Ballottaggi, la Sinistra esulta, ma a vincere è il non voto
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I ballottaggi finiscono 7-5 per il centrosinistra, ma il dato più significativo rimane quello delle astensioni, che hanno superato il 50%, visto che a votare sono stati solo il 47,7% degli aventi diritto.
Come era nell’aria e come è sempre accaduto nei ballottaggi delle amministrative, molti elettori hanno disertato le urne e preferito il mare. Il copione si è ripetuto nel secondo turno delle amministrative di ieri e di domenica, che ha premiato soprattutto i candidati sindaci del centrosinistra, risultati vincitori nelle città più grandi.
I cinque capoluoghi di regione chiamati al voto, vale a dire Firenze, Bari, Perugia, Potenza, Campobasso, e due capoluoghi di provincia come Cremona e Vibo Valentia per i prossimi cinque anni saranno governati da sindaci del Pd o delle forze alleate. Il centrodestra strappa invece Lecce al centrosinistra con l’ottantunenne meloniana Adriana Poli Bortone e vince anche a Caltanissetta, Vercelli, Urbino e Rovigo. Da un punto di vista strettamente numerico, quindi, termina 7-5 per il centrosinistra. Avellino e Verbania finiscono in mani civiche, con candidati trasversali che prevalgono sul centrosinistra.
Ma il dato più significativo rimane quello delle astensioni, che hanno superato il 50%, visto che a votare sono stati solo il 47,7 percento degli aventi diritto. L’ennesima sconfitta della democrazia rappresentativa, che non riesce più a trasmettere fiducia e ad attirare ai seggi gli elettori, soprattutto quelli delle nuove generazioni, sempre più distanti dalla gestione della cosa pubblica. Eppure le amministrative mettono in gioco il governo dei territori, cioè il livello amministrativo più vicino ai cittadini e dunque dovrebbero suscitare maggiore passione partecipativa. Ci sarà da riflettere molto in questo senso.
Entrando più nel vivo dei verdetti dei ballottaggi, si può affermare che l’effetto Meloni non si è sentito, anche perché il presidente del consiglio, assorbito dai suoi impegni istituzionali legati al rinnovo dei vertici europei, non ha in alcun modo fatto campagna elettorale.
Neppure gli altri leader dei partiti di centro-destra in verità si sono spesi più di tanto, mentre per i vertici del Pd e dei partiti di sinistra quello dei ballottaggi era un vero e proprio test per confermare i buoni risultati dell’8 e 9 giugno. Scontata la vittoria in città come Firenze o Bari, brucia la sconfitta a Lecce, città che era stata amministrata per due consiliature da Carlo Salvemini, di sinistra, e che passa al centrodestra dopo un testa a testa al primo turno e anche al secondo. Il governatore pugliese Michele Emiliano, rompendo il silenzio elettorale, sabato mattina aveva convocato a Lecce tutti i vertici delle aziende sanitarie ed ospedaliere per convincerle a fare l’ultimo sforzo in favore di Salvemini. Una vera caduta di stile, oltre che una violazione delle norme sulla par condicio. Ma evidentemente questa entrata a gamba tesa del governatore non è bastata perché Salvemini ha comunque perso.
Anche altri segnali emergono con nettezza da questo secondo turno di elezioni amministrative. Nel centrosinistra il Pd di Elly Schlein ha riacquisito la sua piena centralità grazie alle schiaccianti affermazioni di suoi candidati sindaci in città importanti. Questo conferma l’appiattimento a sinistra di quella coalizione e apre ampie praterie per chi, nel centro del centrosinistra, volesse provare a costruire qualcosa di diverso da quanto sin qui fatto da Carlo Calenda e Matteo Renzi, usciti con le ossa rotte dalle elezioni europee e assolutamente irrilevanti in questa tornata amministrativa. I cinque stelle, che alle amministrative non hanno mai fatto sfracelli, escono ulteriormente ridimensionati e sono alle prese, per la prima volta, con una guerra tra correnti interne, in particolare gli ortodossi, che puntano sul ritorno alle origini del Movimento, e quindi sull’equidistanza dagli schieramenti, e i seguaci di Giuseppe Conte, che sostengono l’ex premier nonostante la cocente sconfitta alle europee.
Infine bisognerà capire quanto abbia pesato sul risultato non esaltante dei candidati di centrodestra l’annuncio delle due riforme del premierato e dell’autonomia differenziata. Probabilmente hanno fatto perdere qualche voto al sud e ne hanno fatto guadagnare qualcuno al nord. Peraltro i nuovi sindaci del Pd saranno presto a un bivio: aderire alla crociata anti-autonomia che Schlein e i suoi hanno annunciato all’indomani dell’approvazione definitiva del ddl Calderoli o dissociarsi per privilegiare le istanze locali e provare a trarre vantaggio dalla possibile rivendicazione di nuove competenze attualmente nelle mani del governo centrale? Se scegliessero questa seconda strada si confermerebbe che la disciplina di partito è sempre meno importante nelle decisioni degli amministratori locali, che invece preferiscono coltivare il rapporto con i loro territori e i loro elettorati. D’altronde la storia insegna che alcune leadership nazionali ed europee sono nate a volte proprio da eclatanti successi in sede locale.