Avvenire a scuola da Machiavelli
Dopo il caso di Daisy Osakue, Avvenire si ripete con le false foto di migranti torturati. Quando lancia una campagna non si fa scrupoli di usare bufale e mezze verità, e strumentalizza anche il Papa. Per loro il fine giustifica i mezzi.
«Il fine giustifica i mezzi» potrebbe essere il motto che il quotidiano dei vescovi italiani, Avvenire, dovrebbe aggiungere sotto la testata, se non altro per avvertire i suoi lettori. Ormai è chiaro che di fronte a una battaglia che vuole sostenere, non si ferma davanti a niente: non si fa scrupolo di propinare bufale, di strumentalizzare perfino il Papa e di giocare sulla pelle dei più poveri. E il tutto mentre si pretende di dare ad altri lezioni di etica giornalistica.
Così, abbracciata la linea dell’immigrazionismo più radicale (che prevede entrata libera e accoglienza di tutti i clandestini) e individuato il nemico nell’attuale ministro dell’Interno, non ci sono più freni: si imbastiscono campagne basate su notizie false, verosimili o mezze verità per abbattere il nemico e muovere il popolo dalla propria parte; e quando si è clamorosamente smentiti, si va avanti come se niente fosse.
La vicenda delle foto spacciate per quelle dei profughi rimpatriati segue di pochi giorni quella dell’uovo lanciato da balordi contro l’atleta azzurra di colore Daisy Osakue. Allora per Avvenire fu l’occasione di lanciare una campagna in grande stile contro il razzismo degli italiani, ovviamente alimentato dal solito ministro, anche se era apparso subito chiaro che non di razzismo si trattasse, ma di una goliardata irresponsabile e criminale. E quando la verità emerse, invece di chiedere scusa, il giornale dei vescovi rincarò la dose sostenendo che comunque era violenza figlia di un clima ecc. ecc. Un insulto alla professione giornalistica, ma si sa: loro sono i buoni e se lo possono permettere.
E veniamo alle foto fake. «Era solo una didascalia sbagliata», lamenta il cronista Nello Scavo attaccando chi accusa Avvenire di falso. «I video ci sono e sono veri, venite a vederli», sfida tutti Scavo. Eh no, il problema non sta solo nella didascalia, comincia molto prima. Comincia con il tentare di approfittare della sensibilità di papa Francesco verso la sofferenza dei poveri e dei migranti per arruolarlo nella propria crociata che è tutta di politica interna. Ed è già questo gravissimo. Si offra al Papa tutto il quadro della situazione dei migranti, a cominciare dalle testimonianze dei vescovi africani che da anni denunciano organizzazioni di trafficanti che convincono i giovani a partire con false promesse. Ah già, ma queste notizie su Avvenire non trovano spazio, non servono alla causa.
Meglio esporre il Papa a una brutta figura internazionale, come è successo al ritorno dall’Irlanda, facendogli fare affermazioni contraddette dai fatti. Perché anche se quei video fossero veri e riferiti ai migranti in Libia, come spiega Gaiani in altro articolo, non riguarderebbero affatto quelli rimandati indietro dall’Italia, ma quelli che dai loro paesi di provenienza si sono messi nelle mani dei trafficanti di uomini. E qui si gioca pesantemente sulla pelle di queste persone, perché se le torture vengono subite nel tragitto dal proprio paese all’Italia è questo che bisogna anzitutto fermare, non il rimpatrio.
Quanto alle foto: solo una didascalia sbagliata, diamine. Già, e quale sarebbe stata la didascalia giusta? «Ecco due foto che non c’entrano niente con i video oggetto dell’articolo, ma è tanto per dare un’idea della violenza»? Davvero un giornalista di Avvenire sarebbe disposto a scrivere una stupidaggine del genere?
Smettiamola di prenderci in giro: si tratta di una didascalia lunga e ragionata, non certo frutto di una disattenzione come tante volte può capitare. «Le due immagini a fianco (si tratta delle meno cruente) sono tratte dai video che Bergoglio aveva voluto vedere alcune settimane fa, trovati nei cellulari di chi è riuscito a fuggire dai lager libici»: è chiaramente intenzionale, voluta. Così come volute sono quelle foto: da quando in qua si correda un servizio giornalistico con foto che con l’evento in questione non c’entrano nulla? Neanche nella scuola di giornalismo più scassata sarebbe proposta questa opzione. E non è credibile che nei video nelle mani di Avvenire, per quanto violenti siano non si possano estrarre dei fermi immagine da pubblicare. Allora perché questa ingiustificabile manipolazione?
Ci aspetteremmo una risposta, se la aspettano i lettori verso i quali la dignità professionale impone di portare rispetto. Ieri una scusa obtorto collo «per la didascalia sbagliata», era nascosta in mezzo a un articolo a metà di pagina 4 il cui titolo non lasciava neanche immaginare un “errore” di Avvenire. Diceva: «I video sui lager sotto accusa. Ma l’orrore non è una “fake”». Appunto: l’orrore in Libia c’è, se ve lo facciamo credere con immagini false che male c’è? Del resto, il fine giustifica i mezzi.