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Bordeyne, chi è il nuovo preside del “fu Istituto GPII”

Con il nuovo preside Philippe Bordeyne si completa il restyling, nel solco di Amoris Laetitia, dell’Istituto Giovanni Paolo II. Il teologo francese, a colpi di “discernimento”, si discosta dall’Humanae Vitae sulla contraccezione e promuove quell’etica della situazione che era già stata smascherata quasi settant’anni fa da Pio XII.

Ecclesia 19_03_2021

Fuori Pierangelo Sequeri e dentro Philippe Bordeyne, rettore dell’Institut Catholique di Parigi dal 2011. Per un quadriennio rinnovabile, monsignor Bordeyne, teologo moralista, 61 anni, si troverà a presiedere l’Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia, che ha così completato il suo restyling - leggi: colpo di stato - secondo la corrente stilistica di Amoris Laetitia. E, in effetti, Bordeyne era tra i 23 esperti del Sinodo sulla famiglia, facendo già chiaramente capire all’epoca quale sarebbe stata la svolta morale all’interno della Chiesa: le discernement pour tous.

Non che si abbia qualcosa contro il discernimento: tutt’altro. Il problema è che esso è diventato la testa d’ariete per sbriciolare la vita teologico-morale dell’uomo in miliardi di frammenti, tanti quanti sono gli esseri umani. In sostanza, la nuova morale “in uscita” si serve del discernimento per affermare che la norma morale vale ut in pluribus (il che è vero), ossia non è in grado di prevedere tutte le situazioni concrete della vita umana, ma dimentica poi di ricordare che esistono, sul versante “negativo”, degli atti che sono proibiti semper et pro semper. Il che, tradotto, significa che non si tratta più di scegliere la propria strada, tra quelle che portano al fine buono, modulare l’andatura, assumere i mezzi necessari, etc.; ma che è anche possibile uscire di strada, ben sapendo di finire in un burrone e rompersi l’osso del collo, purché lo si faccia in coscienza e dopo un lungo discernimento.

Alle porte del Sinodo sulla Famiglia del 2014, mons. Bordeyne metteva già avanti che l’idea di un cammino penitenziale sarebbe stata in qualche modo rimpiazzata dal “discernimento personale e pastorale” (vedi qui); un cambiamento eloquente, che rinuncia a promuovere una conversione nella persona, dal peccato alla grazia, a favore invece di un “aggiustamento” ben poco cristiano, ma che Bordeyne definisce invece come “realista”: «Il realismo di Francesco, il realismo del cristiano è quello di guardare cosa Dio sta facendo nella nostra vita [...]. Il papa dice: c’è bisogno di discernimento personale e pastorale per queste persone [...]. Non appelli di Dio impossibili! Non appelli di Dio a rimanere fedeli alla prima unione: sono vent’anni che è morta! Ma appelli di Dio oggi».

Il nuovo preside del “fu Istituto Giovanni Paolo II” ha dunque già deciso che Dio non è in grado di sorreggere la fragilità dell’uomo, che la grazia del sacramento del matrimonio si infrange di fronte alle debolezze umane. Anzi, che l’infedeltà umana è più forte dell’indissolubilità del matrimonio, al punto da fargli definitivamente il funerale. La misericordia del nuovo corso ecclesiale non è evidentemente abbastanza potente: dal “nulla è impossibile a Dio” si è passati al “Dio non chiede nulla di impossibile”, trasformando in questo modo la misericordia divina in una resa di fronte alla fragilità umana, il perdono che rigenera in giustificazione che scusa, e la conversione della vita in un adattamento alla nuova situazione: «Non si può chiedere alle persone l’impossibile - spiega ancora Bordeyne -. Non si può chiedere alle persone di separarsi, perché sarebbe una nuova caduta; si deve domandare loro di costruire l’avvenire insieme a Dio. Perciò si chiede loro di valutare la qualità di questa nuova unione». In questa prospettiva, il discernimento, senza condurre alla conversione, può però aprire la strada per la reintegrazione sacramentale, ovviamente «in certi casi».

È piuttosto evidente che questa impostazione morale assomiglia tanto a quella delineata criticamente ormai settant’anni fa da Pio XII (AAS, 1952, nn. 7-8, pp. 413-419) e battezzata come “morale di situazione”: «Il segno distintivo di tale morale è costituito dal fatto che essa non si basa in alcun modo sulle leggi morali universali, come ad esempio i Dieci Comandamenti, ma sulle condizioni o circostanze reali e concrete nelle quali si deve agire, e secondo le quali è la coscienza individuale a giudicare ed a scegliere. Questo stato di cose è unico ed è valido una sola volta per ciascuna azione umana. È per questo che la decisione della coscienza, affermano coloro che sostengono tale etica, non può essere dettata dalle idee, dai principii e dalle leggi universali». Il problema è che tale etica è sempre stata condannata dalla Chiesa, almeno fino all’attuale pontificato. Ora, invece, è in auge, mascherata da “morale del discernimento” e chi la sostiene ottiene incarichi, cattedre e presidenze.

A confermare ancor più chiaramente che mons. Bordeyne intende guidare la nave verso questa deriva, è la sua posizione sulla contraccezione (vedi qui). Constatando che tra l’insegnamento di Humanae Vitae e la pratica dei fedeli c’è sempre più distanza, occorre secondo lui domandarsi se si tratti «di semplice sordità ai richiami dello Spirito», oppure se non sia «il frutto di un lavoro di discernimento e di responsabilità nelle coppie cristiane sottoposte alla pressione di nuovi modi di vita». Il discernimento può dunque condurre ad un comportamento che contraddice la legge morale, senza farsi troppi problemi. Continua Bordeyne: «Le scienze umane e l’esperienza delle coppie ci insegnano che i rapporti tra desiderio e piacere sono complessi, eminentemente personali e dunque variabili secondo le coppie, ed evolvono nel tempo e all’interno della coppia. Davanti all’imperioso dovere morale di lottare contro le tentazioni dell’aborto, del divorzio e della mancanza di generosità di fronte alla procreazione, sarebbe ragionevole rimettere il discernimento sui metodi di regolazione delle nascite alla saggezza delle coppie».

È il De Profundis di Humanae Vitae, peraltro già celebrato sulla cattedra di Bioetica dell’Istituto da Maurizio Chiodi, chiamato da Vincenzo Paglia a dar man forte alla rivoluzione nel 2019. Bordeyne prospetta così una duplice via: quella «dei metodi naturali che implica la continenza e la castità potrebbe essere raccomandata come un consiglio evangelico, praticato dalle coppie cristiane o non, che richiede la padronanza di sé nell’astinenza periodica. L’altra via la cui liceità morale potrebbe essere ammessa, con la scelta affidata alla saggezza degli sposi, consisterebbe nell’usare dei metodi contraccettivi non abortivi. Se gli sposi decidono d’introdurre questo medicamento nell’intimità della loro vita sessuale, sarebbero incoraggiati a raddoppiare il loro mutuo amore. Quest’ultimo è il solo a poter umanizzare l’uso della tecnica, al servizio di un’ecologia umana della generazione». Insomma, la castità coniugale diventa come quella religiosa: un consiglio evangelico, a cui però non tutti sono tenuti. Anzi, chi invece opta per la nuova “via comune”, quella della contraccezione non abortiva, si troverebbe addirittura davanti alla straordinaria missione di umanizzare la tecnica...

Bordeyne dev’essersi perso nell’intricato reticolato di tracce mnestiche scavate dal suo continuo discernimento, se pensa che le sue affermazioni possano anche solo lontanamente apparire come uno sviluppo dell’insegnamento della Chiesa. Se magari, anziché perdersi dietro la complessità del rapporto tra desiderio e piacere, avesse dedicato il suo tempo a comprendere le dinamiche della tentazione e delle passioni, avrebbe capito quello che i piccoli secondo Dio sanno da tempo: che la lussuria ha molti volti e che la fornicazione e l’adulterio sono sempre peccato. Punto e basta.

- L'ASSALTO ALL'ISTITUTO GIOVANNI PAOLO II (IL DOSSIER)