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ECO-ECONOMIA

Catastrofismo climatico, l'Osservatore insiste

Le perdite economiche dovute ai disastri naturali, causati da eventi atmosferici sempre più intensi e devastanti sono in costante aumento. L'Osservatore Romano abbraccia i risultati di uno studio che però non trova conferme scientifiche.

Svipop 26_10_2018

L'Osservatore Romano qualche giorno fa ha scritto (in un articolo intitolato “Gravi danni all'economia dai mutamenti climatici”) che “le perdite economiche dovute ai disastri naturali legati ai cambiamenti climatici sono aumentate del 151 per cento negli ultimi vent’anni (1998-2017), rispetto ai vent’anni precedenti (1978-1997).” Insomma, secondo l'Osservatore “i cambiamenti climatici” (leggi: il riscaldamento globale causato dalle attività umane) stanno rendendo più frequenti e violenti i disastri naturali.

La fonte citata è un nuovo studio dell’ufficio delle Nazioni Unite per la riduzione del rischio da disastri (Unisdr) e del Centro di ricerca sulla epidemiologia dei disastri (Cred). Lo studio la pensa come l'Osservatore, e afferma a chiare lettere che “il cambiamento climatico sta aumentando la frequenza e la severità degli eventi meteorologici estremi”. Gli eventi estremi più dannosi e che colpiscono un maggior numero di persone, sui quali si concentra la lente d'ingrandimento, sono le inondazioni, la siccità e le tempeste.

Ma è vero che questi eventi sono aumentati in frequenza e intensità (e se sì, è vero che l'aumento è dovuto al riscaldamento globale antropogenico)?

No: è un luogo comune molto in voga ma senza saldo fondamento nei dati osservativi. Ad affermarlo non è qualche testardo negazionista, ma nientemeno che l'IPCC, cioè proprio il gruppo di studio istituito presso l'ONU e che per mestiere ci allerta sulle devastazioni che ci investiranno se non porremo un freno al riscaldamento globale. Nel suo quinto rapporto, quello del 2013, l'IPCC si chiede se i suddetti eventi estremi presentino un trend crescente. Ecco la risposta per ciascuna tipologia.

Inondazioni

“In sintesi, continua ad esserci una mancanza di evidenza e quindi una bassa attendibilità [low confidence] riguardo ai segnali di un trend nell'intensità e/o nelle frequenza delle inondazioni su scala globale” (capitolo 2, pag. 214).

Siccità

“In sintesi, la presente valutazione conclude che al momento non c'è evidenza sufficiente per suggerire più di una bassa attendibilità [low confidence] rispetto a un trend osservato su scala globale di siccità o aridità (mancanza di precipitazioni) dalla metà del XX secolo”.

E ancora: “Sulla base di studi aggiornati, sono probabilmente esagerate le conclusioni di AR4 [cioè del precedente rapporto IPCC] per quanto riguarda crescenti trend globali di siccità a partire dagli anni Settanta” (capitolo 2, pag. 215).

Tempeste

Con riferimento alle tempeste tropicali, “è difficile fare affermazioni conclusive su trend a lungo termine. C'è un'evidenza molto forte che dagli anni Settanta l'attività delle tempeste è aumentata nel Nord Atlantico. Per periodi di un secolo o più, l'evidenza suggerisce una leggera diminuzione della frequenza dei cicloni tropicali che colpiscono le coste nel Nord Atlantico e nel Pacifico meridionale. Esistono scarse prove di un qualche trend a lungo termine in altri bacini oceanici.”
A riguardo delle tempeste extratropicali, “diversi studi suggeriscono un aumento dell'intensità, ma i problemi di campionamento dei dati rendono difficile la valutazione” (capitolo 2, pag. 219).  

In conclusione: sul nesso tra attività umane, riscaldamento globale ed eventi estremi l'Osservatore e la sua fonte si spingono ad affermazioni che nemmeno l'IPCC osa ritenere adeguatamente fondate.

Forse perché, come s'è già segnalato, il Vaticano ormai pratica un catastrofismo climatico più oltranzista perfino di quello in uso nell'IPCC. (Alessandro Martinetti)