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Canada, lo psicologo Jordan Peterson condannato alla rieducazione

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Jordan Peterson (Edmonton, 1962) è un importante psicologo e un noto intellettuale canadese, per i suoi pareri controcorrente su queer e gender, è stato condannato a seguire un programma di "mentoring" per correggere le sue posizioni.

Libertà religiosa 29_08_2024
Bandiera Lgbt

Jordan Peterson (Edmonton, 1962) è un importante psicologo e un noto intellettuale canadese, il quale negli ultimi anni si è fatto conoscere nel mondo intero per le sue opinioni controcorrente sull’ideologia queer, la transizione di genere, il femminismo dogmatico e su tutte le altre questioni attinenti al gender e ai suoi derivati.

L’8 agosto, la Corte suprema del Canada lo ha da poco «sanzionato» con un giudizio pubblico, imponendogli di «seguire un corso di mentoring» con lo scopo di «correggere l'espressione pubblica delle proprie convinzioni».

Questa sanzione, che è visibile sul sito della Corte suprema e si intitola «Jordan Peterson v. Ordine degli Psicologi dell'Ontario», Corte Suprema del Canada - Informazioni sul caso SCC - Riepilogo - 41168 (scc-csc.ca) giunge non inattesa ed assomiglia ad un autodafé inquisitoriale, dopo che Peterson ha condotto, come un cavaliere solitario, una lunga e costosa battaglia giudiziaria per la libertà di espressione.

Negata proprio da quell’Ordine professionale di cui Peterson è membro dal 1999 come psicologo clinico, diplomato e riconosciuto, con una carriera lunga e dignitosa alle spalle. E’ dal 2020 infatti che Peterson è entrato in rotta di collisione con l’Ordine degli psicologi che lo ha accusato di (ipotetiche) derive razziste e sessiste. Nel 2022 il «Comitato per le indagini, i reclami e le segnalazioni» (Cicr) dell’Ordine degli psicologi dell’Ontario gli ha intimato di seguire dei corsi coatti di formazione, a cui Peterson non vuole sottostare.

L’Ordine rimprovera al medico la sua «condotta sui social media e le sue apparizioni pubbliche», le quali solleverebbero «preoccupazioni sulla sua professionalità» e perfino «sulla conformità delle sue dichiarazioni agli standard di condotta professionale». Un tempo la parola condotta faceva paura e le si preferiva comportamento: ora che è rinato lo Stato etico non più.

Del resto, da quando i signori del discorso pubblico (da Google e Facebook), si sono inventati gli «standard della community» da rispettare al 100%, è tutto una censura. E vista la polisemia dei termini e i doppi sensi possibili, tutti corriamo il rischio di essere «banditi», «censurati» e «puniti», per una parola o mezza, uno smile, perfino un «colpevole» silenzio e un «non detto».

Il «Comitato per le indagini, i reclami e le relazioni (Cicr)» dell’Ordine degli Psicologi, avrebbe riscontrato «che i commenti fatti dal Dr. Peterson sembravano essere degradanti, umilianti e poco professionali». Sembravano o lo erano davvero? Non solo, tanto per fare un esempio, nel nuovo Stato etico canadese non bisogna essere «omofobi» - termine che nell’accezione estrema vorrebbe dire che neppure si può preferire la famiglia tradizionale a quella arcobaleno - me neppure si può «sembrare di esserlo»…

La Corte suprema ora ha emesso il giudizio e con esso dà torto a Peterson e ragione ai suoi accusatori. Dichiara: «il Cicr ha espresso preoccupazione per il fatto che le dichiarazioni pubbliche del Dr. Peterson» potrebbero essere «incoerenti con gli standard professionali, le politiche e l'etica attualmente adottate» dall’Ordine dei medici. Per esempio in materia di transizioni di genere dei minori, a cui Jordan Peterson si oppone, e quindi «comportare un certo rischio di danno per il pubblico». Un certo rischio o un rischio certo?

Ovviamente, chi sbaglia paga, e quindi l’alta (e infallibile) Corte - si notino i termini più impositivi dopo la vaghezza dell’accusa - «ordina al dottor Peterson di partecipare ad un programma di coaching con una delle due persone identificate dal panel» con il nobile scopo democratico di «rivedere, riflettere e migliorare la sua professionalità», specie per quel che riguarda le sue «dichiarazioni pubbliche».

Secondo la decisone della Corte «il mancato rispetto del programma correttivo può comportare un'accusa di cattiva condotta professionale»: se sei anti woke o anti Lgbtq, vorrebbe dire che sei un «cattivo medico»? Se fosse così, saremmo al Quarto Reich in salsa liberal.

«La Corte Suprema», conclude la sentenza-ricatto, «ha respinto la domanda di revisione giudiziaria presentata dal Dr. Peterson e la Corte d'Appello ha respinto la mozione di autorizzazione all'appello»

Ma l’ambiguità dell’accusa, unita alla severità arcigna della condanna (senza possibilità di appello), non ricordano forse da vicino la disinvoltura con cui il regime sovietico spedì migliaia di dissidenti in cliniche psichiatriche?