Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
LGBT

Africa: più leggi anti-gay, reazione alla pressione internazionale

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Per un paese che depenalizza l'omosessualità, la Namibia, molti altri in Africa introducono leggi più severe. Lo fanno sotto la spinta delle opinioni pubbliche, reazione alle pressioni internazionali pro-gay.

Esteri 13_07_2024
Protesta Lgbt in Botswana

La maggior parte degli africani disapprovano l’omosessualità e non potrebbe essere altrimenti in un continente in cui procreare è stato sempre il primo, assoluto e ineludibile dovere sociale e morale di ogni persona, tanto da far considerare la sterilità la peggiore delle disgrazie. Tuttavia sembra che in passato molti africani tendessero tutto sommato a tollerare la presenza di alcuni omosessuali tra loro, a condizione che vivessero con discrezione la loro condizione. La situazione è cambiata negli ultimi decenni, da quando cioè le società e i governi africani hanno incominciato a subire forti pressioni esterne pro gay, più che altro da parte dell’Onu e dei paesi occidentali a loro volta pressati dalle lobby Lgbt, e da quando, contemporaneamente, anche in Africa le persone Lgbt hanno iniziato a rivendicare diritti e riconoscimenti, a rendersi più visibili imponendosi all’attenzione.

Alcuni governi hanno scelto di attenuare le sanzioni o di depenalizzare l’omosessualità, spesso più che per convinzione per la minaccia dei paesi e degli organismi donatori di sospendere finanziamenti e prestiti. Ma tra la popolazione, tra la gente comune, molti sono passati dalla disapprovazione, o dal sostanziale disinteresse, all’insofferenza unita a preoccupazione: insofferenza per le ingerenze esterne, tanto più se ricattatorie, e preoccupazione per l’integrità della famiglia, per i valori morali e religiosi contestati, per l’influenza sui figli. Oggi circa l’80% degli africani non vogliono che l’omosessualità sia consentita, mostrano gradi diversi di ostilità e intolleranza nei confronti degli omosessuali, chiedono leggi contro di loro e, dove già esistono, un inasprimento delle pene.

Tutto finisce per ritorcesi contro le persone che le lobby gay occidentali vogliono proteggere. La loro situazione potrebbe migliorare in Namibia dove il 21 giugno un tribunale ha dichiarato incostituzionali due leggi che criminalizzano gli atti omosessuali tra maschi, ereditate dal Sudafrica dal quale il paese è diventato indipendente nel 1990. Il caso è stato portato avanti dall’attivista namibiano Friedel Dausab con il sostegno dell’organizzazione non governativa britannica Human Dignity Trust. Adesso il governo ha tempo 21 giorni per decidere se accettare o impugnare la sentenza.

Per un paese che potrebbe depenalizzare l’omosessualità, ce ne sono altri che hanno imboccato la strada opposta. Il 10 luglio la giunta militare al potere in Burkina Faso dal 2022 ha annunciato l’adozione di una bozza emendata del codice della famiglia che criminalizza l’omosessualità. «D’ora in poi l’omosessualità e le pratiche correlate saranno proibite e punibili dalla legge» ha dichiarato il ministro ad interim della giustizia, Edasso Rodrique Bayala. Perché diventi legge la bozza deve ottenere l’approvazione del parlamento e successivamente deve essere promulgata dal presidente Ibrahim Traore. Il Burkina Faso è uno dei 22 Stati africani, su 54, che finora hanno ammesso i rapporti consensuali tra persone dello stesso sesso.

Il Ghana invece è uno degli Stati in cui l’omosessualità è da tempo illegale. Tra pochi giorni, il 17 luglio, l’Alta Corte del paese dovrebbe pronunciarsi sulla legittimità degli emendamenti alla legge attuale approvati dal parlamento lo scorso febbraio su sollecitazione dell’opinione pubblica che inaspriscono le sanzioni per chi pratica rapporti omosessuali e promuove associazioni Lgbt. Contro gli emendamenti sono stati presentati due ricorsi che ne sostengono l’incostituzionalità. Il presidente della repubblica Nana Akufo-Addo a marzo ha rifiutato di apporre la firma alla legge in attesa della sentenza della Corte Suprema. Lo ha fatto su sollecitazione del ministro delle finanze Ken Ofori-Atta, a sua volta tuttavia mosso non da considerazioni morali e di giustizia, bensì dalla preoccupazione per le reazioni internazionali avverse alle quali il paese non sarebbe in grado di far fronte dal momento che sta attraversando la peggiore crisi economica degli ultimi decenni e nel dicembre del 2022 ha dichiarato default. Se la legge entrasse in vigore, potrebbe perdere aiuti internazionali per circa 850 milioni di dollari nel solo anno in corso e finanziamenti da parte della Banca Mondiale per 3,8 miliardi nei prossimi cinque-sei anni. Il Ghana non può correre un simile rischio.

La preoccupazione del ministro Ofori-Atta è fondata. Un anno fa l’Uganda ha adottato una nuova legge anti gay che, per le pene e le restrizioni introdotte, è considerata la più severa al mondo. Sotto la pressione delle lobby Lgbt, la Banca Mondiale ha sospeso la concessione di prestiti al paese motivando la decisione con il dovere di rispettare i propri valori fondanti che impongono di non escludere nessuno dall’accesso ai servizi e ai programmi di lotta contro la povertà. L’Uganda non ha ceduto. Il presidente Yoweri Museveni ha replicato che il suo paese saprà fare a meno dei finanziamenti dell’Onu e dei donatori occidentali. L’Uganda aveva già subito dure sanzioni nel 2014 quando aveva approvato la legge anti gay precedente, anch’essa adottata per introdurre pene più severe. Eppure fino al 2016, e per cinque anni, la comunità Lgbtq locale aveva potuto organizzare una Gay Pride Week, un’intera settimana di eventi e manifestazioni che si concludeva con una sfilata e alla quale partecipavano alcune centinaia di persone provenienti anche dagli Stati vicini. Fu proibita dall’allora ministro Simon Lokodo con la motivazione che «nella nostra cultura tutto ciò che riguarda la sessualità è riservato, la vita sessuale si svolge in privato, confidenzialmente, nascosta alla vista da quattro pareti. È inaccettabile che l’omosessualità venga invece ostentata e praticata dove quando e con chi si vuole».

Ma è proprio questo cambiamento culturale, questa visibilità che rivendicano gli attivisti africani Lgbt. Il 9 luglio Brenda Biya, figlia omosessuale del presidente del Camerun Paul Biya, ha fatto coming out pubblicando una fotografia in cui è ripresa mentre bacia la sua ragazza. Il presidente Biya ancora non ha commentato.