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FAVOLE

Biancaneve, la vera bellezza vince la vanità

Sia con la matrigna che coi nanetti la principessa sceglie di giocarsi di persona, e mettersi a servizio, trasformando la bellezza in grazia. Cade di fronte al male soltanto quando questo si presenta sotto forma di bene e per questo verrà salvata da chi le ridona la vita.

Attualità 21_04_2012
Biancaneve

«C’era una volta – era d’inverno e i fiocchi di neve scendevano dal cielo come piume – una regina che cuciva vicino a una finestra dalla cornice d’ebano. Cuciva e guardava ogni tanto la neve, ma poi si punse un dito con l’ago e sulla neve caddero tre gocce di sangue. Il rosso del sangue le parve così bello sulla neve candida che pensò: “Ah, se avessi una bambina bianca come la neve, rossa come il sangue e nera come l’ebano!”».

Così inizia la favola di Biancaneve, una favola così ricca di elementi cristiani e d’insegnamenti preziosi, non solo per i bambini! Che le favole, il regno delle fiabe e delle fate, siano una cosa da non sottovalutare ce lo insegnano anche due grandi autori inglesi, G. K. Chesterton e J.R.R. Tolkien. Il primo dedica, con la sua solita deliziosa ironia, un intero capitolo del suo Ortodossia – un libro imperdibile – alla Morale delle favole. Questa rappresenta per lui la prima ed ultima filosofia, imparata da bambino dalla nutrice: “le cose in cui ho sempre creduto di più, allora ed ora, sono le cosiddette novelle delle fate, che a me sembrano essere cose interamente ragionevoli. Non sono fantasie: tante altre cose, a loro confronto, sono fantastiche”». Il regno delle favole è pieno di strane proibizioni, parole magiche, castelli di vetro – «questo fugace luccichio di vetro che ricorre dappertutto sta a dimostrare che la felicità è brillante, ma fragile» – ma in esse emerge l’esaltazione degli umili, il castigo ai superbi, l’eroismo e la sensazione che ciò che c’è è il frutto di una scelta, è stato fatto! «Il mondo moderno come io lo trovai si basava saldamente sul calvinismo moderno, sulla necessità che le cose fossero come sono», «ho trovato tutto il mondo moderno che parlava di fatalismo scientifico; diceva che ogni cosa è come ha sempre dovuto essere, essendosi sviluppata senza deviazioni dal suo inizio. La foglia dell’albero è verde perché non avrebbe mai potuto essere di altro colore. Il filosofo delle novelle delle fate è contento che la foglia sia verde precisamente perché avrebbe potuto essere scarlatta; ha la sensazione che sia diventata verde un istante prima che egli la guardasse. (…) Ogni colore ha in sé il potere e il coraggio di una scelta».

Per Chesterton quello che i filosofi moderni hanno voluto toglierci, ossia la gioia di essere stati creati, voluti, ci è restituita dalle favole: «Le sole parole che mi sono sembrate sempre soddisfacenti per descrivere la natura sono quelle usate nei libri delle fate: “malia”, “incantesimo”. Queste esprimono l’arbitrarietà del fatto e il suo mistero. Un albero dà i frutti perché è un albero magico. L’acqua scorre verso il piano perché è fatata; il sole splende perché è fatato». Col dirci che il mondo è una grande magia, Chesterton vuol dirci che è esso è frutto di una grande scelta, un grande ma fragile gioco a cui siamo chiamati a partecipare. Di questo ci avvisa la morale del paese delle fate!

Anche Tolkien nel suo saggio Sulle fiabe dice che: «è stato nelle fiabe che, per la prima volta, ho scoperto la potenza delle parole e la meraviglia di cose come la pietra, il legno, il ferro, la casa e il fuoco, il pane e il vino». La realtà, quella realtà che siamo abituati a vedere ogni giorno, rischia di sfuggirci, di non coglierla per ciò che veramente è: una meraviglia, un dono. Le favole ci aiutano a scoprire la natura meravigliosa della realtà. Inoltre, se il cammino della scienza è transitorio e rende le cose subito obsolete, «è certo che le fiabe hanno molte cose più permanenti e fondamentali di cui parlare», sostiene Tolkien. E questo credo sia proprio il caso della favola di Biancaneve, una bambina che rappresenta la bellezza originale di ogni bambino, una bellezza minacciata da un nemico antico e presente. La matrigna di Biancaneve che non ha nome, è senza identità – l’intuizione dei Grimm sembra essere che quando una persona si dà interamente all’infinita lontananza dal bene perde la sua identità – rappresenta l’invidia del demonio verso l’uomo: «invidia e superbia non le davano pace né giorno né notte». Essa arriva addirittura a voler mangiare quelli che crede essere il fegato e i polmoni di Biancaneve, tanto è folle il suo odio. Ma, come sappiamo, Biancaneve non viene uccisa dal cacciatore compassionevole e dopo aver vagato nel bosco trova riparo nella casetta dei sette nani.

La storia è ricca di particolari interessanti. Mentre Biancaneve cammina nel bosco le fiere le passano accanto senza farle del male, questo sembra ricordare tante storie di santi che hanno convissuto e sono stati addirittura serviti da belve feroci: il creato riconosce nei miti l’antico ordine. I nani sono sette, quasi una rappresentazione dei sette arcangeli, e, pur essendo lei una principessa, le insegnano a svolgere lavori umili, a servire. Essi la avvisano del fatto che la sua nemica sarebbe presto arrivata a minacciarla, quindi, le comandano di non far entrar nessuno. Biancaneve disobbedisce per tre volte a quest’ordine, e per tre volte cade sotto la tentazione della matrigna che si traveste e si presenta alla porta della casetta dei nani. Il nemico non è stupido, sa ingannare, fin dal principio fa apparire il male sotto forma di bene, porta alla disobbedienza, e la disobbedienza, a lungo andare, porta alla morte (diceva San Bernardo: «conserva l’ordine e l’ordine ti conserverà»: la disobbedienza è anche vivere in modo non corrispondente alla ragione, al bene e alla propria natura). Biancaneve scende in uno stato di morte dal quale solo un principe innamorato della sua bellezza riesce a svegliarla. Cristo, innamorato della bellezza perduta dell’uomo lo libera, gli ridona vita e, «come un giovane sposa una vergine», così il Creatore sposa la sua creatura.

Il film diretto dall’indiano Tarsem Singh (regista tra l’altro di The Cell e del video dei Rem Losing my religion), e scritto da Marc Klein (Serendipity, e Una buona annata) apporta delle variazioni interessanti alla favola. I nani sono gli esclusi del villaggio, i brutti, i non voluti, eppure sono loro a salvare Biancaneve. In un tempo come il nostro dove i “difettosi” vengono scartati, ossia uccisi, mi sembra una cosa importante mostrare proprio loro come eroi, come forti. Biancaneve, nobile, non si vergogna di servire quei farabutti, anzi, imparerà da loro a combattere e capirà che per essere una buona governante, una principessa deve giocarsi di persona e non può lasciare che sia qualcun altro a farlo al posto suo. Alla fine lei si salverà perché non cede alla tentazione, alle lusinghe del nemico, un’intuizione proprio bella questa da parte degli autori del film. Mi sembra ancora una felice intuizione il prezzo che la matrigna deve pagare per tutti i malefici compiuti nel corso della sua vita. Questa pena non sarà solo una mortificazione per la sua vanità, ma anche l’evidenza di come era diventata la sua anima: il male, il peccato fa invecchiare, anche se giovani. L’unica pecca della storia, l’unica tristezza, è il matrimonio in stile laicista celebrato dal re.

Il film, a mio parere, è girato bene, ha ritmo, le scenografie, i costumi sono belli, e gli attori bravissimi, in particolare Lily Collins (che ha avuto la fortuna di lavorare anche per un altro film dai contenuti importanti: The Blind Side), e poi il video finale con il ballo in stile Bollywood è troppo forte! Credo che questi film senza volgarità, puliti e ricchi di insegnamenti siano un dono.
Dunque, sono solo favole? Bisognerebbe chiedersi perché mai esista un genere «favola» e quale sia la sua origine. Ma perché questo ci dovrebbe mai importare? Credo perché in un mondo molto materialista, tecnicista, relativista, immorale, che spersonalizza gli individui – dimentico qualcosa? Ah sì –, incapace di guardare alle stelle, come è il nostro, le favole ci riportino ad un mondo pieno di senso e di buon senso, a delle leggi eterne, a qualcosa di antico, di arcaico e di vero che ci avvicina alla nostra origine, al nostro Creatore.

Diceva Romano Guardini che un mondo non creato semplicemente non esiste, è un inganno di certi filosofi. Le favole possono aiutarci a riconoscere il mondo per ciò che è, il frutto di una grande «magia». Ogni cosa è incantata, ogni creatura e l’uomo in particolare è una cosa «strana», viene da chissà quale mondo, è una meraviglia. E le grandi leggi su cui è stata fondata questa «magia» vanno rispettate. Si capisce?