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INTERVISTA/ MORGANTI

“A San Marino c’è un popolo che dice no all’aborto”

Il 26 settembre i sammarinesi sono chiamati a dire se vogliono o meno liberalizzare l’aborto. Il quesito referendario è perfino più radicale della 194 e condanna la donna «al più totale isolamento», svilendo la figura paterna e ignorando che «a San Marino c’è un welfare molto forte» e una comunità pronta ad aiutare. Le femministe vogliono invece piantare «una bandierina ideologica». Parla alla Bussola lo psicoterapeuta Adolfo Morganti, del Comitato Uno di Noi.

Vita e bioetica 15_09_2021

Domenica 26 settembre gli elettori di San Marino - dove l’aborto è vietato eccetto che per il pericolo di vita della madre - sono chiamati a esprimersi sul seguente quesito referendario: «Volete che sia consentito alla donna di interrompere volontariamente la gravidanza entro la dodicesima settimana di gestazione, e anche successivamente se vi sia pericolo per la vita della donna o se vi siano anomalie e malformazioni del feto che comportino grave rischio per la salute fisica o psicologica della donna?». Una formulazione che ricorda la Legge 194 (aborto libero entro 90 giorni di gravidanza), ma va persino oltre la già pessima normativa italiana, che una volta raggiunta la possibilità di vita autonoma del bambino fuori dal grembo materno ‘limita’ l’aborto (almeno sulla carta) al grave pericolo di vita per la donna e non anche, come il quesito sammarinese, a presunte “anomalie”. Che, poi, altro non sono che persone che hanno tutto il diritto di nascere, come un manifesto del comitato contrario al referendum ha inteso ricordare.

La Bussola ha intervistato uno dei membri del Comitato Uno di Noi, Adolfo Morganti, noto psicoterapeuta sammarinese.

Dottor Morganti, il quesito referendario di San Marino da un lato ricalca la Legge 194/1978 ma dall’altro è perfino più permissivo. Nel comitato contrario si sottolinea che si potrà abortire fino al nono mese.
Proprio perché il quesito è ricalcato sulla legge italiana volutamente ignora tutta la discussione degli ultimi quarant’anni sull’applicazione della 194. Si contano decine di sentenze, dalla Cassazione alla Corte Costituzionale, che dagli anni Ottanta hanno dovuto mettere dei paletti rispetto agli abusi della Legge 194. Diciamo quindi che il quesito referendario di San Marino apre la porta a ogni genere di abuso e anche a un pericolosissimo fenomeno di “turismo abortivo”. Il quesito non pone nessuna limitazione, neanche di cittadinanza.

Come già era successo in Italia e altrove, nella campagna abortista c'è un grande assente: il nascituro. Secondo lei perché?
Per riuscire a far passare il principio che l’aborto sia una soluzione ai problemi della donna bisogna cancellare tutti gli altri diritti, in primis il diritto del nascituro. Inoltre calpesta i diritti del padre, che la legge di San Marino fin qui riconosce molto più di quella italiana. Il quesito referendario si pone contro l’uguaglianza di fatto dei due coniugi nella gestione delle cose familiari, perché tra tutte le funzioni della famiglia la procreazione è centrale. Il quesito rimuove poi tutto il ruolo della comunità allargata, come i nonni e gli altri familiari, e rimuove pure il ruolo e l’aiuto delle istituzioni: a San Marino c’è un welfare molto forte, non c’è nessun caso di persona che versi in uno stato di bisogno e abbandono economico-sociale tale da potersi sentire spinta all’aborto.

A San Marino c’è appunto un Pil pro capite molto elevato e solitamente le donne che vogliono abortire, purtroppo, vanno in Emilia Romagna. Ma secondo lei il punto è volere l’aborto “gratis”, piantare una bandierina ideologica o cos’altro?
Si tratta esclusivamente di una bandierina ideologica, a giudicare dalle posizioni del comitato promotore. Conosco le persone e la loro fascia d’età, abbiamo a che fare con una sacca di paleo-femminismo da anni Ottanta, che viene da ambienti di sinistra. Il vero punto di questo referendum non è il confronto di due minoranze - i cattolici, che ormai siamo una minoranza, e i laicisti - ma come agirà la maggioranza silenziosa, a cui purtroppo negli ultimi vent’anni sono state contrabbandate idee volte alla deresponsabilizzazione e a una falsa “libertà personale”.

Nel quesito si accenna ai gravi rischi per la “salute fisica o psicologica” che secondo i referendari legittimerebbero l’aborto. D’altro canto, a proposito di salute psicofisica, molte donne sono completamente ignare delle conseguenze a cui possono andare incontro con l’aborto. Com'è possibile una tale asimmetria se si parla di “salute” delle donne?
Perché nella propaganda abortista la “salute” delle donne equivale all’aborto. Non è un caso che, dopo quarant’anni di assoluta assenza di qualsiasi lavoro di prevenzione reale in Italia, a San Marino si cerchi di ignorare questo fatto. Riguardo alla questione del disagio psicologico della donna, è stata in realtà la porta da cui è passato di tutto. Io ho visto personalmente dei fascicoli abortivi di minorenni, al quinto mese di gravidanza, il cui contenuto era il certificato di un medico di base che attestava che la ragazza era depressa. In realtà anche la Legge 194 punisce chi provoca l’aborto al di fuori di percorsi ben stabiliti, che poi non sono mai stati rispettati. E figuriamoci se lo saranno a San Marino.

Il comitato contrario ha affisso un manifesto con un ragazzo con la sindrome di Down che dice “no” all'aborto [vedi foto]. Secondo lei perché questo manifesto ha attirato critiche perfino in politici che si dicono contrari all'aborto?
Semplicemente perché questo manifesto dice una scomodissima verità, cioè che laddove l’aborto è stato liberalizzato, immediatamente, è partita la caccia al Down. Noi abbiamo portato fior di testimonianze, compreso un video delle Iene girato in Islanda, cioè lo Stato che maggiormente ha portato avanti questa “pulizia etnica”, per dimostrare come vanno lì le cose e come andranno anche da noi se vincerà il “sì”.

Ne ha già accennato, ma il quesito referendario così come la proposta di legge che era stata presentata nel 2019 eliminano la figura paterna, come se il padre non contasse niente. Quali effetti avrebbe per la società?
Questa è la condanna al più totale isolamento della donna, e proprio quando è in difficoltà. Partiamo dal presupposto che il 98% degli aborti si fa a causa di una situazione di difficoltà. Da noi si sostiene che il tema sia quello del “bisogno”, cioè che le donne che vanno in Italia ad abortire siano spinte da un bisogno socio-economico, la solitudine, ecc. Ora, questa proposta non fa altro che sfasciare sempre di più le relazioni tra le coppie, come in Italia, perché uno dei due coniugi, il marito, è immediatamente escluso; e dall’altro c’è una donna che si deve far carico di un atto che non è mai esente da conseguenze sul piano psichico. E questo bisogna dirlo con grande chiarezza. Quando nel comitato referendario ci sono femministe che dicono di conoscere solo donne che sono felici di aver abortito, io gli rispondo che non hanno mai fatto un mestiere di ascolto.

Lei ne ha esperienza nella sua professione?
Sì, anche perché io lavoro come perito di tribunali, nell’ambito del diritto di famiglia, quindi mi trovo a trattare casi di capacità genitoriale, le difficoltà delle coppie a sopportare delle tensioni che nascono oggi da una legislazione, quella italiana, assolutamente sghemba e squilibrata.

Lei denuncia anche il problema demografico, che l’aborto libero aggraverebbe. San Marino ha un tasso di fecondità già bassissimo, circa 1.2 figli per donna.
San Marino è un piccolo Stato che non ha nessun tipo di sponda economica: perciò o nuota da solo o affoga. In questo contesto si capisce quanto sia fondamentale il ruolo della famiglia, perché più diminuiscono i sammarinesi più la macchina dello Stato tenderà ad afflosciarsi, un fenomeno che si vede già in tutta Europa. Ci sono Stati che a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta hanno dovuto fare dietrofront rispetto alla propaganda abortista e pensare a una serie di misure e leggi per spingere le famiglie a fare figli: senza di loro la società non si regge. Non a caso una recente lettera di una femminista storica, Lella Golfo, propone una “sospensione” (a parte qualche eccezione) di cinque anni della 194, a condizione che alle coppie disagiate vengano dati una casa e un lavoro. Ora, San Marino non ha bisogno di una moratoria, perché è già capace di far sì che le coppie in difficoltà o le donne sole abbiano - e ci sono già dei progetti di legge ad hoc - la possibilità di accedere al lavoro in maniera agevolata, di avere l’assistenza pubblica per i figli. Se lo vuole, San Marino può essere, insieme a qualche piccolo Stato europeo che ancora regge in questa trincea, uno dei pochi Stati del mondo liberi dalla piaga dell’aborto.

Sarebbe una bella eccezione, che rispecchierebbe anche l’identità cristiana di San Marino, oggi messa sotto attacco.
Guardi, San Marino ha attraversato vent’anni di crisi esistenziale-culturale profonda, un egoismo predatorio che ha danneggiato l’economia del Paese e di cui tale quesito referendario è solo la proiezione sul piano dei rapporti interpersonali. E perciò, per la prima volta dalla fine dell’Ottocento, c’è stata una mobilitazione del laicato cattolico, di solito molto quieto. Questa campagna è stata fatta da semplici cattolici laici che ce la stanno mettendo tutta, a differenza di alcuni politici “cattolici” che sono visibilmente infastiditi dalla battaglia per questo referendum che gli impedisce di dedicarsi ad altro… L’importante è fare la battaglia, anche se la si dovesse perdere, e lo dico dopo aver fatto quella degli anni Settanta. Qui per la prima volta ho visto un popolo aprire la bocca: si tratta di gente che aveva fatto tutt’altro finora, e che ora si sta impegnando a fondo per difendere la vita nascente.