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IL VIAGGIO

Biden in Medio Oriente per ribadire l’impegno USA

Quattro giorni in Israele, Cisgiordania e Arabia Saudita per Joe Biden. Un viaggio non facile, segnato da luci e ombre, con molti interrogativi e un unico punto fermo: confermare agli alleati la presenza americana in Medio Oriente.

Esteri 14_07_2022

Non sarà facile la visita del presidente degli Stati Uniti in Israele, Cisgiordania e Arabia Saudita, iniziata il 13 luglio e che durerà fino al 16. In questa sua prima visita ufficiale da presidente, Joe Biden incontrerà il primo ministro provvisorio israeliano, Yair Lapid, il presidente palestinese Mahmud Abbas e il principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman.

I colloqui con i rappresentanti dei tre Paesi hanno l’obiettivo di ribadire che gli USA non hanno alcuna intenzione di disimpegnarsi dal Medio Oriente e di abbandonare gli alleati. Sarà, dunque, una missione ricca di appuntamenti e aspettative. Quattro giorni intensi, ma non privi di potenziali trappole, durante i quali Biden si dovrà muovere con molta cautela tra due Paesi amici-nemici, Israele e Arabia Saudita, che non hanno relazioni diplomatiche, ma che stringono rapporti riservati, rafforzatisi nel corso del tempo. Entrambi, però, hanno un comune nemico: l’Iran.

La missione di Biden è il risultato di mesi di trattative diplomatiche. «Andrò in Medio Oriente», ha scritto il presidente americano in un suo intervento pubblicato sabato scorso sul Washington Post, «per iniziare un nuovo e più promettente capitolo dell’impegno americano in quei luoghi. Questo viaggio arriva in un momento vitale per la regione e farà avanzare importanti interessi americani». Il capo della Casa Bianca ha poi aggiunto: «So che molti non sono d’accordo con la mia decisione di andare in Arabia Saudita. Le mie opinioni sui diritti umani sono chiare e di lunga data e le libertà fondamentali sono sempre sul tavolo quando viaggio all’estero e lo saranno anche durante questo viaggio, proprio come lo saranno in Israele e in Cisgiordania».

Nei Territori Occupati, Biden avrà colloqui con Mahmoud Abbas, che probabilmente solleverà la questione delle operazioni militari israeliane e in particolare delle incursioni nell’area di Jenin, il villaggio alle porte di Ramallah, in cui sono state uccise decine di palestinesi, nonché la morte della giornalista di Al Jazeera, Shireen Abu Akleh. A tal proposito, la portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti umani (Ohchr), Ravina Shamdasani ha affermato che le informazioni raccolte dalle Nazioni Unite indicano che il colpo d’arma da fuoco, che lo scorso maggio ha ucciso la giornalista palestinese con cittadinanza americana, è partito dalle forze di sicurezza israeliane e non da uomini armati palestinesi. La morte della cronista, che stava documentando un’operazione dell’esercito di Tel Aviv, proprio nel campo profughi di Jenin, ha sollevato l’indignazione di numerose organizzazioni in difesa dei diritti umani e della libertà di stampa, oltre che di larga parte del mondo arabo. Da parte sua, Biden dovrebbe riaffermare la proposta dei due Stati, con capitale Gerusalemme, come soluzione pacifica del problema palestinese, per garantire libertà, sicurezza, prosperità e dignità sia ai palestinesi che agli israeliani. Il presidente degli Stati Uniti giunge in Cisgiordania, dopo aver ricomposto le relazioni con i palestinesi e restituito all’Autorità Palestinese 500 milioni di dollari di aiuti, bloccati da anni.

In Israele, il presidente degli Stati Uniti avrà colloqui con il primo ministro ad interim, Yair Lapid, con l’obiettivo dichiarato dell’America di rilanciare l’integrazione di Israele nella regione. Le due questioni su cui Biden e Lapid hanno punti di vista diversi sono: l’accordo nucleare con l’Iran, ormai vicino a produrre uranio arricchito per usi militari, l’estensione degli insediamenti israeliani e la riapertura del consolato statunitense a Gerusalemme. Che Lapid non voglia creare problemi all’illustre ospite lo dimostra il fatto che proprio in questi giorni, il governo israeliano ha bloccato temporaneamente la costruzione di 2000 appartamenti a Gerusalemme est: il piano edilizio era stato aspramente criticato da Biden, anche perché la realizzazione di questi immobili sarebbe di ostacolo alla soluzione dei due Stati. Tra Biden e Lapid si parlerà anche di sicurezza: la difesa aerea del Medio Oriente sarà uno degli argomenti principali. Il ministro della Difesa, Benny Gantz, ha affermato nei giorni scorsi, che intende portare a conoscenza del presidente americano la questione del lavoro svolto con gli alleati della regione contro l’Iran. Gantz ha aggiunto che il programma è già operativo e ha consentito l’intercettazione dei tentativi iraniani di attaccare Israele e altri paesi. 

In Arabia Saudita, Joe Biden arriverà da Tel Aviv. «In Arabia Saudita», ha scritto Biden sempre sul Washington Post, «abbiamo invertito la politica degli assegni in bianco che avevamo ereditato. Ho desegretato il rapporto dell’intelligence sull’omicidio di Jamal Khashoggi, ho emesso nuove sanzioni e settantasei divieti di visto. La mia amministrazione ha chiarito che gli Stati Uniti non tollereranno minacce e molestie extra-territoriali contro dissidenti e attivisti da parte di qualsiasi governo. Abbiamo anche sostenuto i cittadini americani detenuti ingiustamente in Arabia Saudita molto prima del mio insediamento. Da allora sono stati rilasciati e continuerò a fare pressioni affinché le restrizioni sui loro viaggi vengano revocate».

Biden chiederà ai sauditi di aumentare la produzione del greggio per calmierare il prezzo alle stelle che per la prima volta ha superato negli Stati Uniti i 5 dollari al gallone. Sarà una richiesta vana, in quanto apparentemente l’Arabia Saudita non ha capacità sufficienti per aumentare la produzione di petrolio in grado di compensare la carenza di greggio generata dalla Russia a causa della guerra. È un viaggio sicuramente con molte ombre e ostacoli. E nonostante Biden abbia messo nel conto che la sua missione, per certi versi, sia impossibile, sicuramente un obiettivo sarà centrato: quello di confermare ai suoi interlocutori che gli Stati Uniti rimarranno impegnati nella regione, anzi intenzionati a consolidare la presenza americana in Medio Oriente.