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SANTA ALLEANZA

Avvenire e Ucoii, ci mancava il catto-islamismo

Il caso Saman sta suggellando l'asse costituito dal quotidiano dei vescovi italiani e dall'associazione islamica che fa riferimento ai Fratelli Musulmani, come denunciato anche dal segretario della Grande Moschea di Roma. L'agenda dell'Ucoii è diventata la linea di Avvenire. Ecco come...

Editoriali 14_06_2021

Il caso Saman – la povera ragazza pachistana uccisa in provincia di Reggio Emilia dai suoi parenti per il rifiuto di un matrimonio combinato – sta suggellando l’asse costituito dal quotidiano dei vescovi italiani, Avvenire, e l’Ucoii, l’Unione delle Comunità islamiche italiane che fa riferimento ai Fratelli Musulmani. Ormai sono due voci che parlano all’unisono, e l’agenda dell’Ucoii è diventata la linea di Avvenire. Fenomeno ancor più preoccupante se si considera che è lo stesso mondo musulmano in Italia a muovere pesanti accuse contro l’Ucoii. Da ultimo il segretario generale della Grande Moschea di Roma, Abdellah Redouane che, proprio due giorni fa, ha ribadito l’accusa all’Ucoii di essere espressione dei Fratelli Musulmani e di tentare di egemonizzare la composita galassia islamica in Italia, anche diffondendo menzogne.

Ma Avvenire non se ne cura e prima ha accolto entusiasticamente la fatwa contro i matrimoni combinati annunciata dall’Ucoii, che altro non è che un tentativo di introdurre la legge islamica nel diritto italiano (e non per niente è stata contestata oltre che dalla Grande Moschea di Roma anche dal Coreis, altra associazione islamica italiana). Poi ha ribadito il concetto esaltando in una intervista il pensiero della vicepresidente dell’Ucoii, Nadia Bouzekri (che democratico questo islam che mette le donne ai posti di comando…).

E arriviamo quindi agli ultimi giorni, e si precisa la linea che accomuna Ucoii e Avvenire, attorno a due concetti chiave. Il primo è: sul caso Saman «l’islam non c’entra, la colpa è dell’Italia», dice l’Ucoii. Se la prima parte del giudizio è ormai un mantra, la seconda è indubbiamente sorprendente. E quale sarebbe la colpa dell’Italia? Quella di non aver protetto adeguatamente Saman dopo le denunce. Quello di Saman, ha detto sostanzialmente il presidente dell’Ucoii Yassine Lafram all’AGI, è uno dei tanti femminicidi che si consumano in Italia, non ha niente a che vedere con le credenze religiose.

Avvenire ha fatto anche di più, ha concesso un editoriale ad Asmae Dachan (figlia di Mohammed Nour Dachan, oggetto degli attacchi del segretario della Grande Moschea di Roma) in cui non solo ha ribadito quanto l’islam non c’entri nulla con la violenza dei parenti di Saman, ma ha sfacciatamente sostenuto che addirittura in Pakistan Saman non avrebbe subito quello che ha subito in Italia.  Non pago, il quotidiano della CEI ha appositamente inviato un giornalista a Novellara, il paese dove viveva la famiglia di Saman, che ieri ci ha spiegato come questa famiglia sia un caso unico nella zona, e che in realtà pachistani e islamici in generale hanno tutt’altri valori e chissà da dove arrivava questa famiglia. E ancora: in un inutilmente lungo dialogo tra Lorenzo Dellai e Marco Tarquinio sull’argomento – in cui la parola islam non è stata pronunciata neanche per sbaglio – si mette l’accento su un’altra colpa dell’Italia, quella di non promuovere l’integrazione.

In realtà, se è vero che i matrimoni forzati non sono una prerogativa del mondo islamico e spesso sono espressione di culture tradizionali precedenti, è anche vero che una certa interpretazione dell’islam ha consolidato queste tradizioni. E laddove il fondamentalismo cresce, crescono anche fenomeni di questo tipo. Quanto al Pakistan, forse all’Ucoii e ad Avvenire sfugge il fatto che sono migliaia le ragazze che ogni anno si ritrovano vittime di matrimoni forzati all’interno del mondo islamico, per non parlare del drammatico fenomeno delle ragazze cristiane che vengono rapite, violentate e sposate per farle diventare musulmane. Se il direttore di Avvenire leggesse qualche rapporto di Aiuto alla Chiesa che Soffre, forse eviterebbe di fare da amplificatore alle menzogne dei fondamentalisti islamici.

Quanto ai casi isolati, non solo bisognerebbe ricordare che quello di Saman non è certo il primo caso del genere in Italia, ma per capire la dimensione del problema possiamo fare riferimento a quanto avviene nel Regno Unito, dove il governo ha addirittura formato una unità di crisi sui matrimoni forzati (Forced Marriage Unit, FMU). Ogni anno viene pubblicato un rapporto sui casi registrati sul territorio britannico, con l’avvertenza che – essendo quello dei matrimoni forzati un fenomeno nascosto – le statistiche mostrano solo i casi oggetto di denunce, ma il fenomeno è molto più ampio.

Ebbene, gli ultimi dati disponibili, ci dicono che nel 2019 sono stati segnalati 1.355 casi, numero perfettamente in linea con la media degli ultimi nove anni. Di questi, ben 559 riguardano cittadini pachistani (il 41% del totale) seguiti da bengalesi (11%), indiani (5%), afghani (4%), somali, iracheni e romeni (tutti al 2%). Come si vede nella comunità pachistana un problema c’è e per quanto riguarda gli altri si noterà che c’è una netta prevalenza di paesi ad alto tasso di fondamentalismo islamico, con l’eccezione di India e Romania (ovviamente il riferimento è alle comunità rom).
L’Italia avrà senz’altro anche le sue responsabilità, ma non certo quelle indicate da Avvenire e dall’Ucoii: la vera responsabilità è non prendere sul serio il problema posto da certe comunità di immigrati e di tollerare tradizioni culturali incompatibili con la nostra civiltà.

Seconda questione che vede alleati Avvenire e Ucoii: la richiesta di una integrazione che significa legittimare come interlocutori le frange più integraliste dell’islam italiano e la rapida approvazione dello ius culturae o ius soli. Dal succitato lungo sproloquio del direttore di Avvenire, infatti, si deduce che Saman non sarebbe finita così male se nel nostro paese si fosse già offerta la cittadinanza agli immigrati che hanno frequentato le scuole in Italia. Ora, come una eventuale cittadinanza italiana avrebbe salvato Saman dalle grinfie dei suoi non è dato sapere; anzi, vista la larghezza di vedute della sua famiglia c’è anche da pensare che sarebbe stata uccisa prima, all’annuncio che voleva accettare la cittadinanza italiana.

In ogni caso pensare che un problema culturale e religioso di questo genere si risolva con il rilascio di un certificato, è una vera e propria idiozia, la solita risposta ideologica che non tiene conto della realtà. Basti un dato: il 60% delle minorenni islamiche immigrate in Italia abbandona la scuola dell’obbligo per tornare nel paese d’origine causa matrimoni combinati. Che soluzione sarebbe lo ius culturae per costoro che non possono neanche finire la scuola?

A ben vedere, ai problemi posti da certa immigrazione si sta aggiungendo un problema ancora più grave: la santa alleanza dell’organo ufficiale dei vescovi italiani con associazioni islamiche che promuovono il fondamentalismo.