Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
LA MORTE DI CABALLE'

Belcanto, l'unico strumento musicale fatto da Dio

Il Belcanto è l’utilizzo della voce umana come uno strumento musicale: la voce, infatti, è l’unico strumento musicale realizzato non dall’uomo, ma da Dio, e grazie al suo studio, che si può definire a pieno titolo “iniziatico”. Riflessioni dopo la morte di una grande cantante, Monserrat Caballè. 

Creato 08_10_2018

“Cantate al Signore un canto nuovo, cantate con arte”. Sono le parole del Salmo 33 che ci parlano dell’arte più mistica e, purtroppo, anche di quella meno conosciuta nei suoi aspetti tecnici. In pochi conoscono grazie a quali artifici i cantanti d’opera riescano a ottenere una voce di tale estensione, potenza, bellezza, agilità e sonorità, capace di superare la barriera sonora di un’intera orchestra senza che l’artista si rovini la laringe.

Nell’era tecnologica, si tende a dimenticare che il cantante lirico riesce a farsi sentire in teatro senza alcun microfono, con un’arte - quasi circense - che in passato richiamava nei teatri folle di spettatori e tifoserie quasi da stadio.

Il Belcanto è il miracolo puro: il grande tenore Giacono Lauri Volpi lo definiva “una verità e una realtà vivente”, capace “di armonizzare i contrari”. Se ci pensiamo, la voce è l’unico strumento musicale realizzato non dall’uomo, ma da Dio, e grazie al suo studio, che si può definire a pieno titolo “iniziatico”, il cantante – sempre citando Lauri Volpi -  “acquista una seconda vista e scopre nuove dimensioni oltre lo spazio e il tempo”.

Per offrire un’idea di quanto poco sia compreso lo specialissimo carattere di quest’arte, basti pensare a come è stata celebrata l’ultima diva del ‘900, Montserrat Caballé, appena scomparsa, che molti giornali hanno ricordato non tanto per le sue straordinarie esecuzioni di Verdi, Massenet, Donizetti, ma per aver duettato con Freddie Mercury. Avvenne un fatto simile alla dipartita del maestro Pavarotti, quando fu ricordato per aver cantato con Zucchero Fornaciari. Todos Caballé-ros?

Queste operazioni spesso nascondono una mala intesa volontà di “avvicinare la lirica al pubblico”, sminuendone il valore, banalizzandola, similmente a come a volte succede con la fede e la dottrina cattolica. “L’arte non deve mai tentare di farsi popolare. Il pubblico deve cercare di diventare artistico”. La provocazione di Oscar Wilde offrirebbe spunto per riflessioni a più ampio spettro.

Con tutto il rispetto per i cantanti pop, qui siamo di fronte a due mondi non accostabili per storia, tradizione,  missione, contenuti, difficoltà di studio, livello estetico.

La voce belcantista possiede perfino un’onda acustica diversa rispetto a quella di una voce pop che, senza microfono, non raggiungerebbe nemmeno le prime poltrone di platea. Il Belcanto è l’utilizzo della voce umana come uno strumento musicale: ogni registro, da quello più scuro del basso profondo, a quello più chiaro del soprano di coloratura, possiede almeno due ottave di estensione e una nota “di passaggio” che consente di accedere alla sfera “iperuranica” degli acuti. Tutto ciò è reso possibile da una tecnica precisa finalizzata a produrre il cosiddetto “eco scheletrico”. Può sembrare assurdo, ma il cantante lirico non canta con la gola, bensì con le ossa, precisamente quelle del cranio: palato duro, seni paranasali, calotta cranica: la cosiddetta “maschera”. L’emissione viene allora trasformata in una sensazione tattile, una vibrazione percepita all’interno di superfici ossee stabili, sottoposta all’esercizio del controllo razionale e della volontà. Si produce così un sottile equilibrio pneumofonico, una sinergia tra muscoli involontari e fiato, quello stesso respiro che anche nella Genesi viene associato allo Spirito di Dio che anima la materia.  

Per generare e controllare tale fenomeno fisico è necessaria la più completa auto-osservazione che porta il bravo cantante a un altissimo livello di consapevolezza e, soprattutto, di rinuncia dell’ego.

Semplificando, possiamo affermare che lo studio del Belcanto è la dimostrazione più evidente del fatto che per giungere alla libertà assoluta, alla trasfigurazione, al potenziamento estremo della propria individualità vocale occorra seguire delle regole che solo apparentemente sono limitanti.

La libera risonanza prodotta dalla voce ben impostata è la raffigurazione più plastica e suggestiva di quello che dovrebbe essere lo “splendere d’amore” del cristiano. Una forza che trascende l’individuo, di cui lo stesso è appena compartecipe, un fenomeno che penetra l’artista e che si espande intorno a lui arrivando lontano.

L’artista, durante l’esecuzione, è come un’anima immersa nella luce: il tempo si annulla, non esiste più, l’auto-osservazione del corpo, seguendo la musica, conduce al più perfetto hic et nunc e offre un assaggio di eternità.

Di converso, l’errore, nell’arte del canto, si paga a caro prezzo. Chi canta male soffre, si rovina e si debilita. Spesso questo avviene a causa di cattivi maestri, di insegnamento incompleto, oppure per via della superbia del cantante, della sua fretta di realizzare guadagni e successi, nell’eccessiva fiducia nel suo istinto e talento naturale. La voce del cantante “peccatore” è ruvida, sgraziata, dalla corta gittata.  

Le ripercussioni di una cattiva impostazione vocale sulla psiche e sull’anima  del cantante sono devastanti e conducono a una profonda infelicità e frustrazione, un vero e proprio stato di “dannazione”. Se come abbiamo visto, il cantante lirico deve essere lucidissimo e iper-controllato nella sua emissione, il coinvolgimento emotivo che questa produce nello spettatore è massimo. L’utilizzo della voce lirica durante la liturgia, oggi sempre meno frequente, è un elemento di valore assoluto per elevare lo spirito dei fedeli e suscitare la contemplazione del divino.  

La nostra piccola luce gettata sul mondo sconosciuto del canto vuol essere, infine, di corollario alle parole di Papa Benedetto XVI: “Quando gli uomini furono afferrati dall’amore, si schiuse loro un’altra dimensione dell’essere, una nuova grandezza e ampiezza della realtà. Ed essa spinse anche a esprimersi in modo nuovo. La poesia, il canto e la musica in genere sono nati da questo essere colpiti, da questo schiudersi di una nuova dimensione della vita. Operiamo e preghiamo dunque perché "il grande dono della musica che proviene dalla tradizione della fede cristiana resti vivo e sia di aiuto perché la forza creativa della fede anche in futuro non si estingua”.