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APPROPRIAZIONE INDEBITA

Altro che Ungheria. In pericolo è la nostra libertà

Il problema non è tanto, o meglio, non è solo, la crisi, lo spread,
la Merkel, e via dicendo. Il problema è quando la gente porta il cervello all’ammasso, cioè quando
non ragiona, quando si adegua
al pensiero dominante e non se
ne accorge neanche più. Un esempio? La continua, costante, e oramai imbarazzante “ode a Napolitano”.


Non mi piace (e mi preoccupa) l’andazzo del governo di Victor Orban, in Ungheria: penso che il Partito popolare europeo (di cui Orban è vicepresidente) dovrebbe discuterne subito.
Ma vedendo che Corriere della sera e Repubblica già lanciano la crociata contro il governo di Budapest, eletto da una maggioranza di due terzi, mi chiedo: siamo sicuri che noi italiani possiamo permetterci il lusso di dare lezioni all’Ungheria?

COMPAGNO NAPOLITANO
Temo che gli ungheresi possano dirci: cari signori italiani che volete insegnarci il liberalismo, voi avete eletto presidente della Repubblica, dunque simbolo morale di tutta la vostra nazione, e tutti i giorni incensate sui giornali (a cominciare da Corriere, Repubblica e Stampa), un uomo politico che fu dirigente del Partito comunista di Togliatti e di Stalin.

L’on. Napolitano, nel 1956, quando i carri armati sovietici schiacciarono nel sangue il nostro popolo che chiedeva libertà, si pronunciò così: “L’intervento sovietico ha non solo contribuito a impedire che l’Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione ma alla pace nel mondo”.

Quell’invasione (“per la pace”) massacrò 2700 ungheresi, oltre alla libertà e all’indipendenza di quel Paese. Congelando un’evoluzione che poteva iniziare allora e non nell’89.
Noi replicheremo che Napolitano ha poi riconosciuto l’errore.

Ci mancherebbe! Volete che quarant’anni dopo, a comunismo crollato – ci diranno gli ungheresi – esaltasse ancora l’invasione?
Ma il passato conta e non può essere cancellato. Specie se uno non si ritira in pensione, ma diventa presidente della Repubblica. E specie se volete dar lezioni di libertà a noi.

D’altra parte, bisogna ammettere che se si legge l’ “autobiografia politica” di Napolitano intitolata “Dal Pci al socialismo europeo” (Laterza), uscita nel 2005, alla vigilia della sua elezione al Quirinale, la “revisione” sui fatti ungheresi sembra ancora il dibattito interno al Pci: dà ragione ad Antonio Giolitti e a Di Vittorio, riconosce che avevano ragione i dirigenti comunisti ungheresi che si opposero ai carri armati e furono spazzati via, ma non dà ragione agli anticomunisti.
Ed evita di fare i conti con tutta la verità storica.

RIVELAZIONI SU TOGLIATTI
Per esempio. Si era sempre scritto che il Pci avesse “solo” (sic!) applaudito sull’Unità i cingolati del tiranno e condannato gli operai che chiedevano pane e libertà come “controrivoluzionari”, “teppisti” e “spregevoli provocatori”.

Ma Togliatti non fece solo questo.  Lo si è scoperto alla fine del 1992, quando il presidente russo Eltsin consegnò al presidente ungherese i documenti riguardanti l’invasione dell’Ungheria che erano custoditi negli archivi segreti dell’ex Urss.

Da quella documentazione si è scoperto che il 30 ottobre 1956 il presidium del comitato centrale sovietico - in linea con la destalinizzazione di Kruscev - aveva deciso all’unanimità di evitare l’intervento armato in Ungheria. Invece il giorno dopo capovolse tutto e decise di “restaurare l’ordine in Ungheria”.

A cosa fu dovuta questa retromarcia?
Si è ipotizzato che a modificare la prima decisione sovietica – scrivono Zaslavskj ed Aga-Rossi – “contribuirono le prese di posizione di alcuni rappresentanti del blocco comunista a favore di un intervento. A questo proposito rimane da approfondire il ruolo avuto dal telegramma di Togliatti” dove costui “definì gli avvenimenti ungheresi ‘la rivolta controrivoluzionaria’ e sollecitò il governo sovietico a prendere una posizione chiara, per evitare che assumessero una ‘direzione reazionaria’ ”.

Questa è appunto la scoperta: una lettera (dura con gli ungheresi) di Togliatti spedita urgentemente, per telegramma, a Mosca proprio quel 30 ottobre tramite l’ambasciata sovietica.

Togliatti - essendo stato così vicino a Stalin - aveva allora un grosso peso nel mondo comunista internazionale, infatti “all’interno dell’Unione Sovietica la sua lettera fu utilizzata dall’apparato di propaganda per giustificare l’intervento” (Zaslavskj).

Dunque oggi si può dire che il ruolo del leader del Pci non fu solo quello di lodare i carri armati che invasero l’Ungheria per “sbarrare la strada al terrore bianco e schiacciare il fascismo nell’uovo”.

Di tutto questo Victor Zaslavskj ha scritto in due volumi del 1997 e del 2004, ma Napolitano nel suo libro del 2005 non ne fa alcuna menzione. E continua a sostenere che l’errore del Pci fu solo “la giustificazione del sanguinoso intervento”. 

È ANCORA COMUNISTA?
Del resto tutta la revisione di Napolitano appare indulgente e “continuista”. Mai una vera rottura.

Pur essendo approdato, come dice il titolo del libro, al “socialismo europeo”, da nessuna parte egli scrive che avevano ragione gli anticomunisti (come il cardinale Mindszenty o come Luigi Gedda e Pio XII).

Non mi pare che scriva che fosse immorale e ingiustificabile sostenere le disumane tirannie comuniste e propagarne le stomachevoli menzogne. 

Anzi. Si legge talora una sorprendete apologia del Pci degli anni Quaranta, proprio il periodo di Stalin. Ci si aspettava che almeno nel 2005 Napolitano riconoscesse l’enorme merito storico della Dc, di avere letteralmente salvato la libertà e l’indipendenza dell’Italia dalla minaccia (anche militare) comunista.

E invece scrive testualmente che “dopo le elezioni del 18 aprile 1948, la Democrazia cristiana (…) intraprese coi suoi alleati di governo una politica che risultò oscurantista e perfino liberticida rispetto ai valori della laicità dello Stato, ai diritti costituzionali dell’opposizione, alle espressioni culturali e artistiche non gradite”.

Poi sottolinea quanto fosse “persuasiva la strategia di opposizione del Pci” elogiando “il successo di una vigorosa e ben motivata azione politica del Pci, che lo qualificò come partito difensore della Costituzione repubblicana e della libertà della cultura, e che fu certamente benefica per il paese, per la democrazia italiana” (pagg. 16-17).

Dunque il Pci di Togliatti e di Stalin fu il salvatore della democrazia e della libertà, mentre la Dc di De Gasperi fu “liberticida” e “oscurantista”. Scritto nel 2005, alla vigilia dell’elezione al Colle.

Vogliamo oggi dar lezioni all’Ungheria?

NOI NON SIAMO PIU’ LIBERI
Bisognerebbe essere stati sempre liberaldemocratici e anticomunisti, come pure antifascisti (teniamo conto che questo Orban fu un oppositore del regime comunista ungherese). Ma in Italia pochi lo sono stati.

Fa bene il “Corriere” ad attaccare Orban  perché “la nuova Carta rende retroattivamente ‘responsabili dei crimini comunisti’ commessi fino al 1989 i dirigenti dell’attuale partito socialista (ex comunista)”, ma noi siamo stati sempre netti nella condanna del comunismo, senza amnesie e reticenze?

E’ sacrosanto criticare le decisioni del governo ungherese se limitano la libertà di stampa o altre libertà o i diritti delle minoranze. Ma perché condannare il riferimento a Dio nella Costituzione (“Dio benedica gli ungheresi”), un motto uguale a quello delle istituzioni americane o inglesi?

Il Corriere pone fra i capi di imputazione il fatto che la nuova Costituzione “stabilisce che l’embrione è un essere umano sin dall’inizio”.

E’ forse un crimine? Li condanniamo dall’alto di milioni di aborti legalizzati in Europa? Magari mentre digeriamo senza proteste la legge sugli aborti forzati in Cina che fa milioni di vittime?

Repubblica imputa a Orban di aver varato “una legge che toglie autonomia alla banca centrale, sfidando Bce e Fmi”. Ma la sovranità spetta ai popoli o a Bce e Fmi?

Siamo più liberi e liberali noi italiani che abbiamo consegnato la nostra sovranità a un ente privato come la Bce o alla Bundesbank, facendoci dettare da loro il programma di governo e il nuovo governo?

Siamo più liberi noi, ormai costretti a lavorare gratis per lo stato fino ad agosto e a consegnare alle banche i nostri stipendi, senza più neanche il diritto di prelevare liberamente i nostri soldi dovendo giustificare prima allo stato come intendiamo spenderli? Sarebbe questa la libertà che vogliamo insegnare all’Ungheria?

Da Libero 5 gennaio 2012