Arresti e condanne, repressione a pieno regime
768 arresti in una settimana in Turchia, sempre con l'accusa di terrorismo. E poi 104 ergastoli per altrettante persone che Ankara vuole vicine a coloro che organizzarono il golpe del luglio 2016. Erdogan sta trasformando la Turchia in un carcere a cielo aperto.
768 arresti in una settimana in Turchia, sempre con l'accusa di terrorismo. O meglio, di vicinanza a Gulen, che per il regime del sultano Erdogan equivale ad attentare alla sua autorità. E poi 104 ergastoli per altrettante persone che Ankara vuole vicine a coloro che organizzarono il golpe del luglio 2016, quello auto-prodotto da Erdogan a proprio uso e consumo per intenderci. Una riconquista neo-ottomana che ormai si espande con prepotenza in qualsiasi ambito Erdogan si muova.
Come in Bosnia, dove il sultano ha posto in essere l'unico convegno della sua campagna oltre Bosforo: ''L'Europa non vi vuole, noi sì'', così si è rivolto alla popolazione. E questo è più di un invito, è un pericolo di proselitismo attivo su una parte fondamentale d'Europa. Che Erdogan non ha mai negato di voler via via prendere, tornando sempre a quel sogno di restaurazione neo-ottomana di cui sopra.
Questa è la situazione della Turchia di oggi, quella dominata da un personaggio inquietante, legato alla Fratellanza Musulmana e della quale è pezzo da novanta. I turchi, abituati per decenni alla libertà e alla laicità nell'esempio di Kemal Ataturk oggi si ritrovano nelle mani di un autocrate spietato, che sta trasformando la Turchia in un carcere a cielo aperto, a confronto del quale la Gestapo e la Stasi impallidiscono. Si può essere arrestati e sbattuti in galera senza un processo equo, senza potersi difendere: i diritti umani, di cui tanto i paladini del politicamente corretto si riempiono la bocca, in Turchia sono ormai fuori da ogni considerazione.
La libertà ad Ankara e dintorni è un qualcosa di sepolto sotto le macerie della repressione del dittatore Erdogan, che si appresta a concorrere per le elezioni anticipate e c'è da scommettere che troverà il modo di orientare la tornata elettorale: sappiamo bene quanta influenza abbiano lui e il suo apparato militare sulla popolazione, sia in patria che all'estero. Le alternative a lui ci sono, come Meral Aksener che lo ha sfidato con coraggio e determinazione per tornare a dare un futuro alla Turchia. Ma la sua sfida e quella di altri è ardua, se non impossibile. Anche perché hanno tutti contro. Dalla comunità internazionale che non condanna Erdogan fino a tantissimi Paesi canaglia, come il Qatar, che metteranno dentro tanti di quei denari da non poter nemmeno immaginare, per proselitismo. Stavolta politico-estremista. Ossia la strada verso lo Stato di stampo radicalista, della peggiore specie.