"Bene comune", questo sconosciuto
Sul bene comune siamo ormai incapaci di intenderci. Eppure il bene comune è ciò che legittima l'autorità politica, anche in democrazia. L'ultimo numero del Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa recupera le "ragioni del bene comune". E se ne parlerà anche nel Corso online di Dottrina sociale della Chiesa che da domani sarà possibile seguire su La Nuova BQ.
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Stiamo perdendo l’idea di bene comune? Oppure: il bene comune sta perdendo di spessore? Peggio ancora: sul bene comune siamo ormai incapaci di intenderci? Sono queste le domande a cui cerca di rispondere il nuovo numero del “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa” dell’ Osservatorio Cardinale Van Thuân che, insieme a La Nuova Bussola Quotidiana, ha organizzato la Scuola di Dottrina sociale della Chiesa che l’arcivescovo Giampaolo Crepaldi inizierà l’1 giugno prossimo. Il fascicolo contiene scritti di Mons. Crepaldi, Stefano Fontana, Danilo Castellano, Giovanni Turco e Samuele Cecotti.
Delle nostre tre domande iniziali c’è il timore che la terza sia la più realistica. Ogni gruppo politico dice di volere il bene comune, ogni legge – si dice – viene fatta per il bene comune, ma si ha l’impressione che invece il bene comune venga danneggiato perché di esso si hanno concezioni false.
Il bene comune è ciò che legittima l’autorità politica, anche in democrazia. Il voto popolare designa i governanti, ma non ne legittima l’autorità. Prendiamo per esempio le tasse. Esse sono lecite (spiega Cecotti nel fascicolo del “Bollettino”) quando sono moderate e quando non contrastano col bene comune. Prendiamo allora l’Italia: con le nostre tasse il potere politico finanzia l’aborto, la fecondazione artificiale, il cambiamento di sesso, le famiglie che tali non sono e, se verrà approvata la legge, l’eutanasia. L’attuale imposizione fiscale nel nostro Paese sarebbe quindi illegittima, anche se legale. Senza parlare poi delle attività che lo Stato finanzia con le nostre tasse e che sono lecite in sé ma problematiche per il modo con cui vengono esercitate. L’istruzione, per esempio, è un bene in sé, ma non lo è il modo centralizzato e non rispettoso del principio di sussidiarietà (fondamentale per il giudizio da dare sul bene comune) con cui viene erogata.
Anche tra i cattolici il concetto di bene comune ha perso di spessore, se molti di loro non hanno alcun dubbio che una relazione omosessuale contribuisca al bene comune. Va di moda il bene comune inteso come l’interesse generale, ossia come la soddisfazione di quanto i singoli cittadini intendono come loro bene, oppure il bene dello Stato, come spiega il prof. Danilo Castellano nel “Bollettino” dell’Osservatorio Van Thuân. Ma quello che i cittadini ritengono essere il loro bene è opinione o desiderio e il bene dello Stato è spesso il bene di pochi sui molti.
Del resto, se oggi non si ritiene più possibile conoscere il bene, come è possibile parlare di bene comune? Se prevale il volontarismo senza ragioni, o l’interesse senza argomentazioni il bene comune è la foglia di fico che nasconde le miserie umane. Pullulano le contraffazioni, si dice bene comune e non ci si intende. Se la società è una convenzione anche il bene comune lo sarà di conseguenza e quindi i suoi contenuti potranno cambiare a suon di maggioranze.
C’è allora una grande necessità di riconsiderare in pieno le “ragioni del bene comune”, come si intitola il fascicolo monografico. Ci pensa in particolare il prof. Giovanni Turco che ricorda prima di tutto come il bene comune sia un concetto morale, ossia connesso con i fini dell’uomo in società e soprattutto con il fine ultimo, che è Dio. Da qui anche la sua verticalità, ossia l’idea che senza Dio non è possibile nessun bene comune, perché viene a mancare il fondamento stesso del bene. Ecco allora che una laicità chiusa o indifferente alla verità delle religioni e alla religione vera non è in grado di concepire né di perseguire il proprio bene comune. Il concetto richiede un ruolo pubblico della religione cristiana.
Una importante idea di fondo che anima tutto il fascicolo è che il bene comune ci sta certamente davanti perché è da costruire con le virtù sociali e politiche in ordine ai fini dell’uomo in società, ma ci sta anche dietro, perché è l’ordine in cui la persona deve inserirsi se vuole essere persona, un ordine non personalistico, quindi, dato che la persona segue il bene comune e non lo procede, ma proprio perciò personalizzante. E’ questo l’equivoco introdotto dal personalismo (anche cristiano): che la persona sia la sintesi del bene comune comporta una laicità della politica che esclude Dio dal bene comune stesso e comprende di rifiutare l’idea del bene comune come ordine da conservare e non solo come fine da raggiungere. Del resto, se il fine non è espresso da un ordine (finalistico) risulta ideologico, arbitrario e violento, ossia contrario al vero bene comune. Il progressismo, visto come il perseguimento di finalità non inscritte in un ordine, è corsa verso un futuro privo di verità, è rivoluzione in quanto rottura con l’ordine naturale e tradizionale, ed è violenza perché imposizione di una verità di parte come se fosse assoluta.
Si tratta di argomenti che verranno trattati e sviluppati dell’arcivescovo Crepaldi nella sua Scuola di Dottrina sociale della Chiesa con La Nuova Bussola Quotidiana.
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