Biden punta alla presidenza, travestito da moderato
Si chiude oggi la Democratic National Convention, con la nomina ufficiale di Joe Biden. Lo presentano come un moderato capace di riportare l'America alla "normalità" e porre fine alla polarizzazione. Ma è davvero un moderato? No, a detta degli stessi commentatori di sinistra. Il suo programma è il più estremo dai tempi di Roosevelt
I Democratici concludono oggi la loro kermesse, la Democratic National Convention, con la nomina ufficiale di Joe Biden a candidato presidente degli Stati Uniti. Si preparano a vincere, stando ai sondaggi tutti favorevoli a loro, non solo per la Casa Bianca, ma anche per il Congresso. E dunque, dopo quattro anni di lotta contro Trump, lanciano un messaggio che risulti, il più possibile, unificante. Trump viene additato come il responsabile della polarizzazione della società americana. Biden viene indicato come l’uomo della riconciliazione.
I toni dei discorsi, gli ospiti bipartisan e la simbologia utilizzati nel corso della Convention puntano tutti a questo scopo: alla ricucitura del popolo americano. La retorica di Black Lives Matter è scomparsa, anche se i disordini continuano. La bandiera americana garrisce nei video, benché sia un rischio sventolarla nelle manifestazioni violente degli Antifa. Nella propaganda dei Democratici fa capolino anche Ronald Reagan, con la sua storica campagna del 1984 “Morning America”. Repubblicani di vecchia data hanno partecipato come oratori, virtuali (prima di tutto si sono evitati gli assembramenti, causa Covid-19). Fra di essi, oltre a Cindy McCain, ultima moglie di John McCain (candidato presidente nel 2008), anche John Kasich, già governatore dell’Ohio, uno degli Stati in bilico, sconfitto da Trump nelle primarie del 2016. Kasich, che è un pro-life convinto, non è stato gradito per questo motivo dalla sinistra dei Dems. In particolare, Alexandria Ocasio Cortez ha espresso più di una riserva: “Possiamo costruire ponti e non perdere di vista i nostri valori. È importante ricordare che Kasich è un anti-abortista estremista”. Biden e la sua vicepresidente Kamala Harris, fanno dell’aborto uno dei cavalli di battaglia della loro politica, su questo la Cortez può dormire sonni tranquilli.
Ma questo episodio fa capire quanto tutta la campagna si basi su un grande equivoco. Il Partito dell’asinello si presenta come una formazione che in Italia verrebbe chiamata “partito-nazione”, capace di raccogliere consensi sia a destra che a sinistra. Ma il suo programma reale si è spostato drasticamente a sinistra, anche per conciliare gli uomini di Bernie Sanders, lo sconfitto (a testa alta) nelle primarie, ma sempre influente. Senza dimenticare che anche il “clan” dei Clinton, con Hillary, si è estremizzato su posizioni liberal. E che l’ex presidente Obama, con le sue numerose apparizioni in pubblico, è sempre più influente sul suo ex vice Biden e potrebbe essere il vero presidente dietro le quinte, con il suo intento di completare la rivoluzione verde, sanitaria e sociale.
Biden viene mostrato al pubblico generalista come un moderato. Di lui si ricordano battaglie combattute in passato, come la legge anti-crimine del 1994, battute contro i programmi socialisti di Bernie Sanders (soprattutto contro la nazionalizzazione della sanità, in cui citò come esempio negativo… la sanità pubblica dell’Italia, in tempo di Covid), oppure la sua distanza dal movimento più radicale di Black Lives Matter e degli Antifa. Tuttavia, gli stessi editorialisti liberal, che si rivolgono ad un pubblico di sinistra, lo presentano come il più progressista dei candidati, almeno dai tempi di Franklin Delano Roosevelt. Peter Beinart, su The Atlantic, per esempio scrive: “Nonostante abbia abbracciato un’agenda che è più a sinistra di quella di qualsiasi candidato democratico da decenni, ha evitato proposte politiche e slogan su cui i repubblicani avrebbero potuto attaccarlo più facilmente. Di conseguenza, sembra più centrista di quanto non sia in realtà. Punto per punto, ha adottato politiche che sono sorprendentemente progressiste mentre si ferma solo poco prima di abbracciare istanze specifiche che potrebbero esporlo troppo agli attacchi repubblicani”. Il presunto “moderatismo” di Biden, insomma, sarebbe solo una forma di dissimulazione, mentre il contenuto del suo programma è estremista. E questo lo ammette anche un editorialista di sinistra, non è un sospetto di qualche giornalista conservatore.
Il sempre ben informato Washington Post, anch'esso di area liberal, è dello stesso parere. Il commentatore Paul Waldman scrive, infatti: “Quando il senatore Bernie Sanders ha recentemente affermato che ‘se Joe Biden attuasse la sua agenda politica, potrebbe essere il presidente più progressista dai tempi di Roosevelt’, probabilmente aveva ragione. In effetti, sta accadendo qualcosa di straordinario: Biden sta diventando più progressista nella sostanza, ma non ha fatto nulla per cambiare la sua immagine di moderato. [Questo è] evidentemente il prodotto di un’attenta strategia di Biden. La sua continua evoluzione è una vicenda affascinante, di cui probabilmente la maggior parte del pubblico non è a conoscenza. Prendiamo, ad esempio, il piano sulla lotta ai cambiamenti climatici che Biden ha pubblicato questa settimana. L’elettore medio - che in questo momento sta prestando attenzione alla campagna presidenziale solo superficialmente - probabilmente non ne ha sentito quasi mai parlare. Ma la reazione dei progressisti e degli attivisti per il clima oscilla tra sorpresa e gioia”.
Estremista anche sul piano dei valori, con un’agenda politica tutta sbilanciata su aborto e “nuovi diritti”, condivisa dalla vicepresidente Kamala Harris, come abbiamo già constatato su queste colonne, Biden punta anche al Verde del Green New Deal e al Rosso di un programma sociale senza precedenti. Ha previsto investimenti multi-miliardari sulle energie rinnovabili, sul raggiungimento dell’obiettivo “emissioni zero” entro il 2050, altri miliardi sulla scuola statale, sull’edilizia popolare, sulle infrastrutture pubbliche e punta all’incremento del salario minimo garantito. Eppure vuole il voto dei grandi imprenditori, specie quelli che hanno dichiarato guerra al presidente in carica. Da ultima anche la Goodyear (quella delle gomme) che vieta ai suoi dipendenti di indossare il berretto Make America Great Again della campagna di Trump.