il punto: nel giro mentale liberal “setta” è qualsiasi esperienza religiosa forte che non si lasci normalizzare dal manovratore. Chi prende la fede sul serio è cioè un “estremista” da tenere ai margini della società civile. La Barrett sarebbe cioè incapace, proprio perché cattolica seria, di essere un buon giudice. Non è solo un processo a una persona, ma un processo a una fede intera colpevole di essere se stessa e non altro; anzi, un processo all’idea stessa di fede.
L’anno scorso la Barrett l’ha spuntata, tra l’altro ottenendo un clamoroso endorsement da parte di un “esercito” di giuristi “stellati”, non certo tutti cattolici, che prese le difese proprio della sua professionalità specchiata. Adesso la parola torna a Trump. Il quale, oltre all’occasione storica per cambiare i connotati al massimo tribunale degli Stati Uniti che nei decenni si è macchiato di abusi enormi, ha la possibilità di demolire con un colpo solo una delle bugie più infami di sempre.