Brague: «Cattolicesimo e islam? Un falso parallelo»
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Qual è lo scopo dell’islam, quali le somiglianze e differenze con l’islamismo, quale l'origine del termine "islamofobia", perché la shari’a cozza con la tradizione giuridica europea e perché il parallelismo con il cattolicesimo non regge. La Nuova Bussola intervista il filosofo Rémi Brague, autore di Sur l’islam.
Cos’è l’islam? Il modo in cui gli occidentali percepiscono questo credo è, per il filosofo e islamologo Rémi Brague, troppo spesso contaminato da un’analisi basata sul cristianesimo.
In Sur l’islam (Sull’islam), da poco in libreria, Brague, attraverso un’approfondita conoscenza di teologi e pensatori musulmani, “ridisegna” il quadro della civiltà islamica. Un testo che risulta preziosissimo se consideriamo il ruolo che oggi l’islam gioca in Europa. Sono i musulmani che, disobbedendo a ciò che la shari’a di norma proibisce, si sono insediati volontariamente in un Paese di miscredenti e si ritrovano in quello che chiamano “mondo della guerra”, ossia non sottomesso all’islam. E nel mondo della guerra non risulta irragionevole comportarsi come un guerriero.
Brague, specialista della filosofia medievale araba ed ebraica, membro dell’Istituto di Francia, docente di filosofia, già professore emerito dell’Università Pantheon-Sorbona, ci porta a spasso nel mondo islamico, per davvero. La Nuova Bussola lo ha intervistato.
Professor Brague, perché scrivere ancora un libro “Sull’islam”? Cosa ha di più degli altri libri?
Volevo pormi, con un linguaggio semplice, a metà strada tra le opere di iniziazione e divulgazione e le monografie altamente tecniche. Ho cercato di presentare l’islam in modo tale da renderlo comprensibile e dando voce ai grandi pensatori del suo periodo di massimo splendore. Da qui le numerose citazioni nel testo. Inoltre, ho posto una domanda che viene tenuta in considerazione molto raramente: qual è lo scopo dell’islam, cosa vuole ottenere?
E cosa vuole ottenere l’islam?
Un noto hadith fa dire a Maometto di essere stato inviato ai rossi (si direbbe: il popolo dalla pelle rosa, i “bianchi”) oltre che ai neri, cioè a tutti. Un altro hadith, anch’esso famoso, gli fa dire di aver ricevuto l’ordine di combattere le persone finché non confessano la fede in Allah e nel suo messaggero, pronunciano la preghiera e pagano la tassa. L’obiettivo è quindi la conquista del mondo intero, non necessariamente con mezzi violenti. Una volta che il mondo sarà sotto il potere islamico, la conversione sarà un’azione ragionevole per il sottomesso.
L’islam è compatibile con la democrazia occidentale?
Il Corano non dice nulla sul miglior sistema politico, monarchia, aristocrazia o democrazia. La vita di Maometto lo mostra nell’atto di chiedere consiglio ai suoi compagni e persino essere d’accordo con loro. Non è difficile trovare musulmani progressisti sostenere che il Profeta si sia comportato come un democratico, o addirittura che l’islam promuova la democrazia. I Paesi islamici sono sempre stati governati da re o da un “uomo forte”, un dittatore, un soldato, il mullah in Iran, eccetera. Idealmente, nulla impedisce che un giorno possa nascere una democrazia parlamentare in territorio islamico. Tuttavia, in un tale regime, ogni parlamentare rimarrebbe internamente soggetto a una delle forme della shari’a e voterebbe solo per le leggi compatibili con essa. L’unico legislatore rimarrebbe infine Allah, che ha dettato la sua volontà nel Corano e nelle azioni e nei gesti di Maometto, il “bellissimo esempio” (Corano, XXXIII, 21).
Qual è la differenza tra islam e islamismo? Una volta lei ha detto: “La differenza tra islam e islamismo è reale, ma la mia convinzione è che sia una differenza di grado e non di natura”.
L’islam e l’islamismo hanno lo stesso progetto: mettere tutti i popoli nella condizione di riconoscere l’islam come la migliore delle religioni, l’unica vera, così da convertirsi tutti ad essa. Quello che oggi chiamiamo “islamismo” è un islam impaziente, disordinato, goffo, che vuole affrettare le cose con la violenza. L’islam conosce altre forme, che si adattano - temporaneamente - alle istituzioni occidentali, che usano i principi europei per sovvertirle. L’islamismo è stupido, perché corre il rischio di dare nell’occhio e lanciare l’allarme. Le tattiche più caute, che destano meno sospetti e sanno manipolare gli “utili idioti”, sono più efficaci alla lunga.
Il Corano incoraggia la violenza o la permette soltanto?
Il Corano chiama più volte a combattere gli “infedeli” con le armi, fino a quando non si sottomettono e accettano di pagare il tributo in una situazione di umiliazione (IX, 29). Tutti i versetti che invocano un dialogo pacifico, presumibilmente rivelati alla Mecca, all’inizio della carriera di Maometto, quando si trovava in una situazione di debolezza, sono stati abrogati dai versetti successivi, dati a Medina, dove Maometto è sia profeta che generale.
Esiste una differenza tra islam e cattolicesimo?
Quello tra cattolicesimo e islam è un falso parallelo. Spesso viene citata la somiglianza circa la teoria della guerra giusta. Ma le Crociate hanno poco a che fare con il jihad: sono eventi storici datati e fortunatamente passati; il jihad, invece, è un obbligo legale, ancora in vigore, anche se la sua applicazione bellica ricorre solo a certe condizioni.
Una delle tesi del suo libro è che l’islam non è una religione nel senso in cui la intendiamo in Occidente. Cosa intende?
Con ciò intendo dire, e spero di averlo fatto chiaramente, che in Occidente abbiamo tutti, dal credente più devoto all’ateo più incallito, la stessa idea di ciò a cui una religione dovrebbe assomigliare, e cioè il cristianesimo. Classifichiamo religione tutto ciò che gode di parallelismi cristiani: fede, preghiera, digiuno, pellegrinaggio, elemosina, anche se le somiglianze sono in gran parte ingannevoli. E respingiamo nella categoria dei “costumi” o della “cultura” ciò che è specifico dell’islam: divieti alimentari, ingiunzioni sull’abbigliamento, leggi penali, diritto ereditario, status della donna, etc. Cose che per un musulmano sono parte integrante della religione.
Ha scelto di aprire il suo libro con un capitolo dedicato al termine “islamofobia”. In che modo ci inganna? Cosa significa e chi l’ha inventato?
Secondo le ultime notizie, il primo autore ad aver usato questo termine è stato un funzionario dell’amministrazione coloniale francese, nel 1910. Criticava quello che definiva un atteggiamento “islamofobo”, sostenendo che le popolazioni islamizzate dell’Africa non erano ostili al dominio francese. Oggi questo termine è una sorta di fumogeno che impedisce di vedere chiaramente. Significa: paura, o addirittura odio, verso l’islam. Chi lo usa mescola tutto: l’odio verso le persone in carne e ossa - che è sempre una colpa - e la critica storica e filologica dell’islam, critica che merita una discussione ragionata come quella che prende di mira questa o quell’altra religione. Nel mio libro ho pensato fosse necessario iniziare esorcizzando questo spaventapasseri.
Perché è uno “spaventapasseri”?
Perché chiunque osi avere la minima riserva sull’islam viene subito accusato di essere “islamofobo”. Stesso destino tocca a chi non crede che Maometto sia stato un profeta, ma lo vede solo come un abile politico o soldato. O anche al filologo e allo storico che fanno notare che certi passaggi del Corano non possono risalire alla vita di Maometto, e che molti hadith sono stati falsificati molto tardi. Tutto ciò può scoraggiare le persone che non vogliono litigare con i colleghi e amici musulmani, o, ancora, gli studiosi che vogliono continuare a essere invitati nei Paesi islamici.
Professore, lei spiega che l’islam ha un codice specifico. Leggendola, comprendiamo che parte della legge islamica è incompatibile con la cultura, i costumi e anche parte delle leggi delle società europee. È vero?
La questione non è se la legge islamica, nella sua totalità, o solo una parte, e bisognerà dire quale, possa concordare con le leggi europee. Alcune delle disposizioni legali che generazioni di studiosi hanno derivato dalle fonti dell’islam sono giuste e compatibili con le nostre leggi. Ciò che crea veramente problemi, a mio avviso, è la questione dell’origine stessa delle norme. Per la tradizione giuridica europea, le leggi si fondano sulla ragione umana, certamente illuminata dalla coscienza, che i credenti considerano come la voce di Dio. Per l’islam, l’unico legislatore legittimo è Dio, come parla nel Corano.