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IL PAPA IN CILE

Aborto, convitato di pietra di una visita papale "ingabbiata"

Il Papa è in Cile per il suo 22esimo viaggio apostolico e a dettare l'agenda è il consueto mix di scandali sessuali del clero e rivendicazioni sociali di minoranze etniche. Un "gioco" che fa comodo alla presidenta Bachelet, già molto considerata in Vaticano, per oscurare la vitalità della Chiesa andina e mascherare la sconfitta elettorale della izquierda revolucionaria. Ma c'è un Cile che con la vittoria di Piñera ha già svoltato e promette di cancellare la legge sull'aborto, vero convitato di pietra di questo viaggio. 

Ecclesia 16_01_2018

Il viaggio apostolico di Papa Francesco in Cile e Perù, che è iniziato ieri con l’arrivo su volo Alitalia del pontefice a Santiago, è già segnato da un preciso canovaccio che ha come temi quelli imposti non dall’agenda papale, ma da una abile regia mediatico-politica che in un certo senso rischia di ingabbiarne l’esito. Ogni volta che un viaggio del Papa viene presentato, i media si incaricano di testare la “febbre” al gradito ospite segnalando quelli che sono gli argomenti principali nell’agenda di quel Paese così da orientare le reazioni ai futuri interventi che varranno anche in chiave generale. Anche per il caso del Paese andino non sono mancati così argomenti rinfocolati poi dalla cronaca.

Come ad esempio il caso delle chiese, cattoliche ed evangeliche, incendiate nei giorni scorsi in chiave anti-cattolica. Ci sono due matrici responsabili di questi fatti incresciosi apparentemente distanti tra loro: le rivendicazioni di movimenti izquerdisti come Andha Chile che rimprovera al viaggio papale di essere costato oltre 10 milioni di pesos in gran parte sborsati dallo Stato a fronte di un Paese che presentano come versare nelle emergenze della miseria, della pedofilia e della criminalità, quando invece ha indicatori economici superiori alla media degli altri Paesi del cono sur.

L’altra matrice è quella delle rivendicazioni dei Mapuches, la popolazione indigena dell’Araucanìa che accusa la Chiesa di essere complice del mancato riconoscimento del gruppo etnico. Rivendicazioni incomprensibili dato che storicamente, la Chiesa cattolica è sempre stata attenta all’inculturazione di una minoranza etnica che riversa contro la Chiesa pretese sociali che invece dovrebbe rivolgere allo Stato.

Come in ogni viaggio apostolico che si rispetti è stata poi messa in agenda anche l’immancabile piaga della pedofilia nel clero e degli scandali sessuali che coinvolgono esponenti della Chiesa. Prima con una lista di 78 sacerdoti accusati di abusi, poi con il rispolverare un caso di violenze che vede protagonista un sacerdote già sanzionato dal Vaticano, padre Fernando Karadima, che è diventato l’emblema della corruzione del clero cileno. La vicenda è stata rinfocolata a causa del sospetto di collusione, senza prove, del vescovo di Osorno Juan Barros Madrid considerato vicino a Karadima, ma confermato al suo posto dal Papa, nonostante le proteste dei fedeli.

Ne è uscito così un quadro di presentazione della Chiesa cilena altamente deficitario: una Chiesa in caduta libera nella credibilità, funestata da scandali e che eccede in ricchezza. Una Chiesa che si è discostata dai poveri perché troppo attenta alla morale sessuale, quella morale che vuole imporre agli altri ma che non è capace di controllare per i suoi. E’ un sillogismo fin troppo facile, ma che attecchisce nell’opinione pubblica mondiale.

Ma le cose non stanno così. Infatti se si guarda da vicino la vicenda cilena non si può non notare che un fatto è accaduto e quanto più lo si ignora, tanto più risulta evidente la strumentalizzazione che si opera nel tenerlo occultato o non più di tanto importante: le elezioni di dicembre che hanno visto la vittoria del conservatore Sebastian Piñera e la sconfitta del candidato sponsorizzato dalla presidente uscente Michelle Bachelet. Questo è il dato principale da tenere in mente se si vuole iniziare a dare una fisionomia a quanto sta accadendo in Cile in queste ore. Per il semplice fatto che questo è un viaggio apostolico preparato e gestito da un governo sconfitto, che cerca con questa visita di gestire i temi a lui cari, come dimostra la vicenda eminentemente politico-strategica della “guerra” con la Bolivia per lo sbocco al mare, anch’essa utilizzata in chiave “papale”.

La presidenta che ieri ha accolto il Papa dunque è l’esponente di una izquierda revolucionaria già sconfitta alle elezioni, ma la gestione del viaggio papale le dà la possibilità di distribuire le carte da utilizzare negli equilibri. Questo lo si vede ad esempio anche dalla gestione della comunicazione. L’opinione pubblica cilena è stata indotta a pensare solamente a quanto costerà questo viaggio alle loro tasche. Sin dall'inizio infatti si é diffusa la voce che il viaggio toccherà i loro portafogli e che i soldi potevano andare ai poveri. Una voce che la Bachelet si é guardata bene dallo smentire nonostante lei stessa avesse invitato il Papa. Perché in fondo questo viaggio rappresenta per la izquierda il canto del cigno del bacheletismo che vuole ingabbiare la Chiesa cilena raffreddandone il suo protagonismo soprattutto nei confronti delle popolazioni più umili dove è invece straordinariamente presente e forte con un’opera di evangelizzazione capillare. 

Non bisogna dimenticare infatti che l’ormai ex presidente della Repubblica sta conoscendo proprio in questi mesi un accreditamento sorprendente proprio in Vaticano, dove è stata invitata per un convegno. Laicista, con simpatie massoniche, paladina della rivoluzione antropologica e dei diritti degli omosessuali, la Bachelet sembra non risentire affatto non solo della sconfitta elettorale, ma anche dell’ossimoro che la vede molto ascoltata Oltretevere nonostante negli stessi giorni in cui era relatrice al convegno il Parlamento cileno desse “finalmente” il via libera alla legge sulla depenalizzazione dell’aborto in tre casi, provvedimento guarda caso osteggiato dai vescovi e da un laicato cattolico attivissimo e invece magnificato e voluto proprio dall’inquilina della Moneda.

Non è un caso che il neo presidente abbia già annunciato in campagna elettorale che il suo primo provvedimento sarà quello di cancellare la legge appena approvata sull’aborto. Se Piñera dovesse mantenere la promessa, presa davanti ad un elettorato composto anche da tutte le forze pro life del Paese, saremmo di fronte ad un fatto epocale nelle moderne democrazie: la cancellazione di una delle leggi che costituiscono l’architettura dei nuovi diritti. Togliere d'emblée la legge sull’aborto costituirebbe non soltanto un fatto nazionale, ma di interesse mondiale e il "laboratorio Cile" rischierebbe di diventare un fatto storico dalle conseguenze imprevedibili perché vorrebbe dire che tornare indietro si può.

Infatti proprio la Chiesa cilena, in particolare alcuni suoi esponenti di blasone, sono stati alleati di questa istanza. Come dimostra la lettera che il cardinal Jorge Medina Estevez ha scritto al quotidiano El Mercurio nei giorni del dibattitto, il quale ha ricordato con veemenza la scomunica per i politici che approvano leggi anti umane con un occhio agli esponenti della Democrazia Cristiana andina. Un intervento autorevole, mal digerito da una pletora di teologi à la page e gesuiti, ma approvato invece da molti vescovi, che si sono espressi con toni impensabili alle latitudini occidentali, spalleggiati da una Conferenza Episcopale Cilena, istituzionalmente più cauta, ma comunque presente e non rinunciataria.

L’approvazione della legge sull’aborto è dunque il grande convitato di pietra di questa visita e il fatto che non siano arrivate censure vaticane a questa legge ha contribuito a raffreddare il rapporto tra la Chiesa di popolo e l’establishment di potere. Ne è la prova il fatto che proprio ora, nelle ore in cui Francesco percorre le Avenidas di Santiago, la Camera cilena è impegnata ad approvare la legge sulla parità di genere

Il senatore pro life Josè Antonio Kast, astro nascente della destra cattolica cilena, ha chiesto che la Camera procrastinasse la votazione che sarebbe avvenuta domani. Il presidente della Camera lo ha accordato per rispetto al Pontefice, ma il provvedimento verrà proposto subito dopo. Ma di questa stridente coincidenza non c’è traccia sui giornali. Eppure è la prima volta che un Papa arriva in un Paese durante una votazione così centrale sulla tenuta del fattore uomo.

Perché l’importante è controllare l’agenda, non disturbare il manovratore e raccontare un Paese diverso da quello reale. Invece il Paese è già cambiato, c’è un nuovo Cile che è uscito dalle urne, che promette attenzione alla famiglia e dà speranza ai preti che lavorano nelle periferie a contatto con il disgregarsi dei rapporti umani dovuti non solo alla povertà, ma alla miseria spirituale ormai imperante, ma di questo se ne è accorta solo la popolazione. Che ora vorrebbe dal Papa parole decisive per riaffermare il progetto di Dio sull’uomo.