Avvenire e il fascino per chi vuole lo sterminio dell'umanità
Avvenire esalta il Club di Roma e il suo rapporto di 50 anni fa I limiti dello sviluppo, ovvero l'ideologia neo-malthusiana corresponsabile dell'uccisione di centinaia di milioni di bambini in tutto il mondo. Ma alla CEI qualcuno si rende conto di cosa pubblica Avvenire? E i vescovi sparsi per l'Italia, consapevoli di questa deriva culturale, perché non ne chiedono conto?
È vero, negli ultimi anni abbiamo visto Avvenire, il quotidiano di proprietà della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) abbracciare apertamente l’ideologia gender, l’agenda Lgbt, l’ecologismo estremo e tutto quanto è politicamente corretto. Nulla dovrebbe più sorprenderci, eppure la pagina 3 di due giorni fa, il 10 maggio, è di quelle che, malgrado tutto il pregresso, lasciano sconcertati: la celebrazione in pompa magna del Club di Roma.
Per chi non lo conoscesse, il Club di Roma fu fondato alla fine degli anni ’60 del XX secolo da Aurelio Peccei, uno “strano” dirigente d’azienda (Fiat, Olivetti) che a un certo punto si inventa appassionato ed esperto di “problematica mondiale” e dello studio del futuro della Terra, e convoca un buon gruppo di scienziati e accademici per mettere in piedi una sorta di think tank sul tema. Ne nascerà I limiti dello sviluppo, il Rapporto del Club di Roma che fu pubblicato nel 1972 e che divenne immediatamente un best seller mondiale.
E per festeggiare i 50 anni di questa pubblicazione, il Club di Roma – che oggi è un’associazione molto ben radicata nel mondo di cui fanno parte scienziati, manager, banchieri, leader politici – lancia un sequel, Limits and Beyond (Limiti e oltre), che è stato presentato due giorni fa a Milano. Questo ha dato il pretesto ad Avvenire per lanciare con grande evidenza l’evento con la sintesi dell’intervento di tale Daniela Padoan, direttrice di Laudato si’, associazione milanese che nasce nell’ambito cattolico sulla spinta dell’enciclica di papa Francesco, da cui prende anche il nome.
Perché sarebbe così scandaloso celebrare il Club di Roma? Semplicemente perché I limiti dello sviluppo si fonda sull’ideologia neo-malthusiana - figlia delle Società Eugenetiche di inizio XX secolo che ebbero notevole fortuna nel mondo anglo-sassone e nel Nord Europa - che vede nella crescita della popolazione la minaccia più grave per il mondo. I limiti dello sviluppo nasce in un clima culturale già preparato da libri e campagne martellanti anti-nataliste: nel 1968 aveva avuto un successo planetario il libro del biologo americano Paul Erlich, La bomba demografica, in cui si prefiguravano scenari da incubo se non si fosse immediatamente bloccata la crescita della popolazione. E la previsione di catastrofi umanitarie con centinaia di milioni di morti per fame affollava numerosi altri libri che seguivano questo filone.
Il Rapporto del Club di Roma fa un passo ulteriore, pretendendo di offrire un saggio rigorosamente scientifico e soprattutto essendo il primo a voler affrontare i problemi del mondo in chiave globale e rilevandone l’interconnessione. Potremmo dire che quel libro fu in un certo senso il padre dell’ideologia globalista. Inoltre I limiti dello sviluppo è fondato sulla convinzione che ci sono troppe persone al mondo, le quali anche producono troppo; e da qui vengono fatte discendere una serie di conseguenze facilmente immaginabili.
È ciò che viene spiegato fin dall’inizio: questo studio «ha lo scopo di definire chiaramente i limiti fisici e le costrizioni relative alla moltiplicazione del genere umano e alla sua attività materiale sul nostro pianeta» (p. 19). Da qui l’ovvia conclusione: «L’ostacolo maggiore sulla via di una più equa distribuzione delle risorse della Terra è rappresentato dal moltiplicarsi della popolazione» (p. 142), da cui la necessità di trovare un equilibrio attraverso un impegno in politiche globali che «naturalmente richiederà di sacrificare certe libertà come quella di mettere al mondo un numero incontrollato di figli o di consumare senza freno le risorse naturali disponibili» (p. 143).
Nel caso ci fosse bisogno di specificare ulteriormente, bisognerà ricordare che i suggerimenti del rapporto del Club di Roma – guarda caso in perfetta sintonia con quelli delle maggiori fondazioni americane, con cui Peccei aveva peraltro saldi rapporti – si sono tradotti nei decenni successivi in campagne per la diffusione dei contraccettivi, campagne abortiste, sterilizzazioni di massa, e anche aborti forzati (vedi soprattutto la Cina, con tanto di plauso dell’ONU). Oltre a voler provocare in tutti i modi la crisi economica dei paesi sviluppati, tentativo che – come possiamo notare – sta avendo successo.
Chissà se qualcuno ad Avvenire ha mai letto un rigo de I Limiti dello sviluppo e si rende conto che sta celebrando un’ideologia che ha già provocato centinaia di milioni di morti in tutto il mondo. Ma sicuramente qualcuno dovrà avere pur letto l’intervento di Daniela Padoan pubblicato: e questo fa proprie le follie ideologiche del Club di Roma, ripetendo ad esempio che il nostro mondo è sovrappopolato e che noi uomini «come termiti divoriamo ogni spazio, ogni diversità, ogni vita non codificata». E poi troviamo passaggi come questo, per descrivere cosa è successo da 50 anni fa ad oggi: «Abbiamo continuato ad assistere all’innalzamento delle temperature globali, allo scioglimento dei ghiacciai, alla progressiva desertificazione e deforestazione del pianeta, fino a trovarci assaliti da un virus frutto dell’erosione degli habitat naturali e dell’espansione delle megalopoli, e impigliati in un impensabile conflitto europeo e globale per l’accaparramento delle risorse». Ora, bisognerebbe ricordare alla signora Padoan che al tempo del celebrato Rapporto del Club di Roma la paura era per il raffreddamento globale e non per il riscaldamento. E che sostenendo che il Covid è figlio dell’erosione degli habitat e il conflitto in Ucraina nasce dalla scarsità di risorse si entra di diritto nel genere demenziale.
Che ad Avvenire si faccia il tifo per chi vuole sterminare il genere umano crea sconcerto, è vero, ma in un certo senso potevamo anche aspettarcelo vista la deriva culturale che ha imboccato da ormai lungo tempo. Ma la vera domanda è: alla CEI, proprietaria del giornale, è possibile che nessuno si accorga di cosa pubblica Avvenire e che non sia in grado di capire che sta veicolando una cultura profondamente anti-cristiana e anti-umana? E i tanti vescovi sparsi in tutta Italia, invece di lamentarsi di Avvenire solo quando non riprende con adeguato spazio le loro iniziative diocesane, perché non danno un’occhiata ai contenuti velenosi che pubblica, oltretutto sperperando i soldi della Chiesa italiana che potrebbero essere spesi in modo più coerente con la fede? Se ci sono dei vescovi in grado di capire la gravità di quel che sta accadendo – e sappiamo che certamente ce ne sono – perché non bussano alla porta della presidenza CEI per chiedere conto di questo scandalo?