Campi di concentramento in Libia? Una bufala delle Ong
Uno dei principali motivi per cui Ong e parte del clero continuano a sostenere la necessità dell'accoglienza si basa sull'idea che, se rimpatriati in Libia, gli emigranti finirebbero in campi di concentramento, dove subirebbero privazioni e torture. Ma in Libia, stando a quanto testimoniano agenzie internazionali come l'Acnur e l'Oim, non ci sono affatto campi di concentramento, ma centri sempre meglio organizzati, dove sono presenti anche numerosi osservatori, agenzie e altre Ong. Abbiamo, dunque, una falsa rappresentazione della realtà, diffusa per motivi ideologici, per continuare a sostenere la politica delle porte aperte.
Politici e lobbisti dell’accoglienza, parte del clero e delle Ong continuano a sostenere la necessità di riaprire i porti italiani ai migranti illegali, per impedire che, quanti vengono oggi soccorsi in mare dalla Guardia Costiera libica, vengano portati nei centri di detenzione gestiti dal governo libico dove sarebbero esposti a condizioni di vita disumane e addirittura a torture.
Eppure, pur accettando i limiti dovuti alla situazione libica, non sono molto convincenti le prove e i rapporti presentati anche da Onu e Ong a sostegno di questa tesi (qualche giornale ha provato a “costruirne” utilizzando foto di persone torturate scattate in Paesi e in contesti diversi), propagandata citando testimonianze di migranti illegali che però raccontano le violenze subite prima di imbarcarsi per cercare di raggiungere l’Italia oppure raccontano episodi accaduti nei centri di detenzione alcuni anni or sono. L’impressione è quindi che si faccia volutamente confusione tra i campi clandestini, in cui i migranti vengono tenuti dai trafficanti prima di venire imbarcati su gommoni e barconi, e i centri di detenzione del governo libico di Tripoli. Nei primi, criminali senza scrupoli seviziano, violentano, a volte uccidono ma solitamente maltrattano i migranti con l’obiettivo di ricattarne le famiglie a scopo di estorsione. I secondi, soprattutto negli ultimi tempi, hanno migliorato le precarie condizioni logistiche e di accoglienza e sono centri detentivi (in Libia l’immigrazione illegale è considerata a tutti gli effetti un reato) strutturati e dotati di servizi che stanno progressivamente migliorando, come dimostrano le immagini diffuse attraverso i loro siti e i profili Facebook e Twitter dalle agenzie dell’Onu, Alto Commissariato per i Rifugiati (UNHCR) e Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (OIM), ben presenti in questi centri insieme a diverse Ong.
Uno sforzo reso possibile dal lavoro delle organizzazioni umanitarie e dai fondi stanziati da alcun Stati occidentali, dalla Ue e soprattutto dall’Italia e che consente di assistere con cure mediche e generi di prima necessità i migranti illegali riportati in Libia dalle motovedette della Guardia Costiera di Tripoli fin dal loro sbarco. L’Unhcr, che pure in Italia sostiene che la Libia non sia un porto sicuro ove sbarcare i migranti illegali, dichiara di essere presente con proprio personale in 12 porti della Tripolitania (che quindi sono “porti sicuri”) e insieme all’OIM e ad alcune Ong dispone di team in tutti i centri di detenzione governativi dove i migranti vengono accolti e assistiti pur tra mille difficoltà. Certo non si tratta di Hotel a 4 stelle né la Libia assomiglia oggi alla Svizzera e il sovraffollamento crea certamente difficoltà soprattutto nei momenti di massimo afflusso di migranti illegali raccolti in mare dalle motovedette libiche: in molte strutture mancano i letti e i servizi igienici sono molto carenti.
Le immagini degli ospiti di queste strutture, diffuse dalle organizzazioni umanitarie presenti, non mostrano però condizioni estreme né torture o violenze. In alcuni casi le organizzazioni internazionali sono riuscite anche a riunire nuclei famigliari che erano stati forzatamente separati dai trafficanti mentre i paesi di origine dei migranti vengono sollecitati a procurare documenti provvisori per il rimpatrio dei loro concittadini. Negli ultimi 18 mesi da questi centri circa 40 mila migranti sono stati rimpatriati dall’OIM con voli charter che decollano dall’aeroporto Mitiga di Tripoli (evidentemente un “aeroporto sicuro”). Nulla a che vedere con i “lager” di cui parlano quanti vorrebbero riaprire i flussi verso l’Italia e con essi il business per trafficanti ma anche per le lobby dei soccorsi e dell’accoglienza.
Un legame denunciato più volte dalle autorità marittime libiche che considerano la presenza delle navi delle Ong di fronte alle coste libiche il fattore che ha a lungo favorito e incoraggiato i traffici di esseri umani. In un’intervista al Primato Nazionale la direttrice dei progetti della Ong Helpcode, Valeria Fabbroni, ha dichiarato che “non abbiamo mai testimoniato né osservato, nemmeno tramite i nostri collaboratori che sono nei Centri di detenzione governativi libici ogni giorno, casi di tortura. Anzi, per me è necessario che si possa testimoniare che abbiamo trovato direttori dei centri di grande umanità e coraggio, che cercano di fare del loro meglio in una situazione di per sé complessa. Certo, i centri sono luoghi duri e difficili, dove ci si rende conto che ogni migrante ha una storia, un nome, un passato e un dramma da raccontare; ma ciò non vuol dire che siano oggetto di tortura”. Helpcode ha precisato che opera “esclusivamente in alcuni centri governativi gestiti dal Ministero per il contrasto all’immigrazione clandestina (Dcim) del governo di Concordia Nazionale della Tripolitania” principalmente quelli “a Trik al-Sikka, Trik al-Matar, Tajoura, dove si occupa di: ripristino dei servizi igienici; distribuzione di beni di prima necessità (materassi, cuscini e coperte), abbigliamento per affrontare l’inverno e kit igienici”.
Una testimonianza che, unita alle immagini e alle informazioni diffuse da Oim e Unhcr, confermano la necessità di rafforzare l’assistenza internazionale in queste strutture di detenzione per potenziare le capacità di accoglienza, i servizi e i rimpatri, non certo di azzerare gli accordi con Tripoli e far ripartire i flussi migratori illeciti verso l’Italia gestiti dai trafficanti, come hanno sostenuto nei giorni scorsi anche il segretario e il presidente del PD, Nicola Zingaretti e Matteo Orfini.