A cent'anni dalla morte, ecco l'anima "carnale" di Peguy
A cento anni dalla morte, il Meeting di Rimini dedica a Charles Peguy una mostra che ne "racconta" la vita e le opere. Aperta n fino al 30 agosto, la mostra è intitolata "Storia di un'anima carnale". Se Cristo non avesse un corpo, scrive Peguy, «cadrebbe tutto... perché non sarebbe uomo Dio, Gesù».
«L'unico personaggio letterario espressivo che è identico al 99,9% a quello che noi sentiamo come cristianesimo è Peguy». Lo scrive don Luigi Giussani nel 2002. Già quattro anni prima, nel 1998, il fondatore di Comunione e Liberazione, a proposito del fatto che Cristo è consistenza della realtà, aveva rilevato che lo scrittore e saggista francese su questo «ha delle pagine bellissime, perché in fondo è il problema dell'Incarnazione: noi non possiamo conoscere e metterci in rapporto col Dio vivo e amare il Dio vivo, se non dentro la carne e le ossa delle cose che Lui crea e ci mette davanti».
A 100 anni dalla morte, avvenuta il 5 settembre 1914 durante la prima battaglia della Marna (era partito volontario per il fronte) il Meeting di Rimini dedica a Charles Peguy una mostra che "racconta" la vita e le opere di un intellettuale che «costituisce una voce fondamentale per capire il valore della speranza in un momento storico che ne è quasi privo», come sottolinea Pigi Colognesi, uno dei curatori. La mostra, aperta nei padiglioni della Fiera di Rimini fino al 30 agosto, giorno di chiusura del Meeting, è intitolata "Storia di un'anima carnale", perché, precisa Colognesi, riconduce «al sublime incastro dell'eterno nel temporale e del temporale nell'eterno». In un "Diaologo" del 1910, ma pubblicato postumo, Peguy scrive che se Cristo non avesse avuto un corpo «cadrebbe tutto... perché non sarebbe affatto uomo, assolutamente. Non sarebbe uomo. Quindi non sarebbe l'uomo Dio; Gesù».
Il filosofo francese Alain Finkielkraut, uno dei più acuti pensatori del panorama culturale francese ed europeo contemporaneo, sintetizza la posizione di Peguy nella frase «l'avvenimento è l'irriducibilità dell'essere al concetto». In altri termini, «Peguy ci dà il coraggio di resistere all'ideologia». L'intervista a Finkielkraut chiude la mostra, che è accompagnata da un video, diviso in quattro parti, che attualizza efficacemente la vita e il pensiero di Peguy. Le quattro parti si intitolano: sono un rivoluzionario, sono un contadino, sono un cristiano, sono un pellegrino. Battezzato, militante socialista, ma controcorrente, quando approda a un cristianesimo convinto e vissuto Peguy non parla di conversione, ma di approfondimento, di ripresa di un cammino interrotto. La sua biografia è intessuta di polarità contrastanti: la misera giovinezza a Orleans e l'infaticabile maturità a Parigi, la mai rinnegata fede socialista e il rifiuto di ogni schematismo partitico, la fedeltà alla condizione di sposo e di padre senza negare sentimenti che l'hanno messo a dura prova, amicizie prima coltivate e poi abbandonate, il vigore polemista unito a una feconda vena poetica.
Ciò che tiene unito il tutto è la sviscerata passione per la realtà, per la verità delle cose, contro ogni potere costituito: politico, letterario, giornalistico, sociale. La sua percezione di che cosa sia l'avvenimento cristiano e che cosa significhi vivere Cristo oggi è cosi acuta da far dichiarare al teologo Von Balthasar: «Non si è mai parlato così cristiano». Il Meeting non si limita a una semplice celebrazione del personaggio, ma ce lo rende vicino, attuale. Nel contesto culturale che ci circonda, che considera Peguy scomodo e inutile, al punto di ignorarlo e censurarlo, la mostra riminese compie un'opera meritoria di recupero e di divulgazione quanto mai necessaria. Perché abbiamo bisogno più che mai di maestri.