A Reggio Emilia, preso il jihadista della porta accanto
Smantellata una cellula terrorista jihadista in tutta Europa. La sua centrale operativa era proprio in Italia, dove agiva Yaseen Tahir, immigrato musulmano di Fabbrico (Reggio Emilia). L'Italia è ancora il ponte del terrorismo in Europa. Molti sono anche i jihadisti che sono sbarcati coi barconi sulle nostre coste prima di colpire.
“Dammi tempo due mesi e troviamo la nostra tana: tra due mesi, comincio a comprare le armi. Ora bisogna andare in ogni città e trovare quelle 10 persone che mi servono [...] più saremo e meglio è”. È l’estratto di un’intercettazione che risale al 2021, e che è stata determinante, tra le varie, alla Direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo per concludere con successo una nuova operazione antiterroristica: in 14 dietro le sbarre, tutti di origine pakistana, di cui otto in Italia. Con il coinvolgimento degli Uffici antiterrorismo di Spagna e Francia, coordinati dall’European Counter Terrorism Centre di Europol è stata sgominata una rete di islamisti pakistani che stava progettando attentati.
L’intercettato in questione è Yaseen Tahir, 25enne pachistano, considerato dagli investigatori il capo della cellula italiana del “Gruppo di Gabar”, con collegamenti in altri Stati europei, Francia e Spagna su tutti. È da lui che l’indagine italiana è partita. Yaseen Tahir si era da poco stabilito da Chiavari a Fabbrico (RE) dove aveva trovato lavoro come carpentiere. A pochi passi da Novellara, il paesino ad alta densità di pachistani - lo stesso da cui è scomparsa la giovane pachistana, Saman Abbas, mai più ritrovata ma ritenuta morta dopo aver detto di ‘no’ ad un matrimonio islamico, - Tahir stava trasformando il nord Italia nella base per il supporto logistico del Gruppo Gabar, cellula terroristica con collegamenti in altri Stati europei.
I pachistani arrestati in Italia e all’estero erano direttamente collegati alla rete di Hassan Zaher Mahmood, che il 25 settembre 2020 a Parigi tentò di assaltare la vecchia sede parigina del giornale satirico Charlie Hebdo – già teatro delle atroci violenze del 7 gennaio 2015 – ferendo due persone a colpi di mannaia. Il Gruppo Gabar s’ispira alla dottrina di Khadim Hussain Rizvi - islamico pachistano e fondatore di Tehreek-e-Labbaik, organizzazione politico-religiosa nata sopratutto per protesta contro qualsiasi modifica alla leggesulla blasfemia. “A breve uscirò, vedrai cosa facciamo là fuori”, così, direttamente dal carcere parigino, Nadeem Raan, un altro dei pachistani arrestati dalla Digos di Genova nell’operazione contro la cellula jihadista Gabar, incoraggiava i suoi complici. Noto come, il “maestro” prometteva sangue e vendette in nome di Allah. Durante la detenzione in Francia, incredibilmente poteva disporre di uno smartphone e da dietro le sbarre, li istruiva e li rassicurava, con un’attenzione particolare proprio all’Italia. Qui, infatti, la cellula islamista avrebbe dovuto radicarsi “per rendere di nuovo grande il nome di Gabar”.
Nadeem è stato scarcerato il 18 febbraio scorso e sul suo profilo aveva festeggiato scrivendo, “Gabbar Raan”, cioè Gabar è tornato. Così, la rete che aveva contatti con il terrorista islamico di Charlie Hebdo era pronta a colpire anche nel nostro Paese. Per il Gip Carpanini, infatti, la cellula italiana “era effettivamente attiva e vitale”. Una circostanza dimostrata anche dall’arresto a Lodi, a fine settembre 2021 di Ali Hamza, pachistano di 19 anne, su richiesta della procura antiterrorismo di Parigi perché legato all’attentatore di Charlie Hebdo e incaricato di diffondere il video di rivendicazione.
Yaseen Tahir, che si preoccupava del reclutamento di sodali in Italia e dell’acquisto di armi, postava con cadenza giornaliera, su Facebook, TikTok e Youtube, numerosi video nei quali era ripreso avvolto da tunica e copricapo neri, mentre recitava testi del Corano oppure mentre, in compagnia di connazionali brandiva machete o coltelli di grandi dimensioni mimando insieme agli altri il gesto del taglio della gola. Il gruppo, due mesi prima degli arresti, si era anche scattato una foto sotto la Tour Eiffel, rivendicando un, “Abbiate un po’ di pazienza. Ci vediamo sui campi di battaglia”. “Si tratta di una delle operazioni contro il radicalismo islamico tra le più importanti in Italia. Ha una dimensione europea”, ha sottolineato Diego Parente, capo della Direzione centrale polizia di prevenzione.
La fase della lotta al terrorismo internazionale successiva all’11 settembre ha visto, si sa, un rafforzamento delle indagini del ROS con l’obiettivo di disarticolare organizzazioni di ispirazione islamica che hanno assunto progressivamente una dimensione locale e una prospettiva globale. Ad oggi, e quest’ultima operazione ce lo conferma, l’Italia mantiene il suo primato in termini di sicurezza nell’antiterrorismo. Un’anomalia che, per tanti, certificherebbe straordinarie capacità tutte italiche. La verità è che l’Italia si conferma, proprio con gli ultimi arresti, il ponte del terrorismo islamico in Europa.
Prima di tutto per l’enorme e silenziosa presenza di predicatori islamici in carcere e nei centri culturali islamici, clandestini e non. L’istituto culturale islamico di viale Jenner a Milano, fondato nel 1988, per esempio, è stato per anni il centro privilegiato del jihadismo nostrano. Guidato soprattutto da imam egiziani, negli anni 90, divenne talmente determinante per chi voleva combattere il jihad, che il dipartimento del Tesoro statunitense lo avrebbe battezzato come “la principale base di al Qaeda in Europa”. Da viale Jenner passarono, per esempio, Sami Ben Khemais Essid e Mehdi Khammoun, due tunisini arrestati nel 2001 con l’accusa di far parte di un gruppo salafita legato ad al Qaeda. Ed è solo uno dei tanti centri islamici che, insieme alle moschee, ha contribuito alle centinaia di processi di radicalizzazione individuali e invisibili.
Ma a rendere l’Italia il ponte del terrorismo islamico internazionale è sopratutto l’immigrazione incontrollata. La possibilità che le organizzazioni terroristiche islamiche possano usare “i barconi” per mandare i loro uomini in Italia, e da qui in altri Paesi d’Europa, è stata provata dai fatti. Yaseen Tahir, arrestato nelle scorse ore in Emilia Romagna come terrorista dedito all’acquisto di armi e al reclutamento di nuovi terroristi, risiedeva in Italia, addirittura con lo status di rifugiato dal 2015. Brahim Aoussaoui, che nell’ottobre 2020 ha sgozzato due persone e decapitato una terza nella cattedrale di Notre Dame a Nizza, era arrivato a Lampedusa a bordo di un barchino solo il mese prima. Abdel Majid Touil, marocchino coinvolto nell’attentato al Museo del Bardo a Tunisi nel 2015, rientrò tranquillamente in Italia con il solito barcone. Lakhdar B. che a novembre 2021, a Cannes, ha accoltellato un poliziotto in nome di Allah, aveva un regolare permesso di soggiorno italiano: era sbarcato a Cagliari nel 2008. Khaled Babouri che colpì in Belgio, nell’agosto 2016, due poliziotte con un machete, era sbarcato sulle coste sarde. Anis Amri, autore dell’attentato ai mercatini di Natale di Berlino, nel 2016, uccidendo dodici persone, era passato per l’Italia.
Tutti erano entrati nell’Ue come richiedenti asilo o immigrati irregolari. È evidente la necessità di un maggiore controllo sui flussi migratori: l’Italia è la principale meta dell’immigrazione illegale nel Mediterraneo, ma non può restare crocevia del terrorismo islamico in Europa.