A rischio la presenza dei cristiani in Terra Santa
In Israele i santuari sono aperti ma solo dieci persone alla volta possono entrare e partecipare alla Messa. Questo e la mancanza di pellegrini farà sparire i cristiani, la cui sopravvivenza in Terra Santa è legata al turismo. Peggio ancora dal lato palestinese, dove le chiese sono state chiuse completamente. Se si guarda a tutto il Medio Oriente la situazione per i fedeli non è migliore.
Gli effetti collaterali del nuovo coronavirus sono sotto gli occhi di tutti. Ma per la Terra Santa la crisi sanitaria s'è trasformata di una gravissima emorragia di fedeli e pellegrini che sta mettendo a dura prova il settore turistico, e quindi la permanenza nel futuro prossimo per i cristiani.
La fondazione "Aiuto alla Chiesa che Soffre" a colloquio con il responsabile delle relazioni con l’Autorità Palestinese e Israele per la Custodia di Terra Santa, Fra Ibrahim Faltas, informa proprio della sofferenza dei cristiani di Betlemme impegnati nel turismo. L'Europa, e poi parte del mondo in quarantena, hanno bruscamente azzerato la presenza e la possibilità di accesso ai luoghi della cristianità. Il che, al di là delle considerazioni di sorta circa la tristezza che la desolazione della cosa reca, ha prodotto un effetto domino nel mondo del lavoro immediato, e non a lungo termine: "Senza pellegrini non lavora nessuno", fa sapere Fra Ibrahim. Perché la presenza e la sopravvivenza dei cristiani in Terra Santa oggi è legata al turismo: le entrate che da esso dipendono finanziano le attività sociali e pastorali svolte dalle istituzioni cristiane attraverso parrocchie, santuari, scuole e case di cura.
Probabilmente verrà a mancare anche la raccolta del Venerdì Santo - ordinariamente frutto della solidarietà di tutte le chiese cattoliche del mondo verso la Terra Santa - e che rappresenta una delle maggiori fonti di entrate necessarie per l’attività di manutenzione, l’accoglienza dei pellegrini e il sostegno della Chiesa in Medio Oriente. Secondi i frati sentiti da "Aiuto alla Chiesa che Soffre", verrebbero a mancare l’80% circa delle entrate. In Israele i santuari come le chiese sono rimasti aperti, sono solo state introdotte le misure di profilassi imposte dalla pandemia per cui, per esempio, solo dieci persone alla volta possono partecipare alla messa. Dal lato palestinese Betlemme, invece, le chiese, da inizio marzo, sono state chiuse completamente, anche la Basilica della Natività. Ma è l'assenza di pellegrini a pesare drammaticamente.
La grave diaspora cristiana ha radici economiche, sociali, politiche e religiose. E già prima del nuovo coronavirus un quarto dei cristiani dichiarava di considerare la possibilità di lasciare il proprio Paese nei prossimi 10 anni. Anche perché le difficoltà nel trovare casa e lavoro, proprio perché cristiani, è un ostacolo alla loro permanenza.