Armida Barelli, una vita per il Sacro Cuore
Riconosciuto il miracolo dovuto all’intercessione della venerabile Armida Barelli, una delle più interessanti figure laiche del XX secolo. Cofondatrice dell’Università Cattolica e delle Missionarie della Regalità di Cristo, anima della Gioventù Femminile e di tante altre opere, visse nel mondo da vergine consacrata con il solo fine di favorire «l’avvento del Regno di Cristo quaggiù».
È stata una figura originale, eminente ma discreta, «non da prime pagine» (come è stato scritto), del laicato cattolico italiano nella prima metà del XX secolo. Benvoluta da tre papi (Benedetto XV, Pio XI, Pio XII), oggi è meno conosciuta di quanto meriterebbe, ma la decisione della Chiesa di elevarla agli onori degli altari contribuirà certamente a farne riscoprire il carisma. Parliamo della venerabile Armida Barelli (1882-1952), cofondatrice dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e di molteplici altre opere che nelle sue intenzioni dovevano avere un unico fine: instaurare il Regno di Cristo in terra.
Il 20 febbraio scorso la Congregazione delle Cause dei Santi ha ricevuto da papa Francesco l’autorizzazione a promulgare, tra gli altri, il decreto che riconosce un miracolo attribuito all’intercessione della Barelli e riguardante la guarigione inspiegabile, tra il maggio e il giugno 1989, di una signora allora sessantacinquenne, investita da un camion mentre tornava a casa in bici e vissuta poi per altri 23 anni. In ragione del miracolo, Armida - le cui virtù eroiche erano state riconosciute nel 2007 da Benedetto XVI - potrà presto essere proclamata beata.
Armida era nata a Milano l’1 dicembre 1882 da una famiglia dell’alta borghesia. I suoi genitori, cattolici liberali, non diedero un’educazione religiosa a nessuno dei loro sei figli. Ma la nostra futura beata, “Ida” per i fratelli, ebbe modo di apprendere la pietà cristiana durante i primi studi dalle Orsoline e soprattutto, ormai adolescente, nei cinque anni trascorsi in un collegio svizzero gestito dalle Suore della Santa Croce, dove le venne trasmessa, oltre alla conoscenza del francese e del tedesco, la devozione per il Sacro Cuore di Gesù e l’Immacolata.
Lavorò poi nell’azienda di famiglia e si impegnò nel volontariato, a favore di orfani e carcerati. Era la prima decade del Novecento e Armida, bella e intelligente, si trovò a rifiutare diverse proposte di matrimonio. Nel 1909, «Anno di Grazia», come lo chiamò lei, si consacrò al Signore con un voto privato di castità e si andò delineando quella vocazione che le sarà definitivamente chiara - grazie al consiglio di diversi sacerdoti - solo quattro anni dopo: la vocazione di vergine nel mondo.
Nel 1910 avvenne l’incontro cruciale con padre Agostino Gemelli, a cui si era rivolta per chiedergli un consiglio su un fratello lontano dalla fede. Su sua indicazione divenne terziaria francescana. La collaborazione tra i due si intensificò negli anni della Grande Guerra, quando Armida suggerì a padre Gemelli di promuovere la consacrazione dei soldati al Sacro Cuore, idea per la quale fu costituito un comitato ad hoc. Nell’autunno 1918 - dopo che nei mesi precedenti era stata scelta per un identico progetto all’interno dell’arcidiocesi di Milano dal cardinale e oggi beato Andrea Carlo Ferrari - la Barelli fu incaricata da Benedetto XV di fondare a livello nazionale e propagare sull’intero territorio italiano la Gioventù Femminile di Azione Cattolica. L’idea era quella di offrire una formazione religiosa alle giovani donne, così da avere un laicato pronto alle sfide delle ideologie atee del tempo e capace di fare apostolato. Sotto la presidenza della Barelli (1919-1946), “La sorella maggiore” come fu chiamata, la “Gieffe” superò abbondantemente il milione di socie (erano 1.164.388 nel ’42).
Il 19 novembre 1919, diede vita con padre Gemelli al pio sodalizio delle “Terziarie francescane del Regno sociale del Sacro Cuore”, che poi diverrà l’Istituto secolare delle Missionarie della Regalità di N.S. Gesù Cristo, composto da laiche consacrate. Dodici all’origine, erano diventate duemila nel ’51. «Non preoccupatevi di trovare nuove sorelle, non cercate di suscitare vocazioni al nostro Sodalizio, perché le vocazioni le crea Iddio e non le creature», era stata la convinzione di fondo espressa, nel frattempo, da Armida.
Ancora con padre Gemelli e insieme ad altre personalità cattoliche, la Barelli pose le basi dell’Università Cattolica e fu lei a spingere perché venisse intitolata al Sacro Cuore. Della Cattolica fu, fino alla morte, la cassiera e si preoccupò di raccogliere fondi per finanziarla, sia per mezzo di piccole singole offerte che attraverso l’idea di una “Giornata” annuale.
Altra idea di rilievo, anch’essa portata avanti con padre Gemelli, fu la creazione nel 1927-29 dell’Opera della Regalità che nacque, come ricordò la biografa Maria Sticco, «per l’adorazione notturna e la divulgazione della pietà liturgica per mezzo di opuscoletti, che davano il testo latino-italiano delle Messe festive».
L’epoca di questi fermenti sul fronte cattolico era quella della Quas Primas (11 dicembre 1925), l’enciclica di Pio XI che denunciò «la peste» del laicismo e istituì la festa di Cristo Re, con il fine di ricordare che solo Cristo e il riconoscimento della Sua regalità nella storia dell’uomo è il rimedio ai mali della società. A questo principio, che sta alla base della Dottrina sociale della Chiesa, si ispirò evidentemente tutta l’azione della Barelli. Scriveva, per esempio, nel ’45: «La nostra grande e assillante preoccupazione è quella di cooperare con tutte le nostre forze, perché l’Italia nostra ed il mondo intraprendano un orientamento sociale e morale su basi cristiane».
A Seconda Guerra Mondiale finita, nel ’46, lasciò la guida della Gioventù Femminile per assumere il ruolo di vicepresidente dell’intera Azione Cattolica. Ma val la pena ricordare, con le parole usate due anni più tardi da Pio XII in occasione del trentennio della fondazione della Gieffe, come questa fosse vista a quei tempi: «Pura nel costume, forte nella fede, ardente nell’amore a Cristo, fervida nell’apostolato, misericordiosa verso i poveri e gli umili, intrepida di fronte ai nemici di Dio e della Chiesa; è la divisa della Gioventù Femminile di Azione Cattolica, cui paternamente benediciamo», scrisse papa Pacelli nel suo messaggio.
Nella campagna per le prime elezioni repubblicane italiane, la Barelli sostenne - dopo qualche titubanza iniziale - la Democrazia Cristiana, girando l’Italia per scoraggiare l’astensionismo. Si impegnò per favorire l’unità politica dei cattolici, così da evitare la presa del potere da parte di socialisti e comunisti.
Nell’estate del 1949 iniziò a soffrire di paralisi bulbare progressiva, la malattia che la portò alla morte tre anni più tardi. Nel mezzo di quella sofferenza scrisse: «Accetto la morte, quella qualsiasi che il Signore vorrà, in piena adesione al volere divino, come ultima suprema prova d’amore al Sacro Cuore, di cui mi sono fidata in vita e voglio fidarmi in morte; e come ultima suprema preghiera per ciò che nella mia vita fu il sogno costante: l’avvento del Regno di Cristo quaggiù».
Tornò alla casa del Padre nel giorno dell’Assunta, il 15 agosto 1952. Pochi mesi più tardi la sua salma venne traslata nella cripta della cappella dell’Università Cattolica di Milano, dove si trova ancora oggi.