Aleijadinho, piccolo zoppo e grande scultore di Dio
Il 2014 vede in Brasile le celebrazioni per il secondo centenario della morte, avvenuta il 18 novembre 1814, di Antônio Francisco Lisboa, detto l’Aleijadinho (piccolo zoppo), uno dei più grandi scultori cattolici. Troppo a lungo gli artisti dell’America Latina sono rimasti conosciuti solo da pochi specialisti in Europa.
Il 2014 vede in Brasile le celebrazioni per il secondo centenario della morte, avvenuta il 18 novembre 1814, di Antônio Francisco Lisboa, detto l’Aleijadinho, uno dei più grandi scultori cattolici che abbiano illustrato la storia dell’arte. Troppo a lungo gli artisti dell’America Latina sono rimasti conosciuti solo da pochi specialisti in Europa. Scriveva il pensatore cattolico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira che «se fossero conosciuti i capolavori che l’epoca coloniale lasciò in tutta l’America Latina, si capirebbe meglio, contemplando queste primizie culturali, che il nostro Continente non è interessante solo per il suo futuro di sviluppo materiale. Se, per esempio, in Europa conoscessero i lavori di Aleijadinho, si renderebbero conto che non sfigurano a lato delle più raffinate e famose produzioni dell’arte francese, italiana o tedesca».
L’Aleijadinho costituisce una smentita a tanti luoghi comuni politicamente corretti, come quello secondo cui nell’America Latina coloniale e cattolica neri e meticci sarebbero stati discriminati. L’artista era figlio naturale di una schiava africana, Isabel, e di un falegname portoghese divenuto grazie al suo talento architetto in Brasile, Manuel Francisco da Costa Lisboa. Rimangono incertezze sulla sua data di nascita, anche se nei convegni storici che hanno accompagnato quest’anno il bicentenario è emerso un consenso, fondato su nuovi documenti, per fissarla all’anno 1737 a Cachoeira do Campo, nel distretto di Vila Rica, chiamata poi Ouro Preto, nello Stato brasiliano del Minas Gerais. Talento artistico precoce, studiò diverse tecniche artistiche e seguì le orme paterne come architetto. Non ancora trentenne, progettò nel 1766 la chiesa del Terz’Ordine Francescano di Ouro Preto, considerata uno dei capolavori del barocco brasiliano.
Divenuto ricco e famoso – senza che il colore della pelle o la condizione della madre gli impedissero di essere riconosciuto come grande architetto – a trentotto anni fu colpito da una terribile malattia, che gli studiosi moderni ricostruiscono come una forma di lebbra o forse come sclerosi sistemica progressiva. Deforme, ricevette il soprannome di Aleijadinho («piccolo zoppo»). La malattia continuò a sfigurarlo, e decise di non apparire in pubblico se non su una lettiga, con una tenda tirata per nasconderne le deformità. Ma non abbandonò la carriera artistica, anzi nella sofferenza maturò un talento straordinario di scultore che lo portò a realizzare uno dei capolavori dell’arte cattolica di tutti i tempi, il complesso scultoreo del Santuario del Bom Jesus di Congonhas do Campo, nello Stato del Minas Gerais, dichiarato nel 1985 dall’Unesco Patrimonio dell’umanità.
Il complesso consta di una Via Crucis in legno disposta all’interno di cappelle che ricordano quelle dei Sacri Monti italiani – per cui l’Aleijadinho realizzò tra il 1780 e il 1790 le figure principali, lasciando a collaboratori i personaggi minori – e di dodici eccezionali grandi statue dei profeti in pietra saponara (steatite). Queste ultime furono scolpite tra il 1800 e il 1805. L’artista, ormai quasi settantenne, era giunto agli ultimi stadi della malattia. Gli assistenti dovevano sorreggerlo e fissargli alle braccia gli attrezzi per scolpire, dal momento che delle mani gli rimaneva ben poco. In queste tremende condizioni, l’Aleijadinho guidato dal talento, dalla fede e da una straordinaria forza d’animo realizzò dodici opere veramente memorabili.
Plinio Corrêa de Oliveira le paragona alle figure medievali della Cattedrale di Amiens, e fissa la sua attenzione sulle statue di Ezechiele e di Daniele. «Lo sguardo di lince di Ezechiele sembra squarciare i secoli, analizzando un futuro remoto che le sue labbra vigorose sono pronte ad annunciare agli uomini. Daniele, non meno virile di Ezechiele, ha tuttavia una fisonomia più dolce. Il suo sguardo meditativo sembra fissare il paesaggio senza vederlo, come se questo fosse intercettato, in una zona ideale dello spazio, da tutto un mondo di visioni auguste e piene di pietà che gli sfilano davanti. Non è forse vero che queste opere prime del nostro artista figurano molto bene, e perfino con onore, se le si mette a confronto con i magnifici lavori della splendida cattedrale francese?».
I convegni e gli studi del 2014 hanno fatto giustizia di miti che l’anticlericalismo del XX secolo ha cercato di creare per sminuire la figura di un grande artista cattolico. I documenti emersi negli ultimi anni hanno confermato senza ombra di dubbio possibile che i principali dettagli della vita dell’Aleijadinho riportati dalla tradizione sono esatti, e che la tesi, avanzata da una certa letteratura anticlericale, secondo la quale l’artista non sarebbe mai esistito e sarebbe una pia invenzione cattolica non è più oggi seriamente sostenibile. Tutte le opere attribuite all’Aleijadinho sono in effetti sue. Caduta l’ipotesi estrema della non esistenza, negli ultimi anni c’è anche chi ha cercato di ritrovare nei lavori del maestro brasiliano – come in quelle di molti altri artisti – simboli esoterici, ipotizzando che l’Aleijadinho fosse affiliato alla massoneria. Teorie denunciate come fantasiose da Marcos Paulo Souza de Miranda, uno dei maggiori conoscitori dell’artista brasiliano, secondo cui questa ipotesi «non trova alcuna conferma negli studi più recenti». Nulla permette di mettere in dubbio che l’Aleijadinho fosse un cattolico fedele alla Chiesa, e del resto è difficile immaginare una così eccezionale produzione di arte religiosa, da parte per di più di un artista gravemente malato, senza una fede viva e feconda.
Mentre l’anticlericalismo spesso attacca e diffama quello che ha difficoltà a capire, i cattolici possono trarre utili elementi di meditazione dall’opera e dalla stessa vita eroica dell’artista brasiliano. E – posso dirlo per esperienza personale – una visita al complesso di sculture di Congonhas do Campo rimane nella memoria per sempre.