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Alfie, il mercato d'organi e la bugia della morte cerebrale

Durante la battaglia per proteggere la vita di Alfie Evans emerse lo scandalo degli organi che aveva travolto il sistema sanitario inglese. Un business permesso dalla definizione di morte cerebrale, coniata nel '68 prima del primo espianto, che ha mutato il concetto di dignità e di cura in peggio. A dimostrarlo sono i tanti pazienti che appena prima di essere privati dei supporti vitali e dei loro organi si sono risvegliati.

Vita e bioetica 28_05_2018

Durante la battaglia per proteggere la vita del piccolo Alfie Evans la Nuova BQ aveva raccontato lo scandalo degli 850 bambini sepolti senza organi dall’Alder Hey Hospital di Liverpool all’insaputa dei genitori. Ma dall’indagine, che rivelò che venivano anche espiantate le ghiandole di timo di bambini vivi e che si concluse nel 2001, emerse che il problema era di tutto il sistema sanitario nazionale (25 ospedali coinvolti e 16.500 organi espiantati illegalmente tra cui il Great Ormond Street di Londra, dove è stato ucciso Charlie Gard e il King’s College, dove è stato ucciso Isaiah Haastrup). Il tutto si concluse con la riforma delle linee guida per la conservazione degli organi e con la scoperta che avere grandi banche di organi era un vanto per gli ospedali. 

Pare però che ancor meglio degli organi di cadavere siano quelli degli esseri viventi. Non a caso sei anni dopo lo scandalo (nel 2006), il chirurgo Hootan C. Roozrokh fu denunciato in California per aver prescritto dosi eccessive di farmaci cercando di accelerare la morte di un donatore di organi, Ruben Navarro. Il caso emerse solo perché un’infermiera dichiarò che nonostante la rimozione della ventilazione il ragazzo non moriva per cui il medico aveva ordinato di aumentare la dose letale di farmaci. Dalle indagini emerse anche che il chirurgo era in contatto costante con il California Transplant Donor Network. 

Si potrebbe pensare che sia un caso, ma il business miliardario dei trapianti (circa 32 miliardi nel 2017) fa quantomeno venire qualche dubbio, insieme alla vicenda emersa solo una settima dopo la morte di Alfie, di un 13enne dichiarato cerebralmente morto che si è risvegliato appena prima dell'espianto di organi. Il problema però non è solo economico, ma di una visione dell’uomo completamente mutata da quando la tecnica è stata avallata da tutti gli Stati grazie ad una commissione medica di Harvard che nel 1968, poco prima del primo trapianto, sancì che bastava l’elettroencefalogramma piatto e l’arresto delle funzioni respiratorie per giudicare un essere vivente morto, mentre prima era necessario l’arresto di tutte le funzioni vitali, compresa quella cardiocircolatoria.  

“Sapevo che mio figlio non era cerebralmente morto. Sapevo che mio figlio non era un vegetale”, sono le parole di George Pickering che nel 2015 salvò dalla morte suo figlio usando una pistola. Pickering entrò nella stanza del figlio, ricoverato presso il Regional Medical Center di Tomball (Texas) in seguito ad un ictus, minacciando di uccidersi. Poi di fronte alle guardie e ai medici parlò all’orecchio del figlio, ventilato e che fino ad allora non aveva reagito ad alcuno stimolo o test e il cui elettroencefalogramma era piatto, e gli chiese di stringergli la mano. Il giovane lo fece per ben quattro volte. L’uomo ha raccontato della pressione da parte dell’ospedale per l’espianto di organi del 27enne. I macchinari non furono spenti e il ragazzo si riprese. Nonostante si trattasse di legittima difesa di un vivo, Pickering passò 11 mesi in carcere. 

Nel 2013 anche Colleen S. Burns, dichiarata cerebralmente morta dall’ospedale Joseph's Hospital Health Center di Syracuse (Ny) dopo un overdose di farmaci sul lettino della sala operatoria dove avrebbe subito l’espianto di organi ha aperto gli occhi. Il ministero della Salute americano disse che i medici avevano ignorato il parere di un’infermiera convinta che Burns non fosse morta. Per l’errore l’ospedale ha pagato 6 mila dollari. 

Ma non è questa la sola volta che un paziente si è svegliato appena prima della “donazione” dei suoi organi. Nel 2008 Zack Dunlap, allora 21enne, fu ricoverato dopo un incidente stradale presso il United Regional Healthcare System di Wichita Falls (Texas). Circa 36 ore dopo fu eseguita una Pet al cervello e altri esami che accertarono l’assenza di attività cerebrale. Il giovane fu dichiarato morto e siccome la sua patente di guida riportava la volontà di donare gli organi, la famiglia diede il permesso per l’espianto. Poco prima dell’operazione, però, una cugina provò a mettere una lama sulla pianta del piede del ragazzo, il giovane si mosse ma l’infermiera si affrettò a dire che si trattava di un movimento riflesso. La cugina continuò conficcando la lama sotto l’unghia del piede per cui il giovane si mosse di nuovo con stizza. Cinque giorni dopo Dunlap aprì gli occhi e dopo un mese e mezzo camminava: “Ho sentito i medici che mi dichiaravano morto…ringrazio i miei parenti che non hanno mollato”.

Nel 2012 il padre di Stephen Thorpe, allora 17enne, in coma farmacologico dopo un incidente, si oppose ai medici che, dopo aver dichiarato la morte cerebrale del figlio, volevano procedere all’espianto di organi. L’uomo domandò il parere di un secondo neurologo e di un medico di base che si opposero alla diagnosi chiedendo l’interruzione del coma farmacologico. Dopo 5 settimane il ragazzo si svegliò . “La mia impressione - dichiarò poi Thorpe al Daily Mail - è che l’ospedale non fosse molto contento della richiesta di mio padre di un secondo parere”. I giornali laicisti si affrettarono a giustificare la diagnosi smentita parlando di miracolo. Anche Taylor Hale, dichiarata morta nel 2011 a 14 anni, parla di miracolo. Ricoverata al Des Moines' Blank Children's Hospital (Iowa), peggiorò dopo un’emorragia cerebrale. I medici dissero alla famiglia “non possiamo fare più nulla per lei, dovreste cominciare a pensare ai funerali”. La ragazza fu privata della ventilazione, dopo due ore il medico si rimangiò tutto: “Non sappiamo come spiegarcelo, ma respira da sola”.

Ma siamo sicuri che siano miracoli? Jimi Fritze, svedese, 46 anni, ricorda ancora quando, ricoverato nel 2012 in seguito ad un ictus, sentì i medici discutere della possibilità della donazione di organi solo perché il suo cervello appariva profondamente danneggiato e perché respirava con l’ausilio dei macchinari. Oggi l’uomo ha recuperato bene e ha denunciato l’ospedale.

Anche Sam Hemming, 22 anni, inglese, si è laureata nel 2016 dopo essere stata dichiarata morta. Sempre in seguito ad un incidente la giovane fu trasportata allo University Hospital in Coventry. Erano passati 19 giorni quando fu dichiarata cerebralmente morta per cui i medici decisero di spegnere la ventilazione. Ma al momento di procedere un medico accidentalmente toccò il piede della ragazza con un panno gelido, producendo il movimento del pollice di fronte agli occhi dei suoi genitori. Qualche giorno dopo Hemming ricevette la tracheotomia, finché non si è ripresa del tutto ricominciando a respirare da sola. Prima di procedere alla rimozione della ventilazione i medici avevano fatto tutti i test e i risultati attestavano l’assenza completa dell’attività cerebrale.

È chiaro che non è in discussione la bontà della donazione di organi fra persone vive. Ed è chiaro che non tutti i medici procedono in questo modo con il fine del trapianto, come si evince da alcuni casi descritti, dove la diagnosi è stata fatta in buona fede e non falsata strumentalmente. Il che incrementa ancor più i dubbi su una diagnsi magari rigorosa ma che ha portato alla decisione di privare questi malati dei sostegni vitali quando erano ancora vivi.

Infine è chiaro che crescere con questa visione della morte, volenti o nolenti, tende ad influire sul modo di giudicare qualsiasi paziente, misurando la sua esistenza, e quindi la necessità di cure, a partire da quanto il suo cervello funziona o meno. E se in quel corpo, per malato che sia ma con il cuore battente, ci fosse ancora un’anima? Non sarebbe meritevole di ogni cura possibile?