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Aborto e povertà, 2 mali. Il primo moralmente più grave

Sebbene la persona umana abbia sempre la medesima dignità al di là della sua condizione esistenziale (nascituro, povero o migrante), come sottolinea Papa Francesco, i temi di bioetica sono più importanti di quelli che riguardano la miseria materiale, seppur questi non debbano essere considerati marginali. L’aborto è fenomeno moralmente più rilevante della povertà. Lo insegnava anche Santa Madre Teresa di Calcutta. 

Vita e bioetica 12_04_2018

Vogliamo qui mettere sotto la lente di ingrandimento due passaggi della recente esortazione apostolica Gaudete et exultate di Papa Francesco: “La difesa dell’innocente che non è nato, per esempio, deve essere chiara, ferma e appassionata, perché lì è in gioco la dignità della vita umana, sempre sacra, e lo esige l’amore per ogni persona al di là del suo sviluppo. Ma ugualmente sacra è la vita dei poveri che sono già nati, che si dibattono nella miseria, nell’abbandono, nell’esclusione, nella tratta di persone, nell’eutanasia nascosta dei malati e degli anziani privati di cura, nelle nuove forme di schiavitù, e in ogni forma di scarto”. (101) “Spesso si sente dire che, di fronte al relativismo e ai limiti del mondo attuale, sarebbe un tema marginale, per esempio, la situazione dei migranti. Alcuni cattolici affermano che è un tema secondario rispetto ai temi “seri” della bioetica. Che dica cose simili un politico preoccupato per i suoi successi si può comprendere, ma non un cristiano, a cui si addice solo l’atteggiamento di mettersi nei panni di quel fratello che rischia la vita per dare un futuro ai suoi figli”. (102) Il Santo Padre ci sta dicendo che la vita del nascituro e quella del povero sono ugualmente sacre, ossia hanno pari dignità, e che la situazione dei migranti ha pari peso morale rispetto ai temi tipici della bioetica, quali – potremmo ipotizzare dato che nel testo non si fa cenno alcuno – l’aborto, la fecondazione artificiale e l’eutanasia.

Desideriamo qui provare che, sebbene la persona umana abbia sempre la medesima dignità al di là della sua condizione esistenziale (nascituro, povero o migrante), i temi di bioetica sono più importanti di quelli che riguardano la miseria materiale, seppur questi non debbano essere considerati marginali.

Primo punto: la dignità naturale del nascituro e del povero è la medesima, ossia la sua preziosità intrinseca è identica perché sia il nascituro che il povero sono vivificati da un’anima razionale. E’ questa che impreziosisce la persona umana. Dunque è assolutamente condivisibile ciò che scrive il Santo Padre in merito all’uguale sacralità della vita di entrambi.

Secondo punto: occorre fare un distinguo tra identica dignità di ogni persona e diversità nel grado di gravità morale degli attentati alla dignità personale. La specie morale di un atto infatti differisce dal fine preposto (compiere un omicidio è più grave che un furto), dall’intenzione o fine secondo (compiere un furto per arricchirsi è più grave che compiere un furto per devolvere tutto ai poveri) e dalle circostanze che interessano un’infinità di condizioni: le modalità attraverso cui si compie l’atto, il luogo, il tempo, la qualifica del soggetto che agisce e quella della vittima, etc. Ad esempio è più grave rubare 100 euro a propria madre che ad uno sconosciuto. Dunque anche se il nascituro e il povero hanno pari dignità questo non comporta che gli atti malvagi che li interessano siano moralmente riprovevoli allo stesso modo. I mali morali non sono tutti uguali.

Ora, tenuto conto dei criteri appena menzionati, se proviamo ad accostare il fenomeno aborto – solo per citare un argomento di bioetica tra i molti – e il fenomeno povertà, il primo risulta moralmente più grave. In primis concentriamo la nostra attenzione sull’oggetto dell’atto, ossia il fine prossimo. Nell’aborto abbiamo un omicidio, atto la cui natura è più malvagia che “impoverire” il prossimo. In altri termini nell’aborto il bene violato è di altissimo pregio: la vita stessa. Bene che, perlomeno, sopravvive nel povero anche se l’esistenza dello stesso è gravemente svilita dalle sue condizioni economiche.

In secondo luogo passiamo in rassegna alcune condizioni che rendono l’aborto – al pari della fecondazione artificiale e delle manipolazioni sugli embrioni – un fenomeno eticamente più grave che l’impoverimento. Il soggetto vittima dell’aborto: il nascituro è l’essere umano più indifeso che esista perché dipendente in tutto dagli altri. Usando le categorie concettuali care a Papa Francesco, potremmo dire che è il più povero dei poveri e quindi il più meritevole di tutela. La legalizzazione dell’aborto in moltissimi Paesi fa sì che il nascituro non possa appellarsi a nessun tribunale, a nessun giudice, a nessun avvocato, diversamente invece dal povero, anche se non in tutti i casi.

Poniamo mente ora ai soggetti che compiono l’aborto: la madre che è il mandante e che invece dovrebbe essere il primo responsabile dell’incolumità del figlio; e il medico che compie l'assassinio ed invece per munus dovrebbe essere chiamato a salvare vite umane. La particolare gravità dell’aborto sta anche quindi nella tipologia di legame che unisce vittima e carnefice, un legame di sangue. Questo tipo di relazione invece, in genere, manca nel fenomeno della povertà, dove tra chi sfrutta e chi viene sfruttato, nella maggior parte dei casi, non ci sono legami di parentela. Ma anche se ci fossero, occorre tenere presente che nell’aborto la relazione parentale è elemento essenziale dell’aborto (eccetto nei casi di maternità surrogata), ossia necessario, nel fenomeno della povertà è, il più delle volte, elemento accidentale, ossia non necessario ma solo eventuale.

Altro elemento da tenere in considerazione nella valutazione comparativa tra aborto e miseria: l’estensione del fenomeno. Facendo una stima molto a ribasso e prendendo per buoni i dati non certo sospetti di partigianeria dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, si arriva a 56 milioni di aborti all’anno nel mondo. Senza contare gli aborti con preparati chimici. Facendo una stima al rialzo, invece le morti per denutrizione all’anno sono un po’ meno di 10 milioni. In particolare l’Unicef rende noto che circa 8 milioni di bambini, cifra che in parte è ricompresa nella precedente, muoiono all’anno per indigenza. Inoltre il numero di aborti nel mondo è in costante crescita, il numero di morti per indigenza in decrescita. Senza poi tenere in considerazione un aspetto, di carattere morale, fondamentale: nel caso dell’aborto la morte è voluta, ricercata, nel caso delle morti per povertà è eventualmente un effetto previsto e accettato, ma, nella stragrande maggioranza dei casi, non ricercato direttamente. In soldoni: l’Epulone dei giorni nostri vorrà pure impoverire l’umanità per arricchirsi, facendosi carico anche della possibile morte di molte persone, ma di suo in genere non vuole uccidere nessuno direttamente. Tutti i morti sono uguali, ma non tutte le morti.

Ulteriore elemento da vagliare: la legittimazione del fenomeno. L’aborto non è un male diffuso ma combattuto o (erroneamente) tollerato, bensì è qualificato da molti ordinamenti giuridici come diritto e quindi è agevolato dalla legge. In nessun ordinamento giuridico invece esiste una norma che considera la povertà un diritto civile e quindi favorisce l’impoverimento. Abortire è un diritto, non così rendere poveri gli altri. Nonostante esistano sicuramente leggi che incrementano la povertà, a nessun legislatore passerebbe per la testa di qualificare la povertà come una conquista di civiltà, giudizio invece frequente in merito all’aborto.

Altro aspetto importante da ricordare: la giustificazione sociale dei due fenomeni. L’aborto è considerato da molti sì un dramma ma anche un diritto civile, un bene collettivo. Non così la povertà. L’aborto viene diffusamente qualificato come un traguardo acquisito da difendere e un bene da tutelare, la povertà è socialmente considerata come un danno da evitare. L’aborto in molti suscita plauso, la povertà repulsa.

Infine, menzionando un’altra peculiarità legata alla precedente, poniamo mente al silenzio e al clamore che avvolgono rispettivamente i due fenomeni: l’aborto sembra ormai, spesso anche in casa cattolica, come un fatto acquisito, ben digerito e assimilato dalle coscienze. Ad esempio e facendo riferimento alla situazione italiana, nessuno, a parte qualche eccezione lodevole, osa nemmeno più chiedere l’abrogazione della 194. La povertà è sempre sulla bocca di tutti e, giustamente, si chiedono con costanza nuove leggi per debellarla.

Dunque è provato che l’aborto, per tacere di altre pratiche inique di cui si occupa la bioetica, è fenomeno moralmente più rilevante della povertà, affermazione che, ce ne rendiamo conto, risulta urticante per molte anime belle cresciute a pane e buonismo. Ciò non significa esclusività: occupiamoci solo dell’aborto e non della povertà. Ma significa occupiamoci dell’aborto e della povertà, consapevoli però che il tema dell’aborto, come quello della fecondazione artificiale etc., è prioritario. Et-et e non aut-aut,  però nella consapevolezza che alcuni et sono più importanti di altri et, senza però che questi ultimi et, seppur secondari, diventino marginali.

Infine è da ricordare che i temi bioetici e quelli che generalmente vengono intesi propri della giustizia sociale (ma ammazzare un bambino non riguarda la giustizia sociale?) sono intimamente connessi. Lo ricordava Madre Teresa di Calcutta quando accettò il Premio Nobel per la Pace: «Tante persone sono molto, molto preoccupate per i bambini in India, per i bambini in Africa dove tanti ne muoiono, di malnutrizione, fame e così via, ma milioni muoiono deliberatamente per volere della madre. E questo è ciò che è il grande distruttore della pace oggi. Perché se una madre può uccidere il proprio stesso bambino, cosa mi impedisce di uccidere te e a te di uccidere me? Nulla». Se tuteleremo la vita nascente, tuteleremo anche quella degli adulti. Difficilmente accadrà l’inverso. E dunque: vogliamo meno poveri? Combattiamo contro l’aborto.