Berlusconi, c'è stata anche persecuzione giudiziaria
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Dall’anno della sua discesa in campo sono stati imbastiti processi, anche mediatici, spesso sfociati nel nulla, con un’unica condanna definitiva. La sinistra ha sperato di trarne vantaggio politico. Ma nei fatti Berlusconi è apparso quasi come un martire del giustizialismo, anche quando forse non lo era.
La morte di Silvio Berlusconi per tante ragioni è un evento epocale. Per giorni i media parleranno prevalentemente della scomparsa dell’ex premier, che ha segnato la storia italiana in tanti campi, da quello imprenditoriale a quello politico, da quello calcistico a quello dei costumi e dell’informazione. Tra gli aspetti più controversi della sua figura c’è il rapporto con la giustizia. Dal 1993, anno della sua discesa in campo, è iniziata tra Silvio e alcune procure, in particolare quella di Milano, una guerra senza esclusione di colpi, che ha condizionato profondamente le dinamiche politiche nazionali, alterando e turbando l’equilibrio tra i poteri.
Di quel giustizialismo, che ha alimentato per anni un cortocircuito tra giustizia e informazione, di cui Berlusconi è stato il principale bersaglio, restano solo macerie. Una parte politica, la sinistra, ha sperato per anni di beneficiare delle disgrazie giudiziarie dell’eterno rivale, ma quasi mai ci è riuscita, anzi il clima giustizialista che ha dominato la scena politica italiana negli anni del berlusconismo ha prodotto solo livore, cattiveria e odio sociale.
Ci si chiede se non sia esagerata l’espressione «persecuzione giudiziaria» applicata a Silvio Berlusconi. Probabilmente non lo è, perché l’accanimento nei suoi confronti da parte di settori altamente politicizzati della magistratura ha raggiunto livelli di guardia per molti anni, ispirando inchieste pretestuose che hanno inciso sulle casse del già dissestato pianeta giustizia e che abbiamo pagato tutti quanti noi cittadini di tasca nostra. Fiumi di denaro pubblico sono stati utilizzati per combattere battaglie di natura politica spesso sfociate in nulla, anzi paradossalmente servite a far apparire Berlusconi come un martire anche quando forse non lo era.
Circa 30 anni di procedimenti che hanno visto implicato il leader di Forza Italia e più di un centinaio di avvocati che hanno lavorato per Berlusconi e le sue società. Decine di processi e più di 4.000 udienze per tentare di incastrarlo perfino sulle sue amicizie femminili.
Ma si era capita subito l’aria che tirava quando entrò in politica. Già il 22 novembre 1994, pochi mesi dopo il suo trionfo elettorale del 27 marzo 1994, mentre presiedeva come presidente del Consiglio a Napoli il vertice Onu sulla criminalità transnazionale, a Silvio Berlusconi fu notificato dal pool di Mani Pulite un avviso di garanzia. Evidente il tentativo di delegittimare sul piano internazionale l’azione del suo governo, che di lì a poche settimane cadde.
Da quel momento si è scatenato l’inferno contro Berlusconi, che è stato quattro volte presidente del consiglio; soprattutto da capo del governo è stato letteralmente preso di mira da quei settori della magistratura che non hanno mai digerito la sua ascesa e il suo successo politico. L’odio politico che ha ispirato molte delle inchieste nei suoi confronti è emerso negli anni successivi. Peraltro gli stessi settori del mondo giudiziario hanno tentato negli anni successivi di azzoppare altri personaggi della vita politica del Paese, da Matteo Salvini a Matteo Renzi.
Chi nega la persecuzione giudiziaria anti-berlusconiana e cataloga le inchieste che hanno coinvolto il fondatore di Forza Italia come semplice e legittima attività dei magistrati, sottolinea come molti processi si siano conclusi con la prescrizione più che con l’assoluzione. Dal 1994, anno del suo primo successo politico, Berlusconi ha dovuto rispondere di almeno 40 capi d’imputazione, fra i quali corruzione, falso in bilancio, concorso esterno in associazione mafiosa, riciclaggio, concorso in stragi, frode fiscale, corruzione giudiziaria, finanziamento illecito ai partiti, appropriazione indebita, aggiotaggio, insider trading, rivelazione di segreto d’ufficio, concussione, favoreggiamento della prostituzione minorile, traffico di droga, eccetera.
L’unica condanna definitiva è arrivata il 1° agosto del 2013: quattro anni di reclusione per frode fiscale nel processo sui diritti tv Mediaset (nel giugno del 2020 la vicenda è tornata a galla per la registrazione in cui il relatore in Cassazione di quella sentenza, Amedeo Franco, parla di «plotone d’esecuzione» nei confronti del leader di Forza Italia). Quel verdetto ha portato all’espulsione del Cavaliere dal Senato e all’affidamento ai servizi sociali per un anno. Svariate invece le sentenze definitive di assoluzione che hanno riguardato Berlusconi.
L’apoteosi della persecuzione giudiziaria si può forse rintracciare nel processo Ruby, che ha certamente nuociuto al Cavaliere in termini d’immagine, grazie a quella miscela esplosiva tra giustizia e informazione che si chiama processo mediatico. I media lo hanno letteralmente crocifisso in quegli anni, azionando senza pietà la macchina del fango. Dopo la condanna a 7 anni in primo grado nel processo “Ruby” per concussione e prostituzione minorile, il leader di Fi è stato assolto in appello e poi in Cassazione. Il 15 febbraio scorso, poi, Berlusconi è stato assolto a Bari anche nel processo “Ruby ter”, nel quale era accusato di corruzione in atti giudiziari.
Le zone d’ombra riguardano invece le sentenze di non doversi procedere per intervenuta prescrizione. Ci sono anche quelle, infatti, nella storia giudiziaria dell’ex premier.
Infine, last but not least, il leader di Fi era finito più volte sotto inchiesta come mandante esterno delle stragi di mafia del 1992-’93. Berlusconi venne indagato una prima volta dalla procura di Palermo poco dopo la sua discesa in campo del 1994: caso poi archiviato; indagato e archiviato anche a Caltanissetta e infine indagato più volte dalla procura di Firenze. L’ultimo capitolo fiorentino si era arricchito grazie al “filone Baiardo”, il favoreggiatore dei boss Graviano, con la presunta foto che immortalerebbe Silvio Berlusconi in compagnia del generale dei carabinieri, Francesco Delfino, e del boss di Brancaccio, Giuseppe Graviano.
C’è da sperare che la morte del Cavaliere possa coincidere con una definitiva pacificazione dei rapporti tra parte della giustizia e del mondo politico e con un salutare riequilibrio di quelle relazioni, viziate per trent’anni da un odio preconcetto nei confronti di un uomo che ha goduto a lungo del gradimento della maggioranza degli italiani.