Brasile, l'assalto alle istituzioni serve a Lula per rafforzare il suo potere
La manifestazione contro il nuovo presidente Lula è sfociata all'improvviso nell'assalto alle sedi istituzionali. Bolsonaro, all'estero, smentisce ogni accusa di aver organizzato il colpo di mano. E non ci sono prove che sia coinvolto. Ma ormai, chi si avvantaggerà di questa disordinata ribellione è Lula che ha tutto l'interesse a tracciare il parallelo con i fatti del Campidoglio e chiedere un definitivo ostracismo per Bolsonaro e i suoi sostenitori.
Il Brasile ha inaugurato domenica 1 gennaio il terzo mandato presidenziale del social-comunista Luiz Inácio Lula da Silva, consolidando un trasferimento pacifico di potere dopo la vittoria di stretta misura sul predecessore Jair Bolsonaro alle elezioni presidenziali di fine ottobre. Dopo aver assunto la presidenza, Lula ha firmato diversi decreti che annullano le principali politiche di Bolsonaro, tra cui spicca la reintroduzione di vecchie disposizioni sul controllo delle armi... e piangendo, ha attaccato le politiche sociali ed economiche di Bolsonaro dicendo che il Brasile ha subito un aumento catastrofico della povertà e della fame. Un discorso infuocato che, come benzina sul fuoco, ha contribuito largamente alla rivolta disorganizzata, per nulla promossa né da Bolsonaro (in Florida dal 31 dicembre scorso anche per controlli medico ospedalieri) né dal suo Partito Liberale e che ha portato all'inaccettabile vandalismo negli edifici istituzionali della capitale Brasilia domenica 8 gennaio.
Sette giorni dopo il discorso di investitura e con tutti i nuovi Ministri e capi delle forze armate e di polizia già in carica, migliaia di oppositori del Presidente Luiz Inácio Lula da Silva hanno preso d'assalto uffici del governo, sede del parlamento e del Supremo Tribunale Federale (STF) del Brasile, imbrattando e vandalizzando edifici all’estero e all’interno. Lula ha reagito annunciando un decreto per consentire l’intervento delle forze di polizia federali, che si è sviluppato nella giornata di lunedì 9 gennaio, accusando la polizia di non essere intervenuta per ‘malafede’, quasi ci fosse un tacito accordo con i manifestanti, e dichiarando i manifestanti dei barbari ’fascisti’. In effetti, nella giornata di domenica, il Segretario della Sicurezza del Distretto federale Fernando Oliveira, un espertissimo uomo di Stato apprezzato sia da Lula che da Bolsonaro, aveva negoziato con i manifestanti l’entrata nella ‘Spianata dei Ministeri’, dove si trovano i palazzi istituzionali, perché le migliaia di persone giunte nella capitale con più di un centinaio di pullmans per chiedere intervento dell’esercito per indagare e serie indagini sui brogli a favore di Lula avevano un atteggiamento “totalmente pacifico”. Cosa abbia scatenato la follia devastatrice è ancor presto per dirlo, tuttavia per certo sappiamo che Jair Bolsonaro non c’entra nulla, né ha mai aizzato le folle contro la legittimità del risultato elettorale e lo ha ribadito proprio nella giornata di domenica e lunedì con una serie di dichiarazioni dagli Usa: «Le manifestazioni pacifiche, nel rispetto della legge, fanno parte della democrazia. Tuttavia, le depredazioni e le invasioni di edifici pubblici come quelle avvenute oggi, così come quelle praticate dalla sinistra nel 2013 e nel 2017, sfuggono alla regola. Nel corso del mio mandato, sono sempre stato all'interno dei confini della Costituzione, rispettando e difendendo le leggi, la democrazia, la trasparenza e la nostra sacra libertà. Inoltre, ripudio le accuse, prive di prove, che mi sono state attribuite dall'attuale capo dell'esecutivo brasiliano».
Sì, perché a fronte della assoluta insipiente prima prova dei ministri degli interni e della stessa sicurezza e di polizia federale, viste le ampie notizie di pericolo dei giorni precedenti pubblicate addirittura dal Washington Post, il Presidente Lula e i suoi ascari in tutto il mondo hanno ribadito ai quattro venti che i manifestanti erano ‘bolsonaristi’, che dietro l’assalto alla democrazia brasiliana c’era Bolsonaro, che l’assalto di Brasilia era in tutto simile a quello di Trump e della destra a Capitol Hill del 6 gennaio 2021, che i manifestanti erano finanziati dall’estero. Nel frattempo, sono circa 1200 i manifestanti arrestati, le altre migliaia di protestatari sono tornati nelle loro città pacificamente, mentre il Ministro della Giustizia, quel Flavio Dino che abbiamo già descritto su LaBussola nelle scorse settimane il ‘Robespierre’ carioca contro si opponga a Lula ed al suo Governo socialcomunista, confermava la narrazione delle ultime settimane e che i terroristi golpisti sarebbero stati puniti senza pietà. È dal giorno della contestata vittoria di Lula che dal suo schieramento si invoca un processo contro Bolsonaro, sette giorni orsono si è chiesto l’arresto di Bolsonaro, un provvedimento che lo metta al bando e lo inabiliti per un eventuale prossima candidatura, in pratica lo stesso scenario perseguito dai Dems sin dal primo giorno della vittoria di Biden e soprattutto, sin dagli attimi successivi alla protesta di Capitol Hill.
Il braccio destro ed ormai capo indiscusso della magistratura rossa di Lula, di cui abbiamo già descritto le gesta su LaBussola, Alexandre de Moraes ha deciso ieri la sospensione dalle funzioni del governatore del Distretto Federale Ibaneis Rocha (eletto dalla coalizione dei conservatori) per 90 giorni perché, come si dice in Italia, ‘non poteva non sapere’ e gli atti di vandalismo non possono essere avvenuti senza "il consenso e persino la partecipazione effettiva" delle autorità. Lo stesso Moraes ha ordinato lo sgombero in 24 ore degli accampamenti di protesta organizzati da pacifici cittadini in centinaia di città del Brasile. Non stupisce in questo clima che esponenti della sinistra Dems americana abbiano chiesto a Biden di estradare, come fosse indagato o addirittura già condannato, Jair Bolsonaro in Brasile. Tutte minacce e misure emergenziali che, di fatto, rafforzerebbero la svolta antidemocratica emergenziale proprio di Lula. ‘Cui prodest’ le rivolte di Brasilia? A promuovere il neo centralismo democratico di Lula e, insieme, la nuova narrazione globalista dei conservatori politici cristiani come rivoltosi, violenti e antidemocratici?