AAA, politica estera europea cercasi
Inizia oggi i suoi lavori l’annuale sessione della Conferenza per la Sicurezza, che dal 1963 vede riuniti a Monaco di Baviera nei primi giorni di febbraio capi di stato e ministri degli Esteri di ogni parte del mondo. L'Ue si presenta in ordine sparso. Eppure confiniamo sia con il conflitto ucraino che con quello siriano. Mai come oggi avremmo bisogno di una politica estera comune.
Inizia oggi i suoi lavori l’annuale sessione della Conferenza per la Sicurezza, che dal 1963 vede riuniti a Monaco di Baviera nei primi giorni di febbraio capi di stato e ministri degli Esteri di ogni parte del mondo. Anche se si faticherebbe molto a definirla un’occasione cruciale resta il fatto che si tratta di una grande ribalta, spesso più interessante dell’annuale sessione inaugurale dell’Assemblea delle Nazioni Unite che ha luogo a New York di regola nell’ultimo trimestre dell’anno.
L’Unione Europea vi si presenterà come al solito in ordine sparso, con la Germania di Angela Merkel e la Francia di François Hollande che giocano in proprio come si fossimo ancora nel Secolo XIX, la Gran Bretagna al guinzaglio degli Stati Uniti, gli altri Paesi membri che vagolano qua e là, e il “ministro degli Esteri” dell’Unione, oggi la nostra Mogherini, impegnato nell’ingrata impresa di fare da mosca cocchiera di un cocchio che non c’è. L’Unione Europea dovrebbe occuparsi di alcune poche cose importanti di cui invece non si occupa, e invece non occuparsi per niente di tante altre cose di cui si occupa fin troppo. La politica estera è una delle cose importanti che non fa. E non la fa perché mai si è voluto affrontare esplicitamente il problema del riconoscimento e della composizione delle diverse linee di gravitazione geo-politica che l’attraversano. In un primo momento perché, in forza degli equilibri fissati dalla pace di Jalta, doveva contarne una sola, quella atlantica; e in secondo momento, a guerra fredda conclusa, perché la Germania ha preferito far entrare in campo di fatto il proprio interesse baltico evitando un dibattito da cui sarebbe emersa la necessità di riconoscere anche l’esistenza e il ruolo di quello mediterraneo, il cui principale Paese membro di riferimento è l’Italia. Più il tempo passa e aumenta il disimpegno degli Stati Uniti dalla regione euro-mediterranea, e più tale stato di cose diventa insostenibile. Nei più diversi punti del “limes” che Washington sta abbandonando si esasperano attriti che gli Stati Uniti non gestiscono più e che l’Unione Europea non gestisce ancora.
Tramite la Polonia e la Slovacchia l’Unione Europea confina con l’Ucraina, e tramite Cipro – che è a meno di un’ora di volo dalle coste della Siria e del Libano -- giunge anche alla soglia del Vicino Oriente. A seguito del drammatico afflusso di migranti non autorizzati dalle coste tunisine e libiche a quelle di Lampedusa e della Sicilia, la prossimità dell’Unione con l’Africa tramite l’Italia è ormai divenuta evidente a chiunque. Per non dire della Spagna alle prese con migranti che assediano le sue due enclaves di Ceuta e Melilla in Marocco o che raggiungono via mare le isole Canarie. La crisi dell’Ucraina con il riaccendersi dei combattimenti nelle regioni orientali del paese, la crisi del Vicino Oriente, appena segnata dal feroce assassinio del pilota giordano prigioniero arso vivo dai terroristi dell’ISIS, e la crisi della Libia ora precipitata nell’anarchia sono infatti tre capitoli di una medesima vicenda, che si può affrontare con qualche probabilità di successo soltanto se la considera nel suo insieme.
L’intervista che, alla vigilia dell’inizio della conferenza di Monaco, il vicepresidente degli Usa Joe Biden ha rilasciato a sei diffusi quotidiani europei, tra cui La Stampa di Torino, è una chiara conferma del fatto che o l’Europa arriva ad avere una politica estera coordinata ed equilibrata oppure nell’area euro-mediterranea le crisi e gli attriti non soltanto non verranno meno ma anzi si moltiplicheranno. Non si può risolvere la crisi dell’Ucraina a prescindere da Putin, e tanto meno quella dell’ISIS a prescindere da Assad e anzi continuando a sognare di farlo cadere. Invece è proprio in questa direzione che muove la politica degli Usa. Per rendersene conto basta distillare il senso delle risposte, in perfetto stile diplomatico, di Biden che sono evidentemente risposte scritte (dove forse non c’è solo farina del suo sacco) a domande scritte. L’Europa insomma non può continuare a pretendere che gli Stati Uniti risolvano i suoi problemi (che poi non li risolvono ma anzi li esasperano).