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il caso

Almasri, le ragioni di Stato di un rimpatrio che sa di pragmatismo

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Nel rilascio da parte dell'Italia del generale libico Najeem Osama Almasri il governo ha preso una decisione pragmatica, considerando i rischi di un'azione che avrebbe potuto compromettere gli interessi italiani in Libia e aumentare la già grave crisi migratoria.

Politica 25_01_2025

Era inevitabile che si scatenasse l’ennesima polemica tra destra e sinistra in occasione della vicenda che ha visto coinvolto il generale libico Najeem Osama Almasri, espulso e rimpatriato in Libia. Almasri, accusato di crimini contro l'umanità e tortura da parte della Corte Penale Internazionale (CPI), è stato arrestato a Torino il 19 gennaio, per poi essere rilasciato e riportato in Libia con un volo ufficiale italiano solo pochi giorni dopo. Reazioni contrastanti da parte delle opposizioni politiche italiane, delle istituzioni internazionali e dell'opinione pubblica. Questa vicenda è un chiaro esempio della delicatezza dei rapporti internazionali e della necessità di una politica di ragion di Stato, che in alcune circostanze impone scelte complesse e controverse.

Almasri è un nome noto in Libia, dove ricopre un ruolo di rilievo come capo della Polizia giudiziaria, e ha legami diretti con le più alte cariche dello Stato libico. La sua posizione lo rende una figura centrale nel sistema di giustizia e sicurezza libico, e le sue responsabilità includono il contrasto al terrorismo e alla criminalità organizzata, nonché il controllo su strutture carcerarie come quella di Mitiga, dove le condizioni di detenzione sono state più volte denunciate da organizzazioni internazionali.

La Corte Penale Internazionale ha emesso un mandato d'arresto per Almasri, accusandolo di crimini di guerra e torture ai danni di prigionieri nel carcere di Mitiga, ma le autorità italiane hanno scelto di non procedere alla sua estradizione.

La decisione di rimpatriarlo ha sollevato dure critiche da parte delle opposizioni italiane, che hanno accusato il governo di aver liberato un criminale di guerra, di aver fatto un favore a un regime violento e di aver violato precisi impegni internazionali. La segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, ha definito l'episodio «opaco» e ha sottolineato la contraddizione rispetto alle dichiarazioni del governo Meloni sulla lotta ai trafficanti di esseri umani. Anche esponenti del Movimento 5 Stelle e di Alleanza Verdi e Sinistra hanno condannato il rimpatrio, sostenendo che l'Italia avesse tradito i diritti umani e calpestato il diritto internazionale.

Tuttavia, il governo italiano ha giustificato la sua scelta con motivazioni di sicurezza nazionale e ragion di Stato. Almasri, infatti, non è solo un criminale accusato di atrocità, ma è anche, come detto, una figura di spicco nel contesto geopolitico della Libia, un paese con cui l'Italia intrattiene rapporti strategici, soprattutto in materia di flussi migratori, petrolio e gas. Consegnare Almasri alla Corte Penale Internazionale avrebbe esposto l'Italia a ritorsioni da parte del governo libico, che avrebbe potuto utilizzare il suo arresto come pretesto per esercitare pressioni su Roma. Tra le possibili ritorsioni, si è ipotizzato un incremento dei flussi migratori verso l'Italia, con un conseguente aggravamento della situazione già critica nelle acque del Mediterraneo.

Il governo Meloni, quindi, ha preso una decisione pragmatica, considerando i rischi geopolitici di un'azione che avrebbe potuto compromettere gli interessi italiani in Libia e aumentare la già grave crisi migratoria. L'Italia, infatti, sta cercando di mantenere un equilibrio delicato nei suoi rapporti con Tripoli, in quanto il governo libico è una delle poche autorità centrali in grado di gestire, anche se spesso in modo discutibile, i flussi migratori dalla Libia verso l'Europa.

Inoltre, la scelta di non estradare Almasri si inserisce in un contesto più ampio di politica estera italiana, che ha visto, negli ultimi anni, un rafforzamento dei legami con il governo di Tripoli. L'Italia, come altri Paesi occidentali, ha dovuto fare i conti con la realtà di un Paese destabilizzato e con l'urgenza di gestire i propri interessi, che spesso richiedono compromessi difficili da spiegare sul piano morale ma che si giustificano proprio per la necessità di gestire al meglio la patata bollente delle rotte migratorie.

Il rimpatrio di Almasri, quindi, non è solo una questione di giustizia penale, ma una decisione che tocca le corde della diplomazia internazionale e degli interessi strategici italiani. Certamente l'opinione pubblica si è divisa, ma è difficile ignorare che il governo Meloni ha dovuto fare una scelta difficile, bilanciando le necessità di sicurezza interna e di stabilità internazionale. La questione solleva anche interrogativi sul ruolo dell'Italia nella comunità internazionale e sulle sue responsabilità nei confronti dei diritti umani, ma è innegabile che, in un contesto di ragion di Stato, alcune decisioni sono dettate da necessità di equilibrio tra giustizia, sicurezza e politica estera.

L'Italia, insomma, ha scelto di tutelare gli interessi nazionali, con un approccio che non è nuovo nella storia della diplomazia e che spesso viene adottato quando ci si trova di fronte a decisioni difficili da spiegare pubblicamente. Piuttosto la sinistra dimostra scarso senso dello Stato nell’accendere polemiche strumentali a proposito di questa vicenda, mentre in occasione di fatti simili, o se non simili comunque paragonabili a questo, quando si trattava di riportare a casa persone sequestrate e ideologicamente della sua area, ha chiuso un occhio di fronte a forzature e lesioni delle norme internazionali. Come spesso accade, due pesi e due misure.