Blasfemia ai Giochi, invocare la libertà religiosa non basta
Dopo l’odiosa parodia dell’Ultima Cena, molte critiche hanno fatto appello alla libertà di religione o alla neutralità dello Stato. Ma questi due presupposti non sono sufficienti a motivare la condanna di quanto avvenuto a Parigi.
Di fronte alla scandalosa esibizione parigina in occasione della cerimonia di inaugurazione dei Giochi olimpici, spesso l’atteggiamento critico – quando c’è – si fonda sulla libertà di religione e sulla neutralità dello Stato. Il primo punto permette di criticare l’odiosa parodia dell’Ultima Cena perché offensiva nei confronti dei cristiani e quindi lesivo della loro libertà di religione. Il secondo fonda la critica sul presupposto che lo Stato laico deve essere neutro e indifferente rispetto alle religioni, quindi se ne offende qualcuna prende una posizione irreligiosa o discriminante che contrasta con la sua neutralità.
A ben vedere, però, questi due presupposti non sono sufficienti a motivare fino in fondo la condanna di quanto è avvenuto a Parigi. Il diritto alla libertà di religione, infatti, può essere proprio anche di chi condivide la religione del laicismo, o del materialismo, o del relativismo. Anche visioni della vita e filosofie pretendono di avere gli stessi diritti delle religioni, e del resto confucianesimo e buddismo non sono religioni nel senso proprio del termine perché sono piuttosto forme di “saggezza” umana. Anche l’ateismo oggi viene equiparato alle religioni, quanto a diritto alla libertà di espressione nella società e perfino nella Chiesa. Si potrebbe dire che, per il principio della libertà di religione, anche l’ateismo – ossia la negazione della religione – sia una religione. Che il laicismo occidentale, che da secoli combatte e irride il cristianesimo, abbia una forza religiosa, pur non essendo una religione, sembra evidente a molti. Quando si abbraccia il principio della libertà di religione così come viene inteso oggi, bisogna mettere in conto che anche chi lo nega può rifarsi ad una religione e quindi avere tutti i diritti di denigrare l’Ultima Cena.
Lo stesso si può dire circa lo Stato neutro e laico. Dichiarandosi tale, lo Stato manifesta un’evidente indifferenza per la verità delle religioni, ponendole tutte sullo stesso piano. Basta che si tratti di religione, si dice, e lo Stato la rispetta e la fa rispettare. Allo Stato non competerebbe il dovere di valutare la verità delle religioni, perché sarebbe un’ingerenza in un campo non suo e un esorbitare dalla sua neutralità laica. Ma in questo modo lo Stato non ha nessun criterio valido per limitare o criticare o impedire la manifestazione di una qualsiasi religione, anche quella che denigri le altre religioni, come nel caso parigino.
Il principio della libertà religiosa è oggi proprio anche della Chiesa cattolica che lo fonda sulla dignità della persona umana. Questo vuol dire che il cristianesimo cessa di pretendere di avere un diritto particolare nella sfera pubblica e chiede niente di più di quanto chiedono le altre religioni. Niente di più nemmeno della religione dell’irreligiosità, quindi, che è pure essa una religione. Anche le drag queen dell’irriverenza religiosa sono persone con la loro dignità.
Stefano Fontana