A Linz il catto-femminismo non risparmia neanche la Madonna
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Nella cattedrale austriaca l’ennesimo insulto al senso religioso. La diocesi è indignata per il vandalismo subito dall'opera, ma non per la raffigurazione della Vergine in modo irrispettoso di una maternità umana, figuriamoci di quella divina.
Una statua a dir poco irriverente della Vergine Maria esposta nel duomo di Linz, detto anche Mariendom poiché proprio a Lei è dedicato. L’opera in questione è Crowning di Esther Strauß, in mostra dal 27 giugno nella stessa cattedrale, dove la Turmkapelle West è adibita a spazio artistico (Kunstraum) e diciamo pure ideologico. L’esposizione sarebbe andata avanti fino al 16 luglio, se non fosse che qualcuno ha pensato di vandalizzarla il 1° luglio. Un nuovo “caso Pachamama” e di sicuro la mano finora ignota non è quella dell’austriaco che gettò nel "biondo Tevere" l’idolo della discordia: qui la statua è stata direttamente decapitata, invece che gettata nel "bel Danubio blu". Naturalmente, secondo un copione già visto anche in Italia, la diocesi di Linz esprime sconcerto: ma solo per il danneggiamento, non certo per l’insulto alla Vergine Maria costituito da quella statua.
L’occasione è costituita dal centenario della cattedrale, completata nel 1924. Per celebrare la ricorrenza una serie di eventi sotto il titolo di Donna Stage che trasforma il tempio «in luogo di discussione sui temi contemporanei relativi al ruolo della donna, all'immagine della famiglia e alla parità di genere»; discussione a tutto tondo, poiché a p. 18 del catalogo troviamo anche la questione Trans nel contesto della teologia e della Chiesa, dove possiamo leggere «che la Chiesa non è in grado di parlare e agire in questo senso [di un riconoscimento verso queste persone, ndr]. Inoltre, le posizioni dottrinali rendono più difficile la pratica pastorale e alimentano il risentimento».
L'installazione più discussa della serie è quella di Esther Strauß, che raffigura la Vergine Maria (riconoscibile dall’aureola e dalla “canonica” veste rossa con manto blu), desnuda dal ventre gravido in giù e con le gambe divaricate in atto di partorire – e con dolore, malgrado la Chiesa abbia sempre creduto tutt’altro sul parto verginale di Maria. Il titolo Crowning non solo significa “incoronazione”, ma è anche termine tecnico relativo a una specifica fase della fuoriuscita del pargolo dal grembo materno. Vero, tutte le mamme partoriscono, ma non risulta nessuno che tenga in casa la foto della propria madre ritratta durante il parto.
In ogni caso quella esposta a Linz non è certo la modalità più adatta a rendere una maternità umana, figuriamoci quella divina. «Una immagine – pur scientificamente, anzi ginecologicamente corretta – non solo di pessimo gusto (e già quindi inadatta ad essere ospitata in una cattedrale), ma anche fortemente connotata da una finalità ideologica blasfema del tutto estranea alla tradizione artistica cattolica e – osiamo dire – anche in contrasto con la dottrina», osserva il blog Messainlatino, riportando in italiano il comunicato della diocesi di Linz in cui si afferma che l’opera della Strauß completerebbe «da una prospettiva femminista» lo storico presepe di Sebastian Osterrieder (1864-1932) presente in duomo.
«Oltre alle due figure di Maria che fanno parte del presepe della cattedrale – la Maria inginocchiata con le mani giunte accanto al bambino nella culla, che viene allestita alla vigilia di Natale, e la Maria seduta con il bambino Gesù in grembo, che appare all’Epifania – Esther Strauß ha creato una terza figura di Maria: Maria che partorisce». Questo per compensare la diminutio che il cristianesimo avrebbe apportato alle dee-madri antiche, trasformandole «in una Dea Madre a-sessuale» (ovvero la Madonna), spiega la storica dell’arte Ann-Katrin Günzel (citata sempre nel comunicato diocesano), naturalmente funzionale alle «relazioni di potere patriarcali».
Questa «terza Maria» risarcirebbe le povere Marie precedenti, di Osterrieder e dell’intera tradizione cristiana, poiché «è completamente se stessa. È al centro del suo potere – e anche al centro della sua indipendenza», rivendica la Strauß. Prospettiva ribadita anche nel comunicato diocesano successivo alla decapitazione della statua, letta non come mero vandalismo ma come «brutalità nei confronti della figura femminile». Anche le statue sono “vittime del patriarcato” e lo dice chiaramente la teologa Martina Resch: «Chiunque abbia rimosso la testa della scultura è stato molto brutale. Per me questa violenza è l’espressione del fatto che ci sono ancora persone che mettono in discussione i diritti delle donne al proprio corpo». E se invece fosse espressione del fatto che un’opera, oltre che brutta, è considerata pure sacrilega e irriverente? E che manca di rispetto proprio a una Donna, con la maiuscola, che i cattolici venerano al punto da attirarsi la (falsa) accusa protestante di “mariolatria”?
«Costernato», neanche a dirlo, anche Johann Hintermaier, vicario episcopale per l’educazione, l’arte e la cultura, che condanna «il violento atto di distruzione e il rifiuto del dialogo, nonché l’attacco alla libertà dell’arte». Dialogo e libertà artistica che per lui, sacerdote, valgono il rischio di offendere il sentimento religioso, che pure ammette di aver preventivato: «Eravamo consapevoli che con questa installazione avremmo suscitato anche discussioni. Se con questo abbiamo ferito il sentimento religioso delle persone, ci dispiace, ma...». Ma il resto conta di più per certi chierici compiacenti – in Austria come in Italia – verso un’arte che sembra servirsi del sacro (e solo di quello cristiano, si badi!) come pretesto per i propri capricci espressivi. E trasformando a propria volta gli spazi sacri in pulpiti ideologici e la religione in cortigiana delle parole d’ordine più “gridate” che permette loro di presentarsi all'opinione pubblica col volto rassicurante di cappellani dell’ecologismo, dei diritti (quelli più “alla moda”), della lotta al patriarcato. In fondo a loro basta porgere l’altra guancia: non la propria, bensì quella di Cristo, di Maria e dei tanti cristiani delusi che attenderebbero da loro parole di vita eterna ma che troppo spesso ricevono in risposta quelle stesse parole a buon mercato che già passa il mondo.
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