A Dio Leo Aletti, combattente per la vita per conto di Maria
Nel giorno dell'Assunta muore a 77 anni Leandro "Leo" Aletti. Ginecologo e attivista per la vita ha combattuto la battaglia pro life con determinazione e lontano dai comodi schemi dei cattolici da salotto. Il ricordo della Bussola.
- L'ABORTO LEGALE E CHI SI OPPOSE CON FEDE, di Benedetta Frigerio
- PER LA VITA SENZA COMPLESSI D'INFERIORITÀ, di Raffaella Frullone
- LEGGE 194, UNA STRAGE CHE DURA DA 40 ANNI, di Valentina Tenani
Leandro Aletti è morto ieri nel giorno dell’Assunta all’età di 77 anni. Il ginecologo è stato uno dei principali attivisti italiani nel campo della difesa della vita nascente. Nato il 17 giugno 1945 e laureatosi in Medicina, dal 1993 è stato professore presso la Seconda Clinica Ostetrica e Ginecologica dell’Università di Milano e medico ospedaliero alla Clinica Ostetrica Mangiagalli di Milano. Nel 1999 Aletti è divenuto primario ospedaliero presso l’Azienda Ospedaliera di Melegnano. I funerali si svolgeranno domani alle 11 nella chiesa di Sant'Andrea a Milano. Il ricordo della Bussola nelle parole di Benedetta Frigerio.
Ti immagino mentre vieni accolto sulle soglie del Paradiso dal piccolo Leandro («Nel mondo c'è posto per tutti», La Nuova Bussola Quotidiana), da te così battezzato, sopravvissuto per alcune ore all’aborto e trasportato dal cestino di una sala parto ad una culla calda dove avevi ordinato che venisse dissetato fino alla morte. Ti penso con lui e circondato da altri bambini non nati, mentre finalmente riabbracci tuo figlio Stefano, sesto di otto, per la cui morte prematura hai tanto sofferto.
Ma soprattutto gioisco, pur con le lacrime della nostalgia, sapendo che ora sei a faccia a faccia con Colui che hai voluto servire senza sosta né compromessi per tutta la tua vita: «Venite, benedetti del Padre mio – dice Gesù – ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere…».
Mai comodo in questo tuo dare, Leo, come uno che non ha dove poggiare il capo, se non sul seno di Maria, la Madonna, che hai tanto amato, e la tua moglie fedele che ti ha seguito con tanta dedizione, discrezione e intelligenza nella tua missione. Che era quella, come mi ricordavi ogni volta che mi telefonavi o che ci vedevamo, di «voler bene a Gesù... è la cosa più importante della vita» e che per te coincideva soprattutto con la lotta contro l’aborto («cosa vuoi che ti dica, se Dio mi ha messo dentro questo pungolo cosa posso farci?», mi ricordavi quando mi lamentavo se mi sentivo sola o non compresa).
Mai tranquillo Leo, segno costante di contraddizione, impresentabile ai cattolici da salotto che non riescono ad abbandonare le logiche mondane del cosiddetto “male minore”. Quello che tu mi hai insegnato a non assecondare, spiegandomi che ci sono cose, come la vita e la morte, appunto, che non possono mai essere messe ai voti, e cose intrinsecamente malvagie. È da te che ho imparato il significato dei “princìpi non negoziabili”, da te ho compreso che le Dat (“testamento biologico”) cattoliche non esistono, che la fecondazione assistita non andava appoggiata nemmeno in via referendaria in nome dei cosiddetti “paletti” che avrebbero dovuto arginare il “far west”: «Una volta che li accettiamo, ammettiamo che la fecondazione è in qualche modo lecita e così di qui a poco si tornerà alla fecondazione selvaggia», mi spiegavi mentre ti arrabbiavi perché eri sicuro che la battaglia referendaria condotta dalla Cei avrebbe portato tanti cristiani a credere che la “provetta omologa” fosse morale. Eri il primo che sentivo ragionare così ma capivo che avevi ragione. E ora la realtà ne dà la prova.
L’uomo, immagine di Dio, non doveva essere ridotto da alcun potere, per tutto questo ti ho visto alzarti una infinità di volte in piedi. Non solo quando venivi alla veglia delle Sentinelle contro il Ddl Scalfarotto, ma anche quando ti recavi in piazza a pregare per i cristiani perseguitati in Medio Oriente: con Maria prendevi i mezzi pubblici e attraversavi Milano in qualsiasi condizione climatica solo per recitare una Corona del Rosario, mostrando un cuore più giovane di tanti giovani.
Ti ho visto alzarti durante un convegno organizzato da una donna che ha salvato tante vite in grembo ma che parlava di una necessaria “applicazione giusta” della 194 senza però lottare per abolirla: pur essendole amico hai avuto il coraggio di dirle, di fronte ad una platea che la osannava, che si sbagliava. Non so quanto ti è costato (QUI il suo video per la Bussola)
Ti ho visto partire per raggiungere una chiesa italiana che ospitava Emma Bonino a parlare di immigrazione (coprendo il tabernacolo) solo per dirle che la prima accoglienza è quella dei bambini che vengono al mondo. L’hai incalzata, mostrando che il Re era nudo, nonostante i presenti ti gridassero di tacere. Ti ho visto affermare cose scomode in mezzo a folle di cattolici perbene, che per togliersi dall’imbarazzo riducevano il tuo amore per il Vero a bizzarìa. Ti ho visto sollevare discussioni sulla morte anche all’interno della tua bellissima famiglia (che dice tanto dell’uomo, marito e padre che sei).
Ti ho immaginato a parlare contro l’aborto ad una donna decisa a uccidere il frutto del suo grembo pur sapendo che ti sarebbe costato il posto di lavoro o l’ennesimo processo. E quando una volta ti chiesi se non ti eri stancato, se non ti veniva il pensiero della tua prole numerosa, tu come un bambino mi rispondesti ancora: «E che cosa dovrei fare io?», come a dire che non potevi agire altrimenti. E capivo che non temevi (quante volte mi hai ripetuto di «non temere...») perché eri certo che «la verità unisce».
In te, infatti, la verità era sempre piena di carità. Giudicavi i fatti e gli atti, come una spada questi sì che li dividevi imitando il tuo amico Chesterton, ma mai le persone. A casa tua, insieme a tua moglie hai sempre accolto ogni sorta di peccatori e bisognosi. Io ero una di quelli. E mi ritengo privilegiata per il fatto di essere stata così preferita da te e da Maria, per aver passato diversi anni a tavola (e che tavole!) con voi a discutere della nostra vita privata e di quella sociale, per aver ricevuto spesso le tue telefonate in cui mi aiutavi a giudicare quanto accadeva alla luce della fede, a volte, quando soffrivo per qualcosa, mi facevi anche pregare.
Sono poi orgogliosa del fatto che tu sia stata una delle prime persone a prendermi fra le braccia, quando insieme a mio padre, come te medico ginecologo e tuo compagno nelle prime battaglie, fosti presente al parto di mia madre. Appena dopo la mia nascita sei partito per il Vaticano, dove hai consegnato a Ratzinger insieme a papà il fascicolo con gli studi sui veggenti di Medjugorje da lui condotti.
Per anni non ci siamo più visti, poi un giorno la tua chiamata e il tuo invito a cena, successivamente alla pubblicazione di uno dei miei primi articoli da giornalista apprendista. Subito dopo c’è stato il mio personale incontro con Medjugorje, poi la mia lotta per la vita. Mi piace pensare che la tua presenza al parto non sia un caso ma il segno della tua paternità spirituale e il tassello di un mosaico che ci ha unito nella stessa battaglia (ripetevi con Paolo VI che «un pensiero non cattolico prevarrà nella Chiesa, ma un piccolo gregge avrà il compito di testimoniare coraggiosamente la verità dell’essere umano»). Solo quando penso che Dio mi ha amata attraverso persone come te riesco a credere che forse ai Suoi occhi valgo più di quanto penso.
Sali infatti al Cielo subito dopo Amicone e Negri, altri due guerrieri (cari amici nostri) che hanno segnato la mia esistenza, anche se posso dire senza ombra di dubbio che fra i padri che Dio mi ha donato tu sei certamente quello che più ha toccato la mia vita adulta, la mia professione, la mia vocazione: se non ti avessi rincontrato oggi non sarei quella che sono, né tanto meno scriverei quello che scrivo. Con te ho compreso che seguire la Chiesa non significa interrompere l’uso della ragione, che per servire Dio occorre soffrire l’incomprensione, ma che ne vale la pena: mi sovviene la sensazione crescente di libertà provata all’incrementare della frequentazione di casa tua...pian, piano mi aiutava a deporre il fardello del clericalismo che paralizza.
Eri uno spettacolo Leo, perché eri libero e non avevi timore dei tuoi limiti né di sbagliare. Eri così perché guardavi sempre a Gesù, letteralmente come un bimbo che non teme difetti e cadute perché certo della presenza costante e dell’amore infinito di suo padre. E così davi sicurezza anche a me (so che vedevi quanto ne avessi bisogno).
Grazie, infine, per aver agito sempre come se stessi difendendo il grembo della Madonna, che “è la mia mamma”, come hai scritto nel tuo splendido libro Carne, Ossa Muscoli e Tendini (da leggere e rileggere), e che ti ha preso con sé nel giorno della sua assunzione in cielo. Il Covid, le tue malattie, quelle dei miei figli, ci hanno impedito di vederci, se non sporadicamente, negli ultimi due anni e anche in questi giorni, ma come ho potuto dirti qualche giorno fa al telefono: «Grazie Leo per tutto quello che hai fatto... per quello che hai fatto per me, sei una delle persone più importanti della mia vita, ti sono vicina pregando». Ci hai provato ma non sei riuscito a rispondermi, però Maria mi ha detto che hai alzato il braccio e che dovevo capire cosa volessi dirmi. Mi è venuta davanti la tua sagoma che decine di volte ha alzato il braccio in alto dicendomi: «Avanti, avanti...». «Va bene Leo vado avanti!», ti ho gridato dalla cornetta. Avanti con te, ora al mio fianco più che mai.