Bene comune, quello che neanche Bassetti dice
Il presidente dei vescovi italiani apre il Consiglio permanente della Cei con diversi riferimenti alla politica, tra cui l'invito a lavorare per il "bene comune", un concetto che però resta sul vago. È invece importante capire cosa vuol dire...
Come era facilmente prevedibile, i grandi quotidiani laicisti hanno messo in grande evidenza il passaggio della Prolusione al Consiglio permanente della Cei in cui il cardinale Gualtiero Bassetti fa un cenno di condanna ai discorsi sulla razza evocati in tema di immigrazione. Era ovvio, perché è tema facilmente sfruttabile a fini elettorali.
Nel discorso del presidente dei vescovi in realtà ci sono diversi spunti che meriterebbero una valutazione, ma a noi interessa sottolineare il lungo richiamo che, in previsione delle elezioni politiche, Bassetti ha fatto al bene comune. È importante questo punto perché proprio in vista delle elezioni abbiamo già cominciato a sentire da più parti il richiamo al bene comune e sempre più lo sentiremo avvicinandoci all’appuntamento. Ma si ha l’impressione che “bene comune” sia una formula piuttosto vaga o dalla definizione equivoca.
Vediamo dunque cosa dice il cardinale Bassetti al proposito. Egli afferma che «il bene comune per tutti» è il fine del “dialogo”, che non va confuso con il “negoziato”, che consiste invece nel «cercare di ricavare la propria fetta della torta comune». Se è chiaro ciò che dialogo e bene comune non devono essere, però, è un po’ meno chiaro capire cosa sia. Nella «ricerca sincera» del bene comune, prosegue Bassetti, «occorre mettere da parte le vecchie pastoie ideologiche del Novecento e abitare questo tempo con occhi sapienti e nuovi propositi di ricostruzione del tessuto sociale ed economico dell’Italia. In questa grande opera, è auspicabile l’impegno di tutte le persone di buona volontà, chiamate a superare le pur giustificate differenze ideologiche per raggiungere una reale collaborazione nel servizio del bene comune».
Dunque, si gira sempre intorno al metodo (dialoghiamo, superiamo le ideologie) ma si fa fatica a capire i contenuti. Cosa è veramente questo bene comune? Il cardinale Bassetti alla fine non ce lo dice, però indica la scuola come l’ambito privilegiato su cui impegnarsi. Un cenno si fa alla necessità del riconoscimento delle scuole paritarie. Ed è sicuramente un punto, ma c’è molto di più: come si persegue il bene comune in una scuola dove ci sono forti spinte per indottrinare con l’ideologia gender, ad esempio? O dove si vuol cancellare ogni segno esteriore della cultura cattolica del nostro paese (crocifissi, celebrazione del Natale, ecc.)?
In altre occasioni importanti esponenti ecclesiali hanno affermato che, laddove ci sono culture diverse bisogna impegnarsi nel trovare soluzioni condivise. Una bella frase sicuramente, ma cosa significa nella concretezza? Possiamo dire che nei casi citati sopra si possa trovare una soluzione, ad esempio, nel concedere un seminario all’Arcigay e un altro al Comitato Difendiamo i Nostri Figli, e definire questo un esempio di bene comune? Oppure, lasciare il crocifisso nelle aule ma rinunciare al presepio, o in alternativa celebrare insieme al Natale anche le feste degli ebrei e dei musulmani?
Significherebbe dire che il “bene comune” è in fondo una sorta di compromesso tra le diverse identità presenti. Potrebbe sembrare una soluzione di buon senso, qualcosa che mette d’accordo tutti ed evita pericolosi conflitti o lacerazioni sociali. Tra parentesi questa è anche la linea fortemente caldeggiata da eminenti prelati – vedi il presidente della Pontificia Accademia per la Vita – nel recente dibattito sul fine vita. Si privilegia la “condivisione” della soluzione piuttosto che il suo contenuto: così avviene che magari si usi uno stesso concetto ampliandone o restringendone il significato a seconda dell'opportunità. È quanto abbiamo visto per la legge sulle Disposizioni anticipate di trattamento (Dat), ad esempio in tema di accanimento terapeutico, il cui rifiuto arriva oggi a includere fattori – vedi nutrizione e idratazione – che fino a ieri avrebbero fatto parlare di eutanasia.
Se questo è il caso, è però difficile evitare di definire il “bene comune” una forma elevata di ipocrisia sociale. Inoltre questo modo di procedere implica che l’orizzonte entro cui ci si muove è esclusivamente quello terreno, e non ha nulla di oggettivo cui ancorarsi.
Non così è però per la Dottrina sociale della Chiesa, per cui il bene comune ha un senso verticale prima ancora che orizzontale. Come ha avuto modo di spiegare in altra occasione il nostro Stefano Fontana, il “bene comune” comprende «il bene naturale, frutto del progetto di Dio nella creazione, e il bene soprannaturale, senza del quale anche il bene naturale si deforma». E ancora: «Il bene comune è la vita buona di una comunità ove i germi di salvezza del Verbo sono fatti crescere e dove le anime trovano il contesto più favorevole per la loro salvezza eterna». E quindi «Il bene comune non è il benessere, né il bene pubblico, ma è la vita comunitaria corrispondente al vero e al bene, animata dalla legge morale naturale e orientata al Sommo Bene».
Ecco perché si parla di princìpi non negoziabili: si fondano sulla natura dell’uomo così come concepita da Dio e sono essi perciò il fondamento di una società giusta e rispettosa della dignità umana. Vuol dire anche che non c’è vero “bene comune” se non è riferito a una oggettività con cui paragonarsi. Ma ancora prima ecco perché oggi è fondamentale riaffermare il principio della Libertas Ecclesiae. Come mille anni fa fu affermato questo valore per liberare la Chiesa dal giogo dell’imperatore, così oggi è fondamentale davanti alla dittatura del relativismo o del pensiero unico, come l’ha definita anche papa Francesco. La “libertà della Chiesa” è anzitutto riconoscere che il Sommo Bene è Cristo e quindi diventa fondamentale la possibilità per ogni uomo di incontrarlo e riconoscerlo. Proprio per questo essa non è la rivendicazione di uno spazio privilegiato ma la possibilità di libertà per tutti.
Pensando alle prossime elezioni politiche, è da qui che dobbiamo cominciare.