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SCENARI

Agricoltura, ecco perché aumentare la produttività

Le abnormi fluttuazioni dei prezzi dei prodotti agricoli sono un segnale della necessità di aumentare la produzione, anche per migliorare l'ambiente.

Cultura 29_01_2011
agricoltura

Le recenti abnormi fluttuazioni dei prezzi mondiali delle principali derrate alimentari (cereali), potrebbero essere l’ennesima riprova che l’equilibrio fra alimenti prodotti e fabbisogni della popolazione mondiale diventa sempre più precario (dando fra l’altro la stura a quei fenomeni speculativi – tanto aborriti quanto ovvii in simili circostanze – che sono più la conseguenza che non la causa primaria delle tensioni di mercato).

A titolo di esempio, il prezzo internazionale di un paniere di alimenti - mais, semi oleaginosi ed altri cereali - ha raggiunto il record di 214,7 $/ton, superando il record della precedente impennata dei prezzi nel giugno 2008 (213,5$/ton).

Non che ciò sia sorprendente, prima la FAO e poi  l’IFPRI (International Food Policy Research Institute – Washington), da almeno 10 anni insistono su tale rischio, soprattutto giustificato dalla straordinaria crescita quanti-qualitativa dei consumi alimentari nel Sud-est asiatico. In senso opposto ha agito una serie di sollecitazioni ambientaliste e naturiste (quindi anti-tecnologiche ed in particolare anti-OGM,) che stanno condizionando negativamente la crescita delle produzioni agricole (da qualche anno stagnanti anziché aumentare per seguire da vicino l’inevitabile crescita dei consumi).

Non che questo crei necessariamente prospettive rosee per l’agricoltura nel suo complesso, troppi sono infatti i condizionamenti sul piano internazionale ed europeo, soprattutto in termini di costi di produzione ed anche di prezzi all’azienda. Tenuto conto della organizzazione produttiva, almeno da noi, può accadere che eventuali vantaggi si possano avere per le aziende cerealicole e non per quelle zootecniche o viceversa.

Ma tant’è, ciò che mi parrebbe invece opportuno è un diverso atteggiamento dell’opinione pubblica, e quindi della politica, su una serie di problemi, presenti e futuri, da cui possono dipendere eventuali investimenti – anche in ricerca – e quindi il ripristino del predetto equilibrio. In particolare pare lecito chiedersi:

- L’Italia e l’Europa possono vivere sonni tranquilli e continuare nella direzione di progressivo disimpegno nei confronti della produzione agricola, privilegiando prioritariamente la conservazione dell’ambiente?

- Che dire del “totale” disaccoppiamento fra produzione e contributo comunitario agli agricoltori, in parte causa della incertezza di mercato che tanto disturbo provoca alle scelte degli agricoltori?

- E' opportuno insistere sulla strada delle bio-energie, anche a spese delle produzioni cerealicolo-zootecniche, pur nella certezza che il reale contributo alla produzione di energia e alla riduzione dei gas serra è modesto?

- Soprattutto è pensabile continuare a lesinare sulla ricerca e sugli investimenti produttivi finalizzati non tanto e soltanto ad aumentare la produzione quanto la produttività e la sicurezza, ma contemporaneamente a ridurre i costi e l’impatto sull’ambiente? Da notare infatti che in linea di principio non vi è contraddizione fra le due esigenze; in altre parole, appare sempre più evidente che – stante la necessità di accrescere la produzione complessiva – solo aumentando la produttività è possibile evitare la messa a coltura di nuove aree ora naturali (foreste, praterie ecc.), oppure ridurre il numero di animali (dunque meno emissioni di gas serra, meno deiezioni ecc.). Inoltre è altrettanto evidente che nuove tecnologie – fra cui gli OGM – possono ridurre l’uso di mezzi tecnici aventi grosso impatto sull’ecosistema (meno lavorazione del suolo, meno concimi, meno fitofarmaci ecc.).

Prima di concludere, poche parole sulle classiche obiezioni addotte da chi si oppone all’aumento della produttività:

- vi sono molti sprechi, specie da parte dei consumatori ricchi, ed un loro contenimento avrebbe effetti positivi considerevoli. Ciò è sicuramente vero, ma che possano stravolgere la situazione è da escludere se – in periodo di grave depressione economica come sono stati 2009 e 2010 – il calo dei consumi alimentari è stato modesto (almeno in Italia);

- invece di convertire i vegetali in animali, basterebbe evitare la grave perdita di efficienza a ciò connessa con una dieta vegetariana. Anche questo è in parte vero, ma non tiene conto del fatto che numerose ed incontrovertibili sono le prove a favore della indispensabilità dei prodotti di origine animale; semmai si usi il minimo indispensabile. Inoltre gli animali si cibano anche di materiali che l’uomo non mangerebbe (sottoprodotti industria alimentare, colture foraggere nelle rotazioni, aree pascolabili senza essere coltivabili, sottobosco ecc.); ad esempio, cosa mangerebbero i lapponi o gli abitanti degli altipiani himalaiani se non vi fossero le renne, le pecore, gli yak ecc.?

- gli alimenti ci sono, ma è la povertà ad impedire che i meno abbienti li acquistino. Anche questo è parzialmente vero, ma nella realtà le due cose non sono in contraddizione (intendo dire la lotta alla povertà e l’aumento produttivo); infatti molti poveri potrebbero mangiare assai meglio se posti nelle condizioni di utilizzare più efficacemente i terreni (in genere disponibili). Inoltre, poiché non è vero che vi è abbondanza di cibo, se anche gli ex poveri mangiassero regolarmente – come auspicabile – si aggraverebbe il deficit alimentare.

Volendo ora tracciare una breve conclusione, si può osservare che per molte ragioni: nutrizionali e quindi buona salute per tutti, economiche ed anche ecologiche, è indispensabile che l’utilizzo delle superficie disponibili avvenga con la massima efficienza possibile e ciò implica anche il ricorso a tecniche sempre più avanzate. Di qui le tre parole chiave: ricerca, formazione delle persone ed investimenti (anche in infrastrutture); tuttavia, indispensabili sono anche accordi internazionali atti a prevenire e correggere le distorsioni di mercato.