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IL CASO X

Brasile, la protesta della destra per ripristinare la libertà di parola

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La partita in Brasile non è finita con la sospensione di X, il social network di Elon Musk (ex Twitter). Decine di migliaia di sostenitori di Musk e Bolsonaro in piazza a San Paolo lo dimostrano.

Esteri 10_09_2024
Jair Bolsonaro (La Presse)

La partita in Brasile non è finita con la sospensione di X, il social network di Elon Musk (ex Twitter). La battaglia politica è appena iniziata, a giudicare dalla protesta che questa sentenza della Corte Suprema sta suscitando nel paese. Con una manifestazione tanto partecipata quanto ignorata dai media internazionali, decine di migliaia di brasiliani, sabato 6 settembre, nel giorno dell’Indipendenza, sono scesi in piazza a San Paolo, guidati dall’ex presidente Jair Bolsonaro, per protestare contro questo nuovo grave atto di censura.

La mobilitazione è motivata, politicamente, dall’avvicinarsi delle prossime elezioni locali, in cui si voterà per il rinnovo dei sindaci di migliaia di città. Ma le voci dei manifestanti, raccolte dal Wall Street Journal rivelano idee abbastanza chiare sulla drammaticità della situazione: «La nostra libertà è in gioco... prima bruciavano i libri per mettere a tacere le persone, ora vietano i social media», dice un imprenditore, ad esempio. I manifestanti, più ancora che contro Lula, sono indignati contro il giudice supremo Alexandre de Moraes protagonista delle inchieste contro Bolsonaro e Musk.

De Moraes ha infatti guidato le ultime indagini penali su Bolsonaro, che è stato incriminato due volte: per aver tentato di importare diamanti senza dichiararne il valore e per aver presumibilmente falsificato il suo certificato di vaccinazione Covid-19. Secondo l’opposizione di centrodestra si tratta di accuse pretestuose, di una persecuzione politica dopo la sconfitta elettorale del 2022, quando Lula (appena uscito dal carcere) è tornato ad essere presidente del Brasile.

Ma de Moraes si è distinto soprattutto per la “caccia” agli anti-democratici o presunti tali su Internet. Ritiene che la sorveglianza su Internet sia diventata sempre più necessaria dopo che i sostenitori di Bolsonaro hanno preso d'assalto il Congresso, il palazzo presidenziale e il tribunale nel gennaio 2023, per protestare contro presunti brogli, nel giorno in cui si insediava Lula, imitando i fatti del 6 gennaio negli Usa. Come negli Usa e come nel Regno Unito, anche in Brasile la sinistra è convinta che sia soprattutto il “linguaggio di odio” a fomentare la violenza politica, la creazione di un “ecosistema violento” su Internet a tradursi in sommossa. Quindi Internet non viene monitorata solo perché è uno strumento di organizzazione delle proteste violente, ma anche perché è vista come la causa della violenza. E la soluzione è: sopprimere le voci che vengono identificate come quelle più pericolose, come sta accadendo in queste settimane nel Regno Unito, all’indomani degli scontri etnici di agosto.

Solo negli ultimi due anni, de Moraes ha ordinato l'arresto di oltre mille persone in nome della salvaguardia della democrazia, soprattutto rivoltosi antigovernativi o persone che, a suo dire, avevano diffuso online menzogne sul tribunale. Ha rimosso un governatore di uno Stato e ha chiuso temporaneamente l'app di messaggistica WhatsApp. Ha ordinato il blocco di centinaia di account di social media, compresi quelli di membri del Congresso e di uomini d'affari, spesso senza spiegarne il motivo.

Se un giudice supremo agisce con metodi così drastici, da dittatura, è perché la stessa Costituzione del Brasile democratico non è sufficientemente chiara nella difesa della libertà di espressione. L’articolo 5 garantisce “la libertà di pensiero e di espressione”, ma la libertà di parola non è assoluta nel Paese, che ha anche leggi che limitano ciò che può essere detto pubblicamente. È un crimine, ad esempio, fare dichiarazioni diffamatorie contro funzionari governativi mentre esercitano funzioni pubbliche.

Ci sono opposizioni anche nello stesso ambiente giudiziario. Il 30 agosto, cinque giudici della Corte Suprema hanno votato all'unanimità per sostenere il divieto di accesso a X, ma il giudice conservatore Nunes Marques ha detto che avrebbe chiamato tutti gli 11 membri della Corte a rivedere il caso in una prossima votazione. Aílton Soares de Oliveira, un avvocato costituzionalista di San Paolo che ha detto di considerare de Moraes un amico, ha dichiarato che la giustizia ha commesso un “errore categorico” nel congelare non solo i beni di X ma anche quelli di Starlink, la società di Musk che si occupa di Internet via satellite - una decisione che «ha violato il principio di proporzionalità e ragionevolezza».

In Congresso, almeno un terzo dei deputati e dei senatori è contrario al divieto e vorrebbe una procedura di impeachment per de Moraes. «Quando un tribunale abbandona il principio di imparzialità e sceglie chi indagare, giudicandolo prima di ascoltarlo... stiamo violando i diritti fondamentali dei cittadini e mettendo a rischio il nostro sistema giudiziario», ha dichiarato Marcos Rogério, senatore del Partito Liberale (lo stesso di Bolsonaro).

L’ex presidente, in un video postato su Instagram per il Giorno dell'Indipendenza del Brasile ha detto che “indipendenza” è una parola vuota se i cittadini non sono liberi di esprimersi: «Un Paese senza libertà non ha nulla da festeggiare in questa data... abbiamo a che fare con un governo che si schiera con i dittatori e si oppone a ciò che abbiamo di più caro: la nostra libertà».

La questione è universale, non riguarda solo il Brasile. Negli Usa si vota fra due mesi: la libertà di espressione sarà ancora garantita a tutti o verrà eliminato il diritto di parola ai sostenitori di Trump, in quanto “anti-democratici”? E in Ue, dove si vuole arginare l’avanzata delle “destre”, quanta libertà ci verrà ancora concessa? Il Brasile potrebbe essere solo un banco di prova per le future politiche europee e nordamericane.



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