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INTERVISTA

Camisasca: ecco la posta in gioco al Sinodo

Uno sguardo a 360 gradi sulla famiglia e sulle sfide del Sinodo. È quello che il vescovo di Reggio Massimo Camisasca offre in questa intervista. Il vescovo interviene i toccando tutti i temi più scottanti, che hanno animato la fase pre sinodale.

Ecclesia 04_10_2015
Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia

Uno sguardo a 360 gradi sulla famiglia e sulle sfide del Sinodo. È quello che il vescovo di Reggio Massimo Camisasca offre in questa intervista a Prima Pagina. Il vescovo interviene in quello che definisce un dibattito «doloroso, ma benefico», toccando tutti i temi più scottanti, che hanno animato la fase pre sinodale, ma offrendo anche uno sguardo più elevato sulla necessità di tornare a riscoprire l’impronta che Dio ha messo nella famiglia umana. 

Eccellenza, il Vangelo che leggeranno i padri sinodali è quello in cui Gesù chiude ogni possibilità a concedere il divorzio. Uno “scherzo” della Provvidenza?

«Ogni Vangelo ha qualcosa da dire al momento che si sta vivendo. Qui in particolare Gesù mostra di aver preso su di sé la lunga tradizione del matrimonio umano come istituto naturale e come avvenimento tra uomo e donna, leggendolo dentro il mistero della salvezza e facendo risplendere nuovamente su di esso la luce originaria con cui il Padre lo aveva pensato. Il matrimonio cristiano, unendo l’uomo alla donna, partecipa dell’incontro tra Dio e l’umanità, del legame tra Cristo e la Chiesa. Da qui derivano le sue caratteristiche di unità e indissolubilità».

Sono le premesse per condannare ogni apertura alla comunione ai divorziati risposati?

«Mi pare di capire che siamo già arrivati alla domanda clou»,

Entriamo, per così dire in medias res...

«A dir la verità in medias res c’è la bellezza della famiglia».

D’accordo, perché allora il tema della comunione ai divorziati risposati è tornato “di moda” nonostante il no del Magistero dei Papi degli ultimi 30 anni?

«Il matrimonio è una realtà che va continuamente ripensata e illuminata in tutte le sue conseguenze per la vita della persona. In particolare il matrimonio cristiano, essendo un sacramento, cioè un’opera di Dio con l’uomo, è una realtà nella quale non finiremo mai di entrare. Personalmente penso che questo dibattito sia stato forse doloroso, ma anche benefico, perché ha dato luogo ad approfondimenti teologici, storici e pastorali».

Che cosa ritiene alla luce di questo dibattito, dunque?

«Tutti quanti abbiamo cercato di mostrare la sollecitudine della Chiesa verso le situazioni di difficoltà. La Chiesa, d’altra parte, non può nulla di fronte all’indissolubilità del matrimonio, perché non è in suo potere scioglierlo. Ciò è confermato dalla lunghissima tradizione con la T maiuscola che risale a Gesù (“l’uomo non separi ciò che Dio ha unito”). Una tradizione riaffermata dal catechismo e dal Magistero».

Tradizione o innovazione?

«Non si tratta di salvare un passato. C’è uno stretto legame tra il matrimonio sacramento, vissuto come alleanza tra Gesù e il suo corpo, e la possibilità di accedere alla mensa eucaristica. Ciò non è possibile laddove si rompe un patto così solenne».

Perché ha parlato di un dibattito doloroso?

«Perché è stato a volte strumentalizzato per esaltare le divisioni nella Chiesa. Ma ribadisco che è stato anche benefico. Se guardo alla storia della Chiesa vedo come siano stati benefici molti dibattiti che hanno preceduto i concili». 

É uno scotto da pagare per riaffermare la verità?

«L’uomo per sua natura non arriva alla verità direttamente, ma con molto lavoro. La rivelazione ci parla della verità dell’uomo, come dice Gaudium et spes, ma l’assistenza dello Spirito Santo non ci toglie dalla necessità di riscoprire e non ci esonera dall’errore».

Il cardinal Müller, prefetto della Congregazione per la dottrina delle fede a Ratisbona ha parlato di eresie e rischio scisma. Parole forti, alle quali l’uomo oggi non è abituato. Anche lei teme uno scisma?

«Io prego perché questo non avvenga e sono certo che non avverrà. Vorrei però tornare alla necessità che il Sinodo mostri la luminosità della famiglia cristiana. Questo non vuol dire che in essa non ci siano problemi o difficoltà, “litigi e piatti rotti” come ha detto il Papa, ma che queste lacerazioni sono sanate per mezzo di una grazia che risale all’assistenza di Dio, che è la grazia propria del matrimonio. Questo aspetto è stato oscurato nel dibattito». 

Cioè uno sguardo sul contingente e non sul trascendente a cui la famiglia aspira?

«Si è imposta l’idea che i problemi li risolviamo noi. Non abbiamo più coscienza che Dio è intervenuto nel patto coniugale non solo per suscitarlo, ma anche per aiutarlo. Privati di questa consapevolezza siamo come abbandonati alle onde dei nostri sentimenti».

Ma credere questo è difficile oggi...

«Ecco perché ritengo che in famiglia si debba tornare a pregare assieme, ad avere fiducia nell’aiuto che possono dare altre famiglie. Nella pastorale delle parrocchie dobbiamo sostenere le comunità di famiglie che vivono nell’amicizia cristiana. Ugualmente importante è la preparazione attenta e consapevole al matrimonio. Ci sono spazi enormi di intervento che non abbiamo ancora vissuto».

Anche i governi possono aiutare la famiglia? 

«Certo. In Italia non si è fatto quasi nulla. Eppure i governi possono aiutarla nel trovare delle agevolazioni abitative, nell’adeguare i tempi del lavoro a quelli della famiglia, nel sostenere la maternità e la nascita di figli: uno dei più gravi problemi dell’Italia è la denatalità. In Francia è stato compreso e i risultati iniziano a vedersi, ma in Italia abbiamo avuto una visione miope». 

Omosessualità, la frase strumentalizzata di Papa Francesco sull’omosessuale che cerca Dio che non va giudicato, ha aperto un dibattito impensabile fino a poco tempo fa sull’accettazione delle coppie “omo” fino a far entrare la tematica all’interno del Sinodo e accettare anche qualche seme di verità in queste storie.

«Ho massimo rispetto per i sentimenti delle persone e i loro affetti, ma questo non ha nulla a che fare con la famiglia, che è l’incontro stabile tra uomo e donna».

Dunque non c’è spazio per aperture?

«La famiglia deve essere aperta alla nascita dei figli. Non vedo quale nascita di figli possa esserci tra persone dello stesso sesso se non attraverso la maternità surrogata. Ma non voglio entrare nella considerazione della terribile esperienza di un bambino privato, per scelta di uomini, di un padre e una madre».

Recentemente alcuni vescovi e cardinali hanno chiesto ai padri Sinodali che dall’assise esca un catechismo specifico su matrimonio e famiglia. Lei che cosa si aspetta dal Sinodo?

«Mi aspetto uno sguardo di speranza concreta. Ci sono ancora, per grazia di Dio, milioni di famiglie che vivono la loro esperienza nella fede, pur attraverso mille fatiche, mostrando che Dio non ha abbandonato il suo popolo e genera in loro nuove esperienze di carità. Mi aspetto anche uno stimolo per tutte le comunità della Chiesa a curvarsi con misericordia su coloro che sono feriti: dobbiamo aiutare coloro che convivono a guardare la bellezza del matrimonio. Laddove ci sono divisioni irreversibili, accogliere le persone divorziate risposate e vivere con loro la fede, la speranza e la carità, pregando con loro affinché possano sentirsi con tutti parte del popolo di Dio».