Basta con lo slogan dell’educazione sessuale a scuola
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Crepet ha messo il dito nella piaga sottolineando la superficialità del tema dell’educazione sessuale a scuola. La verità è che non può esserci una tale educazione senza due presupposti fondamentali, che però il contesto pansessualista odierno rigetta. Il compito dei genitori.

Gli psicologi, nella scuola italiana, sono sempre di più una presenza fissa e, secondo l’opinione comune, irrinunciabile. Però vanno bene solo se dicono quello che il “comandante del vapore” vuole che sia detto e remano nella direzione prestabilita: quella del mainstream. Così, se qualcuno di loro si permette di entrare nel dibattito pubblico su temi “caldi”, esprimendo opinioni fuori dal coro, scatta la reprimenda. È quanto è accaduto ad esempio, in questi ultimi giorni, al riguardo della decisione del ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, di vietare la cosiddetta “educazione sessuale” nelle scuole secondarie di primo grado.
Il 15 ottobre 2025, infatti, alla Camera sono stati approvati degli emendamenti al Ddl di Valditara dal titolo “Disposizioni in materia di consenso informato in ambito scolastico”. È stato approvato anche quello firmato da Giorgia Latini, che estende il divieto di parlare di tematiche sessuali, oltre che ai bambini della scuola dell’infanzia e della scuola primaria, anche a quelli della scuola secondaria di primo grado (ex scuola media). Il testo prevede inoltre che i genitori con figli alle superiori siano informati sui corsi in ambito sessuale che gli istituti hanno intenzione di realizzare, per poter dare, o meno, il proprio consenso scritto. Le famiglie devono anche essere informate sui temi trattati in classe e sul materiale didattico utilizzato per parlare di sessualità.
La questione ha sollevato nuovamente un ampio dibattito nel nostro Paese, alimentato soprattutto da una certa parte del mondo politico, contrario a priori ad ogni limitazione su questo tema e, a intervenire su un tema così delicato, ci ha pensato anche Paolo Crepet, psichiatra e sociologo molto noto all’opinione pubblica.
In un’intervista rilasciata al quotidiano Il Tempo lo psicologo, andando un po’ controcorrente, si è domandato: «Ma cosa si intende al di là dello slogan? Per dire: nei temi c’è un titolo e poi c’è uno svolgimento. Qual è lo svolgimento? Cosa vuole dire l’educazione sessuale-affettiva obbligatoria alle scuole medie? Chi va ad insegnare cosa, e con quale curriculum? L’educazione di questo tipo ai ragazzi la fa il prete? Oppure l’insegnante di biologia? O un altro? Chi?». Crepet, poi, si è anche dato una risposta, sottolineando che «nessuno lo sa», considerata «la superficialità di questo discorso. Non c’è risposta su questo. Quindi non so che dire. Non entro per nulla nella polemica, sto molto prima. Mi domando: chi lo deve fare? In quali orari? Chi va dai ragazzi avendo cognizione di causa? Con quali competenze?».
Domande legittime, che individuano tutta la complessità e la delicatezza della questione: il termine “educazione sessuale-affettiva” quale contenuto identifica? Non esiste, oggi, alcuna definizione socialmente condivisa né sulla parola “educazione”, né sulla parola “sessuale”, né sulla “affettività”. Di cosa stiamo parlando, allora? In una società dominata, come scrive Tommaso Scandroglio, da una «pansessualità che legittima ogni appetito sessuale, omosessualità compresa», che cosa si andrà ad insegnare ai giovani delle scuole superiori? E cosa si andrebbe a comunicare agli studenti delle medie, ancora nel pieno del loro processo adolescenziale di sviluppo, soggetti a pulsioni spesso disordinate e, purtroppo, già bombardati da un oceano di informazioni e di stimoli (massicciamente di natura sessuale) di vario genere attraverso i loro smartphone?
Per educare i giovani ad una corretta conoscenza della dimensione sessuale che per natura identifica ogni persona, del suo valore e delle sue espressioni, occorrerebbe innanzitutto ripartire dal significato originario della parola, oggi più che mai dimenticato. L'etimo della parola "sesso", infatti, deriva dal latino sexus, che a sua volta è correlato al verbo secare ("dividere" o "tagliare") e a "sezione". Questo perché il termine era usato sin dall’antichità per indicare la distinzione tra maschile e femminile e per classificare la popolazione. Pare cosa scontata, ma oggi non lo è più: nella cultura “liquida” in cui siamo immersi, una simile affermazione può essere considerata una manifestazione di chiusura mentale, data la gran numerosità di generi che si pretende di riconoscere…
In secondo luogo, si dovrebbe far comprendere la fondamentale diversità e complementarità delle due identità sessuali, tale da affondare le proprie radici sino alla dimensione spirituale, che è l’ambito più profondo e segreto di ogni persona.
Solo a partire da qui si potrebbe sviluppare un percorso che “laicamente” integri la dimensione spirituale con la conoscenza del corpo maschile e femminile, proponendo il matrimonio come unico contesto ragionevole e ordinato per la sessualità, vista come donazione totale e feconda, promuovendo una visione positiva e, allo stesso tempo, prudente che coinvolga famiglia e scuola, insegnando il rispetto reciproco, l'affettività e la responsabilità, e includendo anche il riconoscimento della bellezza della differenza sessuale.
Ma chi potrebbe mai fare nella scuola, insieme agli studenti, un percorso del genere, nel contesto culturale in cui ci troviamo oggi, tutto orientato ad una visione puramente materialistica ed edonistica dell’uomo e della vita?
Giustamente, afferma ancora Crepet, «i docenti che lavorano tutte le mattine con loro sono pagati per fare altro, non educazione sessuale» e neanche sono formati per un simile compito. Come dimostrano ampiamente le esperienze di questi ultimi anni, si finisce per affidare questi percorsi a sedicenti esperti che nella "migliore" delle ipotesi e in nome della “scienza” riducono la sessualità alla genitalità. Con un simile approccio, l’obiettivo diventa quello di aiutare a raggiungere una soddisfazione sessuale, affermando il diritto all’autodeterminazione (“decido io se essere maschio o femmina… o altro ancora”) e presentando le precauzioni per evitare le malattie sessualmente trasmissibili e le gravidanze indesiderate, insieme all’uso dei contraccettivi e a un giudizio assolutamente negativo sull’educazione all’astinenza. Nella peggiore delle ipotesi, poi, finisce tutto nelle mani di associazioni che promuovono l’ideologia gender e il totale disordine sessuale. E questa purtroppo è storia.
Insomma, la delicatezza e rischiosità dell’argomento imporrebbero di lasciar perdere una volta per tutte l’idea dell’educazione sessuale a scuola, e di riconoscere che questo compito è dovere e responsabilità dei genitori e passa, innanzitutto, attraverso la loro testimonianza di amore e rispetto reciproco. La fragilità odierna della famiglia impone più che mai che siano dedicate al suo sostegno tutte le risorse possibili, anziché bruciarle in iniziative che appesantiscono solo la già sovraccarica vita della scuola, senza ottenere alcun risultato o, addirittura, creando nelle menti e nei cuori dei giovani gravi danni destinati solo a peggiorare la situazione generale di questa già barcollante società.
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