Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Giovedì Santo a cura di Ermes Dovico
IL BELLO DELLA SCUOLA/24

Alla scuola del Natale. I grandi poeti e la nascita di Gesù

Come si sostituisce il Natale con una generica festa della luce e della bontà umana, così dalle antologie scompaiono le poesie che i grandi poeti, italiani ed europei, hanno dedicato alla nascita di Gesù. Dunque all'evento che ha cambiato tutto. 

Educazione 08_12_2019
Giorgione, Adorazione dei pastori

Per le vie di un paese, nella piazza è stata allestita un’esposizione di disegni dei bambini della scuola primaria in occasione del Natale. Un bimbo chiede al papà: «Che cos’è la festa della luce?». Non c’è un disegno che rappresenti il presepe e la nascita di Gesù, tutti sono ispirati al tema della luce.

In molte scuole parlare di Gesù o rappresentarlo sembra essere diventato inammissibile, perché oltraggioso o offensivo nei confronti di ragazzi appartenenti anche ad altre religioni o di quanti, magari cristiani battezzati, non credono più o hanno perso le ragioni della propria fede. Così, il Natale come celebrazione di Gesù che nasce ed è tra noi è scomparso ed è ammesso solo nella forma di una festa snaturata, sostituita da valori come la pace, la solidarietà o altro.

Perché si deve ricorrere a metafore o a riduzioni del Natale? È così semplice raccontare la buona notizia, quella di un Dio che si è fatto bambino per condividere la condizione umana, si è fatto dono e compagnia. Lui è il dono più grande del Natale. È una storia commovente, perché ci racconta di un Dio che si è fatto carne, che è diventato un bambino indifeso, come lo siamo stati tutti noi, ha fatto il falegname per tanti anni finché non ha iniziato la missione. Non ci ha fatto prediche, ma si è piegato sul nostro niente, ci ha amato ed abbracciato come un  padre e una madre fanno con il proprio figlio, ha condiviso con noi uomini il suo tempo, rivelandoci il Mistero del Padre, l’amore, è morto in croce per redimere i nostri peccati ed è resuscitato.

Eppure, tutto congiura a tacere di questa buona novella. Perfino laddove si dovrebbe parlare di Lui, il Salvatore del mondo, si cerca in ogni modo di ridurLo ad una nostra misura, di eliminare il Mistero per sostituirLo con leggende o con valori. Bisogna ritornare alla semplicità dei bambini che, di fronte alla domanda su cosa sia il Natale, con grande spontaneità rispondono: la nascita di Gesù.

Come tutto congiura a tacere della nascita di Gesù, così tutto vuole tacere della novità che con il suo avvento ha investito il mondo e tutti gli ambiti della vita, quello materiale e quello spirituale, il campo economico, quello culturale e quello più prettamente artistico. La stessa concezione di sé che aveva l’uomo è mutata. Eppure, oggi è venuta meno la consapevolezza che la radice profonda dei valori, della ricchezza, dello splendore della nostra civiltà risiede nel cristianesimo, ovvero in Cristo, manca il sentimento di gratitudine per Colui che è il vero protagonista della storia.

L’evento della nascita di Gesù ha spezzato in due la storia. Nell’Apocalisse si legge: «Ecco la tenda di Dio con gli uomini! […] (Egli) asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate […] Ecco io faccio nuove tutte le cose!» (21,3-5). Da allora niente è più lo stesso, mentre una diffusa mentalità comune vorrebbe indurci a pensare che le acquisizioni maggiori dell’uomo siano dovute solo alla Rivoluzione scientifica del XVII secolo o all’Illuminismo o, più in generale, alla Modernità.

Il silenzio sulla nascita di Gesù è, in realtà, una falsità odierna, una mistificazione, segno del fastidio della cultura e di tanto mondo intellettuale. Gesù ha da sempre diviso e divide, ha da sempre attirato su di sé la simpatia umana o l’odio. Di solito non si studia al liceo o all’università neppure una poesia dedicata alla nascita di Gesù. Devo ritornare con la memoria agli anni delle elementari, quando mi venne insegnata la poesia La notte santa di Guido Gozzano:

-Consolati, Maria, del tuo pellegrinare!

Siam giunti. Ecco Betlemme ornata di trofei.

Presso quell'osteria potremo riposare,

ché troppo stanco sono e troppo stanca sei.

Il campanile scocca

lentamente le sei.

-Avete un po' di posto, o voi del Caval Grigio?

Un po' di posto per me e per Giuseppe?

-Signori, ce ne duole: è notte di prodigio;

son troppi i forestieri; le stanze ho piene zeppe.

Perché le antologie scolastiche escludono qualsiasi testo che racconti la storia di Gesù composto dai grandi letterati? Forse perché gli scrittori e i poeti non hanno raccontato la storia di Gesù? Certo che no. Infatti, quasi tutti i grandi scrittori, malgrado la smemoratezza della critica letteraria, si sono cimentati con questo fatto. Tutti hanno sentito il fascino di raccontare questa storia. Pensate, persino D’Annunzio (1863-1938), che spesso ha dissacrato e vilipeso volontariamente il nome di Gesù, si confronta con l’evento della nascita di Gesù. Scrive una poesia intitolata I Re Magi:

Una luce vermiglia

risplende nella pia

notte e si spande via

per miglia e miglia e miglia.

O nova meraviglia!

O fiore di Maria!

Passa la melodia

e la terra s’ingiglia.

Cantano tra il fischiare

del vento per le forre,

i biondi angeli in coro;

ed ecco Baldassarre

Gaspare e Melchiorre,

con mirra, incenso ed oro.

Tanti altri, anche insospettabili, come Rimbaud, Saba, Quasimodo ci hanno raccontato della nascita di Gesù. Ognuno con la sua sensibilità e la sua cultura, certo guardando al fatto cristiano a partire dalla propria esperienza, ognuno, però, si è confrontato con l’avvento di Gesù. Arthur Rimbaud (1854-1891) è conosciuto come poeta maledetto insieme a Baudelaire e Verlaine. Une Saison en Enfer, ovvero Una stagione all’inferno, viene stampata nel 1873, l’anno della furibonda lite con l’amico Verlaine che lo ferisce al polso con un colpo di pistola. L’opera contribuisce a creare il mito del poeta geniale e maudit. In maniera sorprendente, nella raccolta incontriamo la poesia Natale sulla Terra. Recita così:

Dallo stesso deserto,

nella stessa notte,

sempre i miei occhi stanchi si destano

alla stella d’argento,

sempre,

senza che si commuovano i Re della vita,

i tre magi, cuore, anima, spirito. Quando

ce ne andremo di là

dalle rive e dai monti,

a salutare la nascita del nuovo lavoro,

la saggezza nuova, la fuga dei tiranni e dei demoni,

la fine della superstizione,

ad adorare – per primi! – Natale sulla terra!

Si avvertono, qui, il senso di solitudine, la stanchezza, ma, nel contempo, il desiderio del viaggio, la speranza di incontrare quella saggezza nuova sulla Terra che renda nuove tutte le cose. È l’annuncio del mondo nuovo, che possa incominciare per ciascuno di noi già in questo mondo. Gesù è il Regno di Dio, è la speranza dell’uomo nuovo, rigenerato, perché redento.  Rimbaud avrebbe, di lì a poco, intrapreso un viaggio, lontano dall’Europa, alla ricerca, forse, di qualcosa che potesse rendere nuova la sua vita. Vivrà una vita errabonda, alla continua ricerca, sempre annoiato, come scriverà lui stesso nelle lettere dall’Africa, da quei piaceri che la vita offre.

La poesia di Umberto Saba (1883-1957) è, spesso, animata dal riconoscimento della presenza del divino nelle piccole cose e nelle umili creature, religiosità che il poeta trasfonde anche nel componimento A Gesù Bambino:

La notte è scesa

e brilla la cometa

che ha segnato il cammino.

Sono davanti a Te, Santo Bambino!

Tu, Re dell’universo,

ci hai insegnato

che tutte le creature sono uguali,

che le distingue solo la bontà,

tesoro immenso,

dato al povero e al ricco.

Gesù, fa’ ch’io sia buono,

che in cuore non abbia che dolcezza.

Fa’ che il tuo dono

s’accresca in me ogni giorno

e intorno lo diffonda,

nel Tuo nome.

Gesù è qui apostrofato come Re dell’universo, un dono che ci rende responsabili e missionari, come i primi apostoli.

Salvatore Quasimodo (1901-1969), così attento anche alle vicende del suo tempo, alla guerra e alla violenza che imperversa nel mondo, in Uomo del mio tempo vede gli odierni abitanti della Terra simili a Caino, all’uomo che ha ucciso il proprio fratello. Nel Natale scrive:

Non v’è pace nel cuore dell’uomo.

Anche con Cristo e sono venti secoli

il fratello si scaglia sul fratello.

La morte di Cristo si ripete ogni giorno e il poeta si domanda:

Ma c’è chi ascolta il pianto del bambino

che morirà poi in croce fra due ladri?

Quella pace che Quasimodo vede nel presepe è invocata anche nella vita di tutti i giorni, non è la pace dell’uomo, senza giustizia e senza amore, ma è la « Pace nel cuore di Cristo in eterno».