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CONTINENTE NERO

Accordi di Samoa, i vescovi nigeriani respingono i "diritti" gender

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L’accordo di Samoa è un importante patto di cooperazione fra l’Ue e i Paesi afro-caraibici e del Pacifico (Acp). Include anche i "nuovi diritti" gender. Protesta dei vescovi nigeriani.

Esteri 15_07_2024
Vescovi nigeriani

L’accordo di Samoa è un importante patto di cooperazione che l’Unione Europea e i suoi Stati membri hanno stipulato lo scorso 15 novembre con il Gruppo degli Stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (Acp), un organismo che comprende 79 paesi, 48 dell’Africa sub sahariana, 16 della regione caraibica e 15 del Pacifico. Nei giorni scorsi la stampa internazionale se ne è occupata perché, a sorpresa, in Nigeria la firma dell’accordo, apposta per conto del proprio governo il 28 giugno dall’ambasciatore nigeriano all’Ue, ha suscitato preoccupazione e proteste, condivise anche dalla Conferenza episcopale nigeriana.  

Per chi non lo sapesse, l’accordo di Samoa sostituisce quello di Cotonou del 2000 che a sua volta è stato il seguito di quello di Lomé del 1975. Come i precedenti, per i prossimi 20 anni costituirà il quadro giuridico generale delle relazioni tra gli Stati che lo hanno sottoscritto, e tra i loro due miliardi complessivi di abitanti. Sulla sua pagina web, il Consiglio dell’Ue spiega che l’accordo mira a rafforzare la capacità dell’Unione Europea e dei paesi Acp di affrontare insieme le sfide globali. Suoi ambiti di intervento prioritari sono rispetto dei diritti umani, dei principi democratici e dello stato di diritto; pace e sicurezza; sviluppo umano e sociale; crescita economica e sviluppo inclusivi e sostenibili; sostenibilità ambientale e cambiamento climatico; mobilità ed emigrazione. Sostanzialmente eredita dall’accordo di Cotonou l’obiettivo di ridurre e infine eliminare la povertà, obiettivo evidentemente finora non raggiunto, e di contribuire all’integrazione progressiva dei paesi Acp nell’economia mondiale. I settori al momento attivi riguardano sviluppo, commercio ed emigrazione.

Al fine di mantenere gli impegni assunti, l’UE finanzia lo sviluppo dei paesi Acp principalmente tramite l’Ndici (Neighbourhood, Development and International Cooperation Instrument), un nuovo strumento di cooperazione a sostegno dei paesi più bisognosi, al quale è stata assegnata una dotazione di 79,5 miliardi di euro per gli anni 2021-2027. Finalizzati allo sviluppo sono anche i negoziati relativi al commercio conclusi a livello regionale e con singoli Stati Acp. Quanto all’emigrazione, è stato istituito un Fondo fiduciario di emergenza Ue destinato al contrasto delle cause profonde dell’emigrazione irregolare nei paesi di origine e di transito e alla loro stabilità.

In un documento informativo l’Ue ha riconosciuto che in alcune delle 403 pagine dell’accordo la stesura non è stata all’altezza “delle ambizioni dei negoziatori dell’Ue”. Ma per i nigeriani non è di questo che si tratta. La loro preoccupazione sono le decine di riferimenti, ne sono stati contati almeno 61, all’uguaglianza, alle prospettive e all’integrazione di genere presenti nel testo. Il timore è che l’accordo di Samoa finisca per costringere i paesi Acp a riconoscere alle persone Lgbt diritti che cultura e religioni in Nigeria non ammettono. Un quotidiano nigeriano, il Daily Trust, la scorsa settimana ha dato voce a questi timori e il 10 luglio i vescovi del paese, al termine della loro Assemblea, hanno diffuso un comunicato in 25 punti nel quale hanno definito l’accordo “una minaccia alla sovranità e ai valori della Nigeria”. 

Il termine “genere” – spiegano i vescovi – non è più “innocente”, oggi che di generi se ne rivendicano decine tanto da rendere necessario aggiungere il segno “+” all’acronimo Lgbt. «Siamo preoccupati – scrivono – che le nostre autorità civili possano non essere pienamente consapevoli delle implicazioni del linguaggio sfumato del documento». Richiamano l’attenzione in particolare sull’articolo 2.5 che chiede alle parti contraenti di «promuovere sistematicamente una prospettiva di genere e garantire che l’uguaglianza di genere sia integrata in tutte le politiche». Definendosi «sentinelle e guide, profondamente impegnati per la sana crescita morale, religiosa e culturale del nostro caro Paese», i vescovi hanno quindi invitato il governo nigeriano «a proporre una modifica dell’accordo o a recedere dallo stesso». L’emendamento suggerito è un articolo nel quale si dichiari che «nulla nell’accordo di Samoa può essere interpretato in modo da includere eventuali obblighi riguardanti l’orientamento sessuale, l’identità di genere, l’educazione sessuale, l’aborto, la contraccezione, la legalizzazione della prostituzione, il matrimonio tra persone dello stesso sesso o i diritti sessuali dei bambini».

Anche il Forum islamico della Nigeria si è attivato e, dopo essersi riunito l’11 luglio, ha invitato «il governo federale a ritirarsi senza ulteriori indugi dall'accordo di Samoa», sottoscritto senza consultare la popolazione. «Consigliamo ai governi federale e statali – dice un suo comunicato – di consultarsi con le persone su qualsiasi trattato importante correlato alla loro vita sociale, educativa e religiosa prima di firmare l'accordo».

Circa il 90% dei nigeriani ritengono l’omosessualità inammissibile. Il paese nel 2014 ha adottato una legge più severa che proibisce e punisce con il carcere l’appartenenza a gruppi gay e l’ostentazione di relazioni omosessuali. Alcuni giuristi interpellati hanno provato a rassicurare in merito alle conseguenze dell’accordo di Samoa spiegando che, se anche contenesse richieste relative ai diritti delle persone Lgbt, le disposizioni di un accordo internazionale non possono in alcun modo comportare l’emendamento di una legge nazionale, compito che spetta soltanto al parlamento. È senza dubbio vero, ma è altrettanto vero, e dimostrato da diversi casi – ultimo quello dell’Uganda – che la legalizzazione dei rapporti omosessuali e il riconoscimento di diritti alle persone Lgbt possono essere posti come condizione per ottenere sostegno finanziario o di altro genere.