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IL CASO

Apple e Amazon, la tecnologia "democratica" non esiste

La complicità di Apple con il regime cinese per conquistare fette di mercato (progetto oltretutto fallito), la distruzione di tonnellate di oggetti nuovi da parte di Amazon per non pagare il magazzino: la dimostrazione che, dietro la maschera del progressismo, si celano scelte che sono solo economiche.

Economia 19_01_2019
Apple e Amazon

Le vendite di Apple in Cina sono in recessione. Nel secondo quadrimestre del 2018, secondo i rilievi di International Data Corporation, si è assistito a un tracollo verticale del market share di Apple nel gigante asiatico, che passa dal 12,5% al 6,7%. Verrebbe da complimentarsi con Tim Cook per l’avveduta strategia economica. Ma più che di attività economiche, vale la pena soffermarsi su un fatto: l’ipocrisia che il management dell’azienda del compianto Steve Jobs ha palesato al mondo, alla fine, non ha pagato.

È del 2017 la notizia che, sotto pressione del governo cinese contro la prolificazione di VPN – sistemi di comunicazioni privati capaci di scavalcare la censura del gigante asiatico –, Apple elimina dal proprio store virtuale le applicazioni bandite. Questo ha potenziato il potere censorio del partito chiudendo quel rivolo di verità che filtrava oltre la barriera della propaganda del regime. La ragione economica dietro questa scelta è chiara: in Asia la forza di altri competitor (come la coreana Samsung) frena la crescita dell’azienda di Tim Cook, e avere un appoggio politico poteva garantire ad Apple una maggiore fetta di mercato da attaccare. 

Peccato che non ci sia riuscito. E peccato, soprattutto, che in questa azione fallimentare Apple ha però manifestato come la sua purezza altro non sia che un’inerte strategia di marketing. La stessa purezza con cui i più alti piani del brand hanno ostentato un “no” secco davanti all’FBI che gli chiedeva una chiave di accesso all’iPhone di uno dei due terroristi della strage di San Bernardino (quella del 2 dicembre 2015, in un centro di aiuto ai disabili in California, che ha causato la morte di 14 persone). La privacy dell’utente è sacra, ma a quanto pare la libertà di espressione no. Ma, si sa: in America il brand Apple è così forte da non aver bisogno di appoggi politici.

Come Apple, adesso molte società innovative, un tempo dichiaratamente votate a un miglioramento “democratico” delle condizioni di vita di tutti, iniziano a scricchiolare sotto il peso delle loro stesse promesse. E della loro ipocrisia: basti pensare a Google, che ha praticamente monopolizzato il mondo dei motori di ricerca ed eluso, almeno in Europa, alcune tassazioni; o a Facebook, il quale ha venduto a terze parti dati privati impiegati poi per sponsorizzare messaggi politici (il famoso caso Cambridge Analytica). 

Il programma Capital di M6, ripreso da Le Figaro, mette invece in luce la prassi di Amazon di mandare al macero molti prodotti ancora nuovi per questioni economiche. È infatti più remunerativo distruggere parte delle eccedenze dell’invenduto che, invece, mantenerle inerti a stanziare all’interno dei propri magazzini. Il costo dell’affitto di uno spazio nei magazzini del gigante di Jeff Bezos è così elevato da indurre gli affittuari a preferirne la distruzione. Così tonnellate di prodotti – televisori, libri, giochi – sono portati in discarica nonostante siano assolutamente nuovi.

Sono invece meno recenti le notizie sulla condizione dei lavoratori dei magazzini di Amazon, monitorati in ogni loro spostamento. «C’è l’ossessione della produttività. È stressante, non ti puoi mai fermare perché sei sempre monitorato, e quindi eviti di andare anche in bagno»  ha dichiarato un lavoratore a Linkiesta. Insomma: pare proprio che tutte le 4 Big Four del sistema tecnologico americano abbiano tradito le loro origini progressiste e democratiche a favore del denaro. Ma, come narrato nel Vangelo, o si segue Dio o si segue la Mammona. Non esiste una terza via.