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TERRORISMO ISLAMICO

Carcere duro ed espulsioni: le 4 cose da fare contro i i jihadisti

Nella lotta al terrorismo islamista l’Italia sta meglio di altri Paesi europei. Dalla rete delle forse dell’ordine, allo scambio di informazioni, fino a una legislazione efficace. Eppure, tutto questo non è sufficiente a garantire che non succeda quanto accaduto in Francia e in Germania.

METTERE FUORI LEGGE LA SHARIA di G. Gaiani

Politica 30_07_2016
Celle del 41 bis in un supercarcere

Il punto di partenza è migliore di quello di altri Stati europei. L’Italia può vantare: a) una rete di sicurezza territoriale che si fonda sulla articolazione delle stazioni dei Carabinieri e sulla presenza in ogni città di un ufficio della Questura - la Digos - dedicato alla prevenzione delle aggressioni all’ordine pubblico; b) un interscambio reale di informazioni tra forze di polizia e fra queste e i servizi, che passa da strutture consolidate come il C.a.s.a.-Comitato analisi strategica antiterrorismo, istituito oltre un decennio fa; c) una legislazione molto puntuale, che anticipa la difesa sul piano del contrasto già alla progettazione dell’attentato, colpendo condotte in qualche modo preparatorie dell’attività terroristica; d) la possibilità di espulsione per gravi motivi di ordine pubblico con decreto del ministro dell’Interno: quando non si riesce a intervenire sul fronte giudiziario, provvedimenti del genere allontanano effettivamente dal territorio nazionale soggetti fortemente pericolosi.

Tutto questo è sufficiente a garantire che, a differenza di quanto accaduto negli ultimi giorni in  Francia e in Germania, il nostro territorio continuerà a essere immune da attacchi? Non troverete una sola compagnia di assicurazioni che sottoscriverà una polizza in tal senso, pur se con un premio molto elevato. É solo un buon punto di partenza; può proseguire a funzionare e ad arginare - non a escludere tout court - il rischio a condizione: 1) che il quadro attuale sia mantenuto al livello di efficienza che ha dimostrato; 2) che si adottino delle rettifiche sul piano normativo e dell’azione di governo suggerite dalle caratteristiche della minaccia; 3) che si migliori il contrasto strettamente giudiziario; 4) che si evitino decisioni “alla moda”, anzi - visto che il modello negativo è quello francese  a la page.

1. Il mantenimento dell’efficienza non può basarsi in via esclusiva sulla professionalità dei nostri poliziotti: che è importante, ma non supplisce carenze di fondi su risorse operative essenziali. Continua peraltro a costituire un mistero la non utilizzazione del c.d. Fug-Fondo unico giustizia, alimentato dal cash e da fondi immediatamente monetizzibili confiscati alle mafie: ammonta a circa 3,5 miliardi di euro, la sua destinazione è per legge vincolata a integrare le esigenze dei ministeri della Giustizia e dell’Interno, e resta in larga parte bloccato. Mantenere il livello di efficienza significa anche lasciar lavorare le forze di polizia; la pervicace insistenza di forze politiche e di lobby di vario tipo per l’approvazione della legge sulla tortura non fa stare tranquilli. 

Esistono - e sono applicate - le disposizioni che sanzionano i poliziotti che superano i limiti loro  imposti dalla legge. Varare il testo sulla tortura, la cui trattazione in Parlamento è solo sospesa, significa esporre chi rivolge con insistenza domande cruciali nel corso di un interrogatorio al rischio di denuncia per coartazione psicologica. E quindi paralizzare il sistema.

2. Uno dei luoghi di reclutamento e di indottrinamento per il terrorismo jihadista continua a essere il carcere. Lo ha confermato il curriculum di uno degli assassini di padre Jacques Hamel: il passaggio decisivo è avvenuto proprio mentre si trovava agli arresti. In Italia da circa un quarto di secolo esiste un sistema che nei confronti dei mafiosi di un certo livello limita fortemente le comunicazioni interne all’istituto di pena e con i soggetti che in esso si recano per incontrare il mafioso: è il c.d. 41-bis,  l’articolo dell’ordinamento penitenziario introdotto in via provvisoria dopo le stragi del 1992, reso stabile da leggi intervenute negli anni seguenti. Poiché la minaccia del terrorismo non è di minore intensità e potenzialità di danno rispetto a quella mafiosa, dovrebbe essere logico estenderne l’operatività a questo terreno. Non costituirebbe una misura di emergenza, ma una applicazione fondata su ragioni del tutto analoghe. 

Sempre sotto la voce di quel che va migliorato, se si è rivelato efficace il meccanismo delle espulsioni per gravi motivi di ordine pubblico, è invece carente quello che riguarda l’espulsione dell’irregolare: nessuno nega la differenza fra il clandestino e il terrorista, ma non va trascurato che la condizione di sospensione e di difficoltà di controllo che interessa aree di clandestinità è fra quelle nelle quali il terrorismo pesca meglio.

3. Con tante eccellenze, costituisce un dato consolidato il tratto “timido” di troppi giudici italiani nella repressione del terrorismo di matrice islamica. La risposta giudiziaria non è risolutiva, è il tassello di un mosaico, e però leggendo provvedimenti giudiziari che in Italia si susseguono da oltre un decennio, è legittimo domandarsi quanto sia adeguata su questo versante la consapevolezza in senso lato culturale dei giudicanti italiani. Dei giudicanti più che dei requirenti, per i quali la conoscenza del fenomeno si è quasi sempre mostrata puntuale. 

Ricordare qualche pronuncia fa cogliere il senso del discorso: 8 gennaio 2004, il gip di Napoli rigetta una richiesta di custodia in carcere per indagati di costituzione di una rete a sostegno del Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento, e più in generale del Gruppo islamico armato, con la motivazione non che manchino gli indizi, ma che il Gspc e il Gia non sarebbero organizzazioni terroristiche! 24 gennaio 2005, il gip di Milano esclude la qualifica terroristica per Ansar al Islam, che sarebbe «solo» una «organizzazione combattente islamica», e quindi respinge la richiesta di arresto di appartenenti a sue cellule presenti in Italia. 9 maggio e 18 novembre 2005: la Corte di assise di Milano con la c.d. operazione Bazar e il Gip di Brescia ancora volta per appartenenti al Gspc depositano decisioni analoghe, di minimizzazione del fatto, pur in presenza di indizi importanti. 

Saltando la rassegna, che è lunga, arrivo ai nostri giorni: Bassam Ayachi, arrestato a Bari nel 2008, è condannato in primo grado a 8 anni per gravi fatti di terrorismo, è assolto in appello con una sentenza che poi viene annullata dalla Cassazione; nel frattempo però era tornato in circolazione, dileguandosi. Si può aggiungere il Gip di Lecce, che nel febbraio 2015 scarcera perché “profughi” (ma non avevano presentato domanda di asilo) cinque arrestati dopo essere sbarcati con documenti contraffatti e con filmati di bombardamenti e di esecuzione di attentati nelle memorie dei cellulari. Il limite non è l’ignoranza delle norme, ma la non corretta conoscenza della realtà di fatto del terrorismo di matrice islamica. 

É come se all’epoca delle Brigate Rosse fossero sorti dubbi sulla loro natura terroristica (qualche iniziale incertezza purtroppo c’è stata); è come se oggi un magistrato che si occupa di mafie ignori la differenza fattuale fra camorra e ndrangheta. É un limite che si supera a condizione di prendere atto che esiste. Può essere superato se si investe in formazione sulla sostanza del fenomeno: lo si fece 30 anni fa, con risultati importanti, per le mafie, perché non dovrebbe essere così adesso?

4. In Francia Hollande ha realizzato negli ultimi anni una riforma dei servizi consistita nella moltiplicazione di agenzie e nello svecchiamento del personale. Risultato: ogni agenzia costa ed è gelosa delle informazioni che ha; agenti probabilmente anziani, ma conoscitori del territorio e pronti a “fiutarne” i segnali di rischio, sono stati sostituiti da giovani laureati alla Sorbona, tanto bravi nel redigere scenari di situazione quanto inadeguati a raccogliere informazioni, a selezionarle, a collegarle. L’Italia è stata finora resistente a certe mode. Qualche segnale però preoccupa: un corpo di polizia è stato soppresso all’insegna dell’efficienza e del risparmio. Non difendo la Forestale come se fosse l’ultima trincea: mi chiedo se ci si ferma qui o se si va oltre; l’efficienza si perde quando si elimina delle professionalità, e i risparmi - se ci sono - appaiono risibili. 

Da mesi il presidente del Consiglio insiste per instituire a Palazzo Chigi un ufficio che si occupi della c.d. cyber security: che è una cosa seria, ma proprio per questo vede attualmente impegnate in prevenzione e contrasto strutture dotate di esperienza e di competenza (penso per tutte - ma non soltanto - alla Polizia postale). Andrebbero potenziate in uomini e mezzi, invece che mortificate, ponendole in concorrenza con una realtà del tutto nuova.