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Australia, Big Tech al guinzaglio ma con effetti collaterali

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L’obiettivo dichiarato della link tax è riequilibrare il potere negoziale tra le piattaforme digitali e gli editori, ma questa misura potrebbe danneggiare proprio coloro che intende proteggere: i piccoli editori locali.

Attualità 28_12_2024
IMAGOECONOMICA - CARLO CARINO BY AI MID

L’Australia ha recentemente annunciato l’intenzione di imporre una “link tax” ai giganti tecnologici come Google e Meta (precedentemente Facebook), obbligandoli a compensare gli editori locali per i contenuti giornalistici condivisi sulle loro piattaforme.
Questa misura – denominata News Bargaining Incentive – prevede che le aziende tecnologiche con un fatturato annuo superiore a 250 milioni di dollari australiani (circa 160 milioni di dollari statunitensi) stipulino accordi commerciali con le organizzazioni mediatiche. In caso contrario, rischiano l’imposizione di tasse aggiuntive.

L’obiettivo dichiarato è riequilibrare il potere negoziale tra le piattaforme digitali e gli editori, garantendo una remunerazione equa per i contenuti giornalistici utilizzati online. Tuttavia, questa iniziativa solleva diverse preoccupazioni, soprattutto per quanto riguarda le sue potenziali conseguenze negative.
Infatti, per colossi come Google e Meta l’introduzione di una link tax potrebbe comportare costi significativi, e potrebbero essere costrette a rivedere le loro strategie operative in Australia, valutando addirittura se continuare a offrire servizi che includono contenuti giornalistici o limitare l’accesso a tali informazioni per evitare oneri finanziari aggiuntivi. Una simile situazione si è già verificata in passato, quando Google minacciò di ritirare il suo motore di ricerca dall’Australia in risposta a normative simili.

Infatti – e paradossalmente – la link tax potrebbe danneggiare proprio coloro che intende proteggere: i piccoli editori locali. Se le piattaforme decidessero di limitare la condivisione di contenuti giornalistici per evitare il pagamento della tassa, gli editori minori perderebbero una fonte cruciale di visibilità e traffico web: il cosiddetto traffico da repository sui social network. La riduzione del flusso di visitatori potrebbe tradursi in minori entrate pubblicitarie, aggravando ulteriormente la già precaria situazione finanziaria di molte testate locali.
Inoltre, esiste il rischio che solo i grandi gruppi editoriali, con maggiori risorse e capacità negoziali, riescano a stipulare accordi favorevoli con le piattaforme digitali. Ciò potrebbe accentuare la concentrazione del mercato dell’informazione, riducendo la pluralità delle voci e limitando l’accesso del pubblico a una gamma diversificata di notizie. In pratica: lo squalo divorerebbe i pesci piccoli, amplificando il monopolio mediatico.

L’introduzione di una link tax potrebbe anche scoraggiare l’innovazione nel settore dei media digitali. Le startup e le nuove iniziative editoriali potrebbero trovare più difficile emergere in un contesto in cui le piattaforme sono riluttanti a condividere contenuti giornalistici per evitare costi aggiuntivi. Questo potrebbe frenare lo sviluppo di nuovi modelli di business e l’evoluzione dell’ecosistema mediatico.

Sebbene l’intenzione del governo australiano di sostenere il giornalismo locale sia lodevole, l’imposizione di una link tax potrebbe avere effetti collaterali indesiderati. È fondamentale considerare attentamente le implicazioni di tali misure, valutando soluzioni alternative che promuovano un ecosistema mediatico sostenibile senza penalizzare l’innovazione e la diversità informativa.
E forse sarebbe anche il momento di fare un esame di coscienza. Imporre ai Big Tech una tassa su un elemento immateriale come lo spostamento ipertestuale significa richiedere loro di pagare per anni di politiche editoriali disastrose e inconcludenti.

Difficile però che Google e Meta si facciano trattare come polli da spennare, e nonostante sia quello australiano un mercato non indifferente, non è sicuramente quello più interessante. Nel 2024, secondo i dati del Digital 2024 di We Are Social, Facebook vanta più di 3 miliardi di utenti attivi al mese. In Australia vivono circa 27 milioni di persone. Bastano questi dati per capire come la storia potrebbe concludersi.



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