«Benedetto XVI dottore della Chiesa: ha lottato per la fede dei semplici»
Benedetto XVI santo subito? «Deciderà il Papa, io penso sia stato un dottore della Chiesa con il suo magistero. Ha sempre lottato per la fede dei semplici. La centralità della domanda di Dio e il cristocentrismo sono i due punti forti della sua teologia». Intervista al cardinal Koch, che Ratzinger volle a tutti i costi con sé in Vaticano e diventò uno dei suoi collaboratori più fidati: «Gli dissi che non volevo lasciare la mia diocesi, mi rispose: “Ti capisco, ma vieni”».
- ADDIO A BENEDETTO XVI
Quando nacque il nuovo Schülerkreis formato da teologi che non avevano studiato con il professor Joseph Ratzinger, ma che avevano approfondito da soli la sua sconfinata opera, Benedetto XVI volle come loro mentore il cardinale Kurt Koch. Il prelato svizzero poteva contare sulla piena fiducia del Papa emerito recentemente scomparso, del quale questa mattina si terranno le esequie in San Pietro, che lo considerava il più affidabile nel presentare la corretta interpretazione del Concilio Vaticano II e sulla riforma liturgica. Il prefetto del Dicastero per la promozione dell'unità dei cristiani, senz'altro uno dei membri del Sacro Collegio più vicini a Ratzinger, ha ricevuto la Bussola nel suo studio in via della Conciliazione per un'intervista sulla figura del suo maestro.
Eminenza, un suo ricordo personale di Benedetto XVI.
La prima conoscenza con lui è stata attraverso i libri. All'inizio dei miei studi, infatti, ho letto tutti i libri del professore Joseph Ratzinger ed in particolare "Introduzione al cristianesimo". Poi, come vescovo di Basilea ho avuto dei contatti quando lui era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Nel 2010, quando era già Papa, mi ha chiamato a lavorare a Roma. E questo incontro per me è stato molto interessante.
Ce lo racconti.
Aveva espresso la sua volontà di avermi in Curia. Io allora risposi che dopo quindici anni come vescovo non era facile lasciare la mia diocesi. La sua risposta è stata questa: “Sì, ti capisco, ma quindici anni sono sufficienti. Quindi vieni”.
Le ha spiegato perché voleva proprio lei per guidare il Pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani?
Sì. Mi disse che dopo il mandato del cardinale Walter Kasper voleva di nuovo un vescovo che conoscesse le comunità ecclesiali nate dalla Riforma non solo dai libri ma anche dall'esperienza personale. Questa motivazione mi ha fatto capire che l'ecumenismo stava molto a cuore a Benedetto XVI. Da presidente del Pontificio Consiglio ho avuto una stretta collaborazione con lui ed ogni udienza era molto bella perché lui era molto interessato alla progressione dell'ecumenismo. Poi, quando era Papa emerito, ho avuto la gioia di incontrarlo qualche volta ed era sempre una ricchezza per me.
Dopo la rinuncia continuava ad interessarsi al suo lavoro per la promozione dell'unità dei cristiani?
Principalmente abbiamo sempre parlato del lavoro dei gruppi di allievi perché lui mi aveva voluto come mentore. Ma è chiaro che si interessava anche al resto e le sue domande erano: “Come va il rapporto con Costantinopoli? Come va con Mosca? Come va con le chiese luterane?”. Si mostrò sempre molto interessato, sì.
In un testo da lei scritto in occasione dei novanta anni del Papa emerito, aveva sottolineato la coincidenza della sua nascita avvenuta proprio il Sabato Santo. La morte, invece, è avvenuta durante l'Ottava di Natale. Che lettura dà a questa circostanza temporale?
Sì, è avvenuta proprio nel tempo natalizio che stava molto a cuore a Benedetto XVI. Ma penso ci sia un altro dato da evidenziare: la sua elezione al soglio pontificio avvenne nello stesso giorno di quella di Leone IX mentre è morto nello stesso giorno di papa Silvestro. Sabato Santo era molto importante per lui perché questo giorno indica la situazione di ogni cristiano: siamo in cammino verso Pasqua ma non abbiamo ancora l'esperienza di Pasqua. Ed oggi Benedetto XVI può celebrare la Pasqua, la Resurrezione e l'incontro con il suo Maestro.
Cosa ritroviamo nel pensiero e nel magistero di Joseph Ratzinger- Benedetto XVI sulla vita eterna?
La meta della vita cristiana è la vita eterna. Il professor Joseph Ratzinger diceva che il suo libro più studiato era "Escatologia. Morte e vita eterna". Mentre la seconda enciclica scritta come Papa era sulla speranza. La speranza cristiana è la speranza della Resurrezione. Questo è lo scopo per ogni cristiano: convertirsi nella vita terrena per arrivare alla vita eterna.
C'è chi invoca la sua canonizzazione immediata. In che modo Benedetto XVI vedeva i santi e che posto dava loro nella vita della Chiesa?
Lui era convinto che i veri riformatori della Chiesa fossero sempre i santi perché la santità è lo scopo della vita cristiana. C'è una bellissima omelia in cui papa Benedetto dice che la santità non è una proprietà esclusiva di pochi ma una vocazione per tutti perché nel giardino di Dio sono moltissimi i fiori. Paragonò lo stupore provocato dalla visione di un giardino con una varietà di fiori a quello che ci coglie davanti alla comunione dei santi con una pluralità di forme di santità. La comunione dei santi è un tema molto importante per lui tant'è che ne parla già nell'omelia per la Messa di inizio ministero petrino. Ma altrettanto importante era la comunione degli uomini: la sua priorità, infatti, è quella di riflettere sulla fede della comunità della Chiesa, non sulla teologia.
A questo proposito, perché nei commenti di questi giorni si sente ancora qualcuno che lo descrive come un pastore incapace di parlare ai fedeli semplici, sebbene egli abbia sempre concepito sé stesso e il ruolo del vescovo come quello di avvocato della fede del Popolo di Dio?
Ha sempre lottato per la fede dei semplici. La teologia è una cosa secondaria, prima viene la fede. La teologia, sosteneva, deve essere orientata dalla fede, e non la fede orientata dalla teologia. Non si può affatto dire che lui fosse distante dal popolo. Non privilegiava il rapporto con le masse ma quello con il singolo. Egli infatti ha sempre avuto una grande attenzione per le persone con cui parlava.
È corretto dire che l'ecclesiologia di Ratzinger ci insegna che la Chiesa non è soltanto una organizzazione sociale?
Sì. C'è una bellissima definizione di Chiesa già nella sua tesi di dottorato su sant'Agostino. In quel testo si dice che la Chiesa è il Popolo di Dio che vive del Corpo di Cristo. La sua è una ecclesiologia eucaristica: la Chiesa è dove i credenti celebrano, con la presidenza del prete, l'Eucarestia.
Le sue ultime parole, "Gesù, ti amo", rappresentano il fulcro della sua spiritualità teologica?
Al centro della sua teologia c'è la questione di Dio ma non un Dio qualsiasi bensì un Dio che vuole avere contatti con il mondo, che vuole avere relazioni con l'uomo, che ama l'uomo e che si è rivelato nella storia di salvezza prima in Israele e poi soprattutto in Gesù Cristo. In Gesù Cristo, Dio ha mostrato la Sua faccia. Io sono convinto che papa Benedetto volle scrivere il suo libro su Gesù di Nazareth, prendendo tempo ed energia dal suo pontificato, per farne la sua eredità. La centralità della domanda di Dio e il cristocentrismo sono i due punti forti della sua teologia. E quelle ultime parole, "Gesù ti amo", sono la conclusione perfetta di tutta la vita e della teologia di Benedetto XVI.
È legittimo aspettarsi che lo vedremo "santo subito"?
In primo luogo c'è Dio che è giudice su chi è santo, quindi devo lasciare il giudizio a Lui. In secondo luogo è il Papa che decide. Io penso che Benedetto XVI sia stato un grande maestro, un dottore della Chiesa con la sua teologia e il suo magistero e questo è per me ciò che conta di più. Ma noi tutti siamo chiamati ad essere santi.