25 aprile, la sinistra ha bisogno del fascismo per esistere
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Il mito del fascismo come male assoluto ed eterno è servito dopo la Seconda guerra mondiale a legittimare la presunzione democratica del PCI; oggi serve a legittimare l'idea di rivoluzione, tesa a dissolvere tutto ciò che è naturale. Questo spiega anche i casi Scurati e Boccia.
- Ughetto Forno, amare la patria al di là delle ideologie, di Fabrizio Cannone
Perché la sinistra italiana non può fare a meno del fascismo? Perché senza di esso si sente nuda? Molti si porranno questa domanda dato che ogni 25 aprile, ma non solo, lo spettro del fascismo viene nuovamente evocato. Succede anche in questi giorni con la fantasmagorica polemica sul monologo di Antonio Scurati e la richiesta a Giorgia Meloni di dichiararsi antifascista. Il tutto fa pensare che senza il fascismo da combattere il ruolo storico della sinistra cessi e la sua presenza politica venga delegittimata. Questo suo impegno è tanto forte che non si accorge di finire per proporsi come una forza politica che non ha un senso in sé, ma solo come sentinella di qualcos’altro, come antidoto di un veleno e non come medicina, come esorcismo di un fantasma.
Un primo motivo di questa fascio-dipendenza ci rimanda alle origini della nostra Repubblica e spiega perché, come diceva Augusto Del Noce, la sinistra ha avuto bisogno di intendere e imporre il fascismo come «male assoluto». La sua era una visione «demonologica del fascismo», inteso come la negatività pura. Il fascismo non era solo la «reazione» ma la negazione dell’esito finale dell’evoluzione della storia, che il marxismo supponeva di conoscere bene.
Con questo «male puro» non ci può essere storia, esso va solo eliminato. Con acutezza Del Noce osservava che il fascismo per la sinistra è il «surrogato del diavolo» e aggiungeva: «Quando si pensa di essersi liberati del mito del diavolo, si satanizza una determinata realtà storica».
Tra il ‘43 e il ‘45 la sinistra italiana, e in particolare il partito comunista, aveva bisogno di legittimare la sua «scelta democratica» per la nuova Repubblica, data l’importanza di questo passaggio secondo la strategia di Gramsci e Togliatti. Il partito comunista non era democratico, la sua ideologia non lo permetteva. Però, come la Russia di Stalin aveva combattuto contro il nazismo, così i partigiani comunisti e l’intero CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) aveva combattuto contro il fascismo: questo poteva dare alla sinistra italiana una patente democratica, anche se il motivo della sua lotta contro Mussolini non era stata la democrazia e nemmeno la libertà come noi oggi la intendiamo e come non la intendeva Giancarlo Pajetta.
L’opposizione al fascismo come “male puro” era quindi necessaria, sia per depotenziare e nascondere il male rappresentato dal comunismo, che a quel punto diventava un male non puro, sia per trovare accoglienza nella democrazia repubblicana, dentro la quale continuare la rivoluzione con altre armi. Nel 50mo anniversario della fondazione del PCI, agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso, i comunisti lanciarono ”l’unità antifascista”. Capitava così che il no all’unità antifascista venisse automaticamente inteso come un sì al fascismo. La stessa cosa capita oggi, con la richiesta a Giorgia Meloni di aderire alla nuova unità antifascista voluta dalla sinistra dopo il caso Scurati.
Questa visione richiedeva che il fascismo non morisse mai, perché in questo caso sarebbe venuta a mancare quella legittimazione, e che fosse inteso come assoluto, per essere appunto immortale e capace di trasformarsi in mille fogge. Inutile far notare che oggi il fascismo non c’è più, che è finito nel ’45, che non si capisce contro chi esattamente si vuol muovere organizzando le varie “unità antifasciste”, perché la sinistra pensa che il fascismo sia misteriosamente sopravvissuto al 25 aprile 1945 e continuamente riaffiori, non essendo mai morto. Per questo, pur non essendoci più il fascismo, comunque Giorgia Meloni e tanti altri nemici della sinistra, possono essere fascisti.
La sinistra ha creato il mito della resistenza ad un fascismo così inteso come matrice della nuova Repubblica. In questo modo ha fatto partecipe del concetto di fascismo come “male puro” l’intero quadro costituzionale e l’idea fu ufficializzata dalla retorica delle istituzioni repubblicane. Questo ha comportato un ingessamento delle celebrazioni del 25 aprile, tutte inserite nel medesimo quadro interpretativo, con l’esclusione - anzi con la demonizzazione - di chi fosse interessato ad una celebrazione più aderente alla storia. La prova principale di questo fenomeno è che ad ogni celebrazione del 25 aprile si fa a gara per individuare nell’attualità le nuove forme del fascismo eterno, e così l’accusa rimbalza da un personaggio all’altro a seconda delle convenienze del momento, addirittura senza che sia necessario che gli accusati ne siano consapevoli.
La storiografia ha chiarito molte cose a proposito del fascismo storico, ma il mito le ha oscurate. Per esempio, la vulgata di sinistra presenta il fascismo come un fenomeno “conservatore” che vorrebbe far tornare indietro la storia, mentre invece esso è stato un ampio processo di modernizzazione. Una visione delle cose in termini di guerra civile europea (Ernst Nolte) e Italiana (Claudio Pavone) poteva essere utile a impostare convenientemente anche la celebrazione del 25 aprile in modo più inclusivo. Nemmeno i libri di Renzo De Felice o di Giampaolo Pansa sono serviti più di tanto a correggere quella costruzione culturale.
Un ultimo aspetto rimane da spiegare. Dopo che il partito comunista ha abbandonato l’idea della rivoluzione come mai la sinistra non ha abbandonato anche questa idea del fascismo come “male puro” che alla rivoluzione era funzionale? Il motivo è che l’idea della rivoluzione non è stata abbandonata, ma è stata suicidata e trasfigurata. È diventata la dissoluzione di quanto è naturale, per cui anche la giornalista Cora Boccia, che afferma essere l’aborto un delitto, può benissimo essere considerata fascista.
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