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ISLAMO-GAUCHISMO

Mamdani e l'imam radicale, alleati per conquistare New York

Il futuro sindaco di New York, Zohran Mamdani, ha tenuto il suo comizio nella moschea di Masjid At-Taqwa, quella dell'imam radicale Siraj Wahhaj, in odore di collaborazione con Al Qaeda e con idee molto estreme sulla rivolta islamica.

Esteri 22_10_2025
Zohran Mamdani (La Presse)

A New York, dove i primi freddi tagliano già l’aria come una promessa d’inverno, la campagna per la poltrona di sindaco entra nella fase finale. E succede che a meno di ventiquattr’ore dopo aver trascorso quasi tutto il dibattito televisivo schivando le domande su Hamas, Zohran Mamdani — il candidato progressista oggi in testa ai sondaggi — ha detto in privato ciò che aveva taciuto al pubblico televisivo. «Quando salgo su quel palco», ha confidato davanti a una folla raccolta in una sala di Brooklyn — tra uomini in caftani e shashia, tra volti tesi e attenti — «e vedo un ex governatore tentare di farmi vergognare per aver difeso i diritti umani universali, anche quelli dei palestinesi, so di non essere solo». Immediata la reazione della platea esplosa in un coro di, «Allah Akbar» e di, «Takbīr!», l’invito arabo alla lode. 

Quello di Mamdani, che ha richiamato l’attenzione anche del presidente Trump, non era un comizio tradizionale in una piazza, in una sede di partito o in casa di un grande donatore. Mamdani ha deciso di spostare la campagna in un “discorso pre-Jummah” alla moschea Masjid At-Taqwa, nel cuore di Bedford-Stuyvesant, Brooklyn, per un appello diretto ai musulmani della città. Non una scelta casuale: la Masjid At-Taqwa è una delle moschee più frequentate ed è guidata da Siraj Wahhaj, figura tra le più note e controversie dell’islam americano. Trent’anni fa il suo nome comparve in un elenco stilato dai procuratori federali di persone non incriminate, ma sospettate di aver cospirato nell’attentato del 1993 al World Trade Center — quando, un pulmino carico di oltre 600 chili di esplosivo fu fatto detonare nel parcheggio sotterraneo di una delle Torri, provocando sei morti e oltre mille feriti. L’obiettivo era far crollare la Torre 1 sulla Torre 2 e fare la strage che poi sarebbe riuscita ad Osama bin Laden non troppi anni dopo. 

Durante i processi, Wahhaj prese posizione pubblicamente per i pianificatori dell’attentato, opponendosi all’etichetta di «veri terroristi». L’imam Wahhaj — al secolo Jeffrey Kearse, originario di Brooklyn — è da tempo associato a figure e movimenti con legami al terrorismo islamico. Ha persino testimoniato per Omar Abdel-Rahman , il famigerato "sceicco cieco”. Il terrorista islamico, morto nel 2017, in una prigione di massima sicurezza in North Carolina americana dove scontava l’ergastolo a cui era stato condannato per il suo ruolo di mente dell’attentato del 1993. 

Rahaman da leader del gruppo Al-Jamaa al-Islamiyya, un movimento militante islamista egiziano considerato, dal Cairo e dagli Stati Uniti, un'organizzazione terroristica, era intimo amico di Wahhaj. Quello che Mamdani ha definito «uno dei principali leader musulmani della nazione e un pilastro della comunità di Bed-Stuy per quasi mezzo secolo». 

Wahhaj è davvero un pilastro della comunità musulmana di Nyc, con una predicazione ultra-trentennale ha cresciuto migliaia di islamici. Alcuni dei suoi sermoni sono conservati come pietre miliari. Nei primi anni Duemila, per esempio, in un sermone, Wahhaj immaginava una marcia permanente di 800mila musulmani per le strade di New York: «Riuscite a immaginare cosa succederebbe se 800mila musulmani decidessero di marciare ogni giorno? Non ve lo dico! Non prendete una pistola, no. Marciate e basta. Marciate per la città di New York. Fate sentire la vostra voce. Fatela sentire di notte. Fatela sentire 24 ore su 24, finché l'intera città non riuscirà a dormire». In un altro, «Aiutiamo i nostri fratelli e sorelle musulmani inviando denaro e portando armi in Bosnia ai musulmani con ogni mezzo necessario. Ma non fermatevi qui. Raccogliete fondi per i musulmani che stanno morendo a milioni in Somalia. Non fermatevi qui. Marciamo verso la Palestina e liberiamo i nostri fratelli e sorelle laggiù. Ma non fermatevi qui. Andiamo in Algeria e liberiamo i musulmani laggiù. Non fermatevi qui. Andate in tutto il mondo». In un altro ancora, invece, chiedeva un esercito di circa 10mila musulmani nella Grande Mela.

La scorsa settimana, di nuovo, durante il sermone di 30 minuti in cui era presente anche il probabile prossimo sindaco di Nyc, Wahhaj, già seguace della Nation of Islam, ha incoraggiato i suoi fedeli a impegnarsi, «Voglio tornare a raggiungere le masse come facevamo nella cosiddetta Nazione dell’islam», ha detto dal pulpito. Per, poi, rivolgersi direttamente a Mamdani, che sedeva tra il pubblico. «Inshallah, presto avremo un nuovo sindaco a New York City», guardandosi intorno in modo teatrale per cercare il presunto sindaco nella folla. «E potrebbe essere proprio qui, in mezzo a noi. Vi amo più di quanto possiate immaginare. Non smettete mai di fare ciò che fate!».

Quando è toccato a Mamdani salire sul piccolo palco per il discorso elettorale, il tono era sicuro, quasi trionfante, «La nostra vittoria non sarà solo per me, ma per i musulmani di tutta New York. Viviamo in una città dove sappiamo di appartenere, ma oggi sappiamo anche che possiamo guidarla». Nei sei minuti successivi, Mamdani ha parlato di cosa significherebbe la sua vittoria — quasi certa il mese prossimo — non soltanto per lui, ma proprio per i musulmani newyorkesi.

La cosa ha generato immediate reazioni politiche. Il repubblicano Andy Ogles del Tennessee lo ha definito “piccolo Maometto” e ha invocato la sua espulsione. Il repubblicano Curtis Sliwa, anch’egli in corsa, ha dichiarato che «New York ha bisogno di un sindaco che protegga i cittadini dal terrorismo, non che lo sostenga». Il vicepresidente JD Vance ha scritto su X, «Mi è stato detto che i democratici si oppongono alla violenza politica, quindi mi aspetto una condanna universale per Mamdani, che ha fatto campagna con un complice non incriminato di un complotto terroristico».

Solo pochi anni fa, un’apparizione in un contesto simile avrebbe frantumato una candidatura. Oggi addirittura la rafforza. Zohran Mamdani — figlio di immigrati ugandesi di origini indiane, cittadino statunitense solo dal 2018, deputato statale a New York dal 2021 — ha costruito una scalata tanto rapida quanto inattesa. Fino alla scorsa estate era poco più di uno sconosciuto, poi la vittoria alle primarie lo ha proiettato in cima ai sondaggi e al centro del dibattito politico americano.

Il suo linguaggio è chirurgico, calibrato sul lessico del progressismo identitario: appartenenza, diritti, giustizia sociale, riscatto collettivo in salsa woke. In pochi anni Mamdani è diventato il volto-simbolo di una nuova sinistra newyorkese: più socialista, sempre più distante dal partito che era dei Clinton e di Obama, apertamente vicina ai movimenti anti-israeliani e devota delle cause islamiste. Una traiettoria che racconta la mutazione di un’intera città: ciò che un tempo era considerato un rischio politico, oggi suona come un segnale di forza.

Tra i suoi sponsor Bernie Sanders, senatore socialista del Vermont, e Alexandria Ocasio-Cortez, icona della fazione più estremista del Partito Democratico. La rete di alleanze di Mamdani comprende attivisti come Linda Sarsour, la strenua sostenitrice dell’hijāb, a capo della Arab American Association di New York organizzatrice delle Women’s March contro Trump nel 2017 e delle proteste di Black Lives Matter; lo streamer di Twitch Hasan Piker che con le sue dirette ha trasformato il socialismo in un fenomeno di tendenza globale e vari imam tra cui, appunto, Wahhaj che in passato ha contribuito con una donazione a un super PAC - Political Action Committee - a sostegno di Mamdani. 

Così, il candidato che oggi punta a guidare la città non teme l’etichetta di “amico” di chi, almeno qualche anno fa, sognava New York distrutta. È il riflesso di un nuovo equilibrio politico: una generazione di leader progressisti afroamericani, arabi e sudasiatici che stanno ridisegnando i confini della rappresentanza nella metropoli simbolo dell’Occidente. Se Mamdani vincerà, sarà il primo sindaco musulmano della storia della città. Ma la sua ascesa non racconta solo una storia personale.



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