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Attentato a Manchester, una ferita nel cuore dell'Europa

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Lo Yom Kippur si è mutato in tragedia giovedì nella sinagoga britannica. Da tempo gli ebrei oltremanica vivono in un clima di terrore fomentato dalla mobilitazione dei gruppi filo-palestinesi. E non si può più fingere di ignorare l'allarme.

Attualità 04_10_2025
(AP Photo/Ian Hodgson) Associated Press/LaPresse

La polizia della Greater Manchester ha reso noto che altri tre sospettati sono stati arrestati con l’accusa di commissione, preparazione e istigazione ad atti di terrorismo. «Scioccante ma non sorprendente», hanno dichiarato alcuni abitanti del posto alla BBC. Solo pochi giorni fa, del resto, avevamo raccontato come l’Isis stesse esortando i suoi seguaci a colpire obiettivi ebraici e cristiani in Europa, con particolare riferimento a Francia e Gran Bretagna con immagini nitide di corpi e la bandiera del “nemico” — il Regno Unito — mostrata in fiamme.

Il giorno dopo, per gli inglesi, il risveglio è stato traumatico. «Siamo diventati una nazione in cui gli ebrei vengono assassinati nei loro luoghi di culto. È un giorno buio per il nostro regno. Uno dei più bui degli ultimi tempi», ha scritto Brendan O’Neill su The Spectator. E mentre il Paese resta in stato di massima allerta per il rischio di attentati imitativi e tutte le sinagoghe vengono blindate, emerge l’identità dell’attentatore: Jihad Al-Shami. Un terrorista chiamato Jihad, guerra santa. Un destino che pare scritto nel nome. O forse solo un nome di battaglia, come spesso accade tra i combattenti islamici. Perché “al-Shami” significa “il siriano”. Dunque, letteralmente: Guerra santa del siriano. Il ministro degli Interni britannico s’è detta sorpresa: «Non ho mai sentito qualcuno chiamarsi Jihad». Parallelamente, l’antiterrorismo indaga se l’attentatore della sinagoga sia lo stesso Jihad Alshamie, che, anni fa, minacciò di morte un parlamentare per le sue posizioni su Israele. 
Intanto, anche in Gran Bretagna, nonostante l’attentato, si sono tenute manifestazioni a sostegno di Gaza e della Flotilla: tra fuochi d’artificio e kefiah i dimostranti si sono scontrati con la polizia nei pressi del nº 10 di Downing Street. E ancora è intervenuta il ministro degli Interni che ha definito tutto molto «non britannico».

L’attentato di Crumpsall non arriva dal nulla. Non è soltanto cronaca: è una ferita che si riapre nel cuore dell’Europa. Un filo rosso lega i morti di Manchester al 7 ottobre 2023, quando Hamas trasformò il confine di Israele in un mattatoio. Già lo scorso anno, il capo dell’unità antiterrorismo aveva avvertito che la guerra di Gaza stava generando un «momento di radicalizzazione» nel Paese. Il Community Security Trust (CST) ha registrato 1.500 episodi di odio antiebraico soltanto nella prima metà di quest’anno, un numero superato solo dai sei mesi iniziali del 2024: un incremento del 58% rispetto al 2023. Non si tratta soltanto di insulti. Nella prima metà del 2025 il CST ha contato 76 aggressioni fisiche, 92 episodi di vandalismo contro proprietà ebraiche e 572 casi di antisemitismo sul web. Secondo l’Agenzia per i diritti fondamentali dell’UE (FRA), il 96% degli ebrei europei ha subito antisemitismo, online o nella vita quotidiana, nel solo 2023.
Un picco, per esempio, si è registrato il 29 giugno, all’indomani del concerto del duo punk-rock Bob Vylan al Glastonbury Festival, quando dal palco si è urlato «Morte, morte alle IDF»: nelle 24 ore successive sono stati segnalati 26 episodi di odio antiebraico.  

Da tempo gli ebrei britannici vivono con la paura, costretti a nascondere i propri simboli religiosi per evitare aggressioni. A Londra, negli ultimi mesi, sono cresciuti gli attacchi contro abitazioni e negozi, imbrattati con vernice rossa e le firme di gruppi pro-Palestina: colpevoli, agli occhi degli aggressori, soltanto di essere ebrei.
Alla conferenza del Combat Antisemitism Movement a Vienna, Ariel Muzicant, presidente del Congresso ebraico europeo, ha parlato di una “battaglia persa”: «Il 57% degli ebrei europei pensa di andarsene. Tra qualche anno, metà delle comunità potrebbe non esistere più». Non si tratta di timori astratti. In Germania, a Stoccarda, il Simon Wiesenthal Center sta per emettere un avviso di viaggio per i visitatori ebrei, denunciando l’esistenza di vere e proprie “zone vietate” per il dilagare dell’attivismo pro-Hamas e di un antisemitismo ormai fuori controllo.

La cornice dunque è chiara: marce con slogan filo-Hamas, sermoni di imam che incitano all’odio in diretta televisiva, media che riducono la sicurezza delle comunità ebraiche a questione politica. E sullo sfondo la cronaca che racconta come a maggio, sette iraniani sono stati arrestati per un sospetto attentato contro l’ambasciata israeliana a Londra. O che in Germania, nelle stesse ore in cui gli ebrei venivano colpiti a Manchester, a Berlino la polizia fermava tre presunti operatori esterni di Hamas — due tedeschi di origine araba e un libanese — accusati, tra fucile d’assalto AK-47, diverse pistole e un ingente quantitativo di munizioni, di organizzare un attentato contro istituzioni israeliane.

E se a New York, la città con la più grande popolazione ebraica al mondo fuori da Israele, la polizia sta dispiegando pattuglie ad alta visibilità attorno alle sinagoghe, anche in Italia le cose non vanno meglio: le moschee sono in stato di agitazione con i giovani musulmani mobilitati nelle proteste per la Flotilla. Un’adesione particolarmente sentita che ha portato il presidente dell’Unione delle comunità islamiche, Yassine Lafram, a salire a bordo di una delle imbarcazioni della missione, promettendo che le «comunità islamiche rimarranno in stato di agitazione». Nel frattempo i Giovani palestinesi d’Italia, sigla laica composta in gran parte da immigrati di seconda generazione, si preparano a sciopero e manifestazione nazionale, allineandosi alle frange più rivoluzionarie della protesta: «Blocchiamo tutto per la Palestina».

Lo Yom Kippur a Manchester, trasformato in una scena di sangue davanti a una sinagoga, in un anomalo silenzio collettivo, tranne del premier Starmer, diventa allora il simbolo di un cortocircuito che l’Europa non può più fingere di ignorare. «È necessaria una maggiore protezione per tutte le religioni», ha dichiarato un rabbino alla BBC.
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